ILLUSTRATA ALLA COMUNITÀ DEGLI ITALIANI LA RICERCA DI LIBERO BENUSSI

La vita dei contadini e dei pescatori era impensabile senza «el caro»

23 marzo 2005

ROVIGNO - "Le prime notizie certe della presenza e della funzione del carro, o 'el caro', nell'agro rovignese sono contenute nella copiosa documentazione che regolamentava la problematica del rifornimento di legname per l'Arsenale di Venezia, legname destinato alla costruzione delle grandi imbarcazioni da guerra e da trasporto", spiega il professor Libero Benussi, che sul carro rovignese ha compiuto uno studio approfondito e apprezzato, premiato al XXXVII concorso Istria Nobilissima (Premio Antonio Borme). Gli sforzi di Benussi - l'attento lavoro di ricerca è stato illustrato nel corso di una conferenza alla Comunità degli Italiani di Rovigno - sono tutti finalizzati alla salvaguardia e alla conservazione del popolare mezzo di trasporto, un tempo indispensabile nella vita dei contadini e dei pescatori rovignesi, oggi relegato a cimelio museale.

"Anche se in Istria è fortissima l'eredità etnoculturale e tecnica lasciata dai Romani e continuata dalla Serenissima, non si può certamente escludere che la provenienza del nostro carro sia legata anche al 'rhaeda' romano, o meglio che l'odierna versione del carro nostrano sia un intelliggente intreccio di più tecniche costruttive, anche perché la storia ci insegna che le ruote a raggi inventate dai persiani, furono copiate dapprima dalla civiltà greca, poi da quella degli Etruschi, dei Celti e Romani, e ognuno sicuramente ne perfezionò la costruzione onde ottenere sempre migliori prestazioni". Una premessa necessaria - accompagnata del resto da alcune nozioni di carattere generale - per introdurre l'argomento trattato, ossia le peculiarità costruttive del carro di Rovigno, si tratti di quello dei contadini o dei pescatori. Questi carri non sono un unicum completamente diverso dal resto dell'Istria, come specificato da Benussi, ma certo meritano un'attenzione particolare per il modo artigianale di costruirli, per la terminologia specifica in dialetto che, in quest'epoca di macchinari automatici e di congegni elettronici, va inesorabilmente incontro a una veloce e completa estinzione. Infatti, nel 1960 alcune di queste attività artigianali erano ancora una realtà, anche se ridotte al minimo, in decadenza, sia per il fatto numerico che per industria. Citando Zanini, il professore ricorda che già gli ultimi "arteîsti", gli artigiani del settore (oggi deceduti) durante la loro esistenza avevano percepito il progressivo e inarrestabile degrado della loro professione, e che il carro di legno (con quel minimo di accessori in ferro) e gli animali da lavoro appartenevano ormai al passato. Si sono salvati soltanto alcuni esemplari e ciò grazie al fatto che, per il loro intrinseco valore etnografico, sono finiti nei musei, oppure, come successo anche a Rovigno, hanno assunto una funzione decorativa di sapore "country", facendo bella mostra in qualche giardino privato.

Per il pubblico rovignese - in primo luogo per i più giovani - Benussi ha fatto sfilare sullo schermo vari modelli di carri e carretti ancora esistenti, spiegandone il funzionamento e il perché di ogni asse, di ogni giuntura, di ogni elemento in ferro, a testimonianza pure della competenza e della bravura degli artigiani che li hanno costruiti. Ma a prescindere dalle peculiarità tecniche, un'autentica "chicca" sono state le tipiche definizioni dialettali delle varie parti del carro, come pure degli attrezzi e degli arnesi del mestiere trovati nelle botteghe ancora conservate, anche se in disuso: del carraio Giuseppe Bartoli (bottega mantenuta integra dagli eredi) e quella della famiglia di bottai e carrai Giuseppe Sergović e figli (i cui arnesi sono stati conservati dal figlio Petar Sergović-Piero, ultimo discendente di questa famiglia di artigiani carrai-bottai). Si tratta di "tùrni" (torni), "sighe a nastro" (seghe a nastro), "trapani" (trapani), "muole" (mole ad acqua per affilare gli utensili, o "urdigni", "vreîgule" e "vreîgulieri" (succhielli e trivelle), "spiàne", "pialle", "taiadùri" e "scarpài", scalpelli, e via via tanti altri attrezzi allora in uso... Importante, dice Benussi, per "el carièr", il carraio, era la scelta e la preparazione del legname, che poteva provenire o dai boschi di Montona, oppure procurato direttamente da quelli del territorio, che serviva all'uso molto bene perché duro. Le qualità più ricercate erano il rovere, il cerro, l'orno, l'olmo e altri ancora, di cui alcuni specifici per la costruzione di quei pezzi in gergo detti "stortami".

Particolare, afferma Benussi, era la costruzione delle ruote. Sulla base di quanto appreso dal nipote del Bartoli - Sergio Sponza - il nonno usava bollire nell'acqua in un grande recipiente detto "caldèr" (per dar loro massima durezza e durata), i pezzi componenti le ruote, "i ràgi", "el muiòl e li cuviète". A Rovigno poi, le botteghe dei carrai si trovavano sempre nelle immediate adiacenze di quelle dei fabbri, in modo da evitare spostamenti per le necessarie finiture in ferro.

Libero Benussi fa presente che per questo suo lavoro gli sono state di grande aiuto le precedenti ricerche compiute da Giovanni Malusà, negli anni '50, con la raccolta del grosso della terminologia agricola del dialetto rovignese, terminologia inclusa poi e ampliata da Antonio e Giovanni Pellizzer (1992) nel loro "Vocabolario del dialetto di Rovigno d'Istria", nel quale sono stati inseriti pure i vocaboli raccolti da Antonio Segariol.

Altre pubblicazioni sul tema sono quelle di Delbello e Starec, che fanno riferimento ad alcuni particolari costruttivi del Buiese e del Pinguentino. Ma Benussi ha avuto modo di consultare i concittadini più anziani, come Pietro Budicin-Murlena, le testimonianze del falegname Bruno Brunelli, del fabbro ferraio Umberto Malusà e del già citato Petar Sergović-Piero; oppure i lavori di ricerca sia dal Segariol che di Antonio Giuricin-Gian che, nel saggio "Le mieîe cuntrade" (1988), offre una dettagliata panoramica dei siti delle attività economiche della città di Rovigno tra il 1928 e il 1945.

Del resto, nella prima metà del secolo scorso a Rovigno c'erano 18 esercizi di falegnami, 8 bottai, 6 fabbroferrai e 6 fabbromaniscalchi. Negli anni '60 c'erano le botteghe di artigiani costruttori di Giuseppe Bartoli, carraio, e quelle da fabbroferraio e maniscalco di Antonio Dessanti e Mario Saina. Nella bottega di bottaio dei Sergović e in altre di falegname, a esempio quella di Domenico Barzelatto, "el Vigile", si costruivano pure dei carri, quelli in uso sia dei contadini che dei pescatori. A questi ultimi il carro serviva per il trasporto delle reti, non trainato da asino, cavallo, mulo o bue, ma spinto a braccia o, talvolta, tirato tramite un tirante in corda. Un carro quello ad uso dei pescatori leggermente diverso nella costruzione. Esistevano pure altri tipi di mezzi destinati al trasporto di persone, come i grossi carri da trasporto per la Fabbrica Tabacchi e altri più specifici, che il Benussi dice di non aver compreso nel suo saggio perché mancanti di documentazione.

Benussi è stato seguito con piacere da tutti i presenti, e con particolare interesse da un gruppo di alunni della sesta classe della Scuola elementare italiana "Bernardo Benussi" (quelli che nelle attività libere si occupano di tecnica e dialetto rovignese), nonché da alcuni allievi della Scuola media superiore italiana.

Lo studioso rovignese ha rispolverato e valorizzato, sottraendolo dall'oblio, un segmento importante della vita e della creatività dei nostri padri.

Eleonora Brezovečki

Tratto da:

  • © "EDIT" 2000-2005 - http://www.edit.hr/lavoce/050325/cultura.htm


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Created: Friday, March 25, 2005; Last Updated: Saturday, December 03, 2022
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