Dean Krmac
Seminario di studio
Venezia, 8 ottobre 2003
Lo splendido palazzo della Scuola Grande San Giovanni
Evangelista di Venezia ha fatto da cornice, lo scorso 8 ottobre, al
seminario di studio su "La Pietra d'Istria e Venezia". Il convegno,
patrocinato dalla Regione del Veneto, si è articolato in due sessioni: una
mattutina, dedicata agli aspetti prettamente storico-scientifici ed al
legame secolare nell'architettura tra Venezia e l'Istria rappresentato dalle
pietre, ed una pomeridiana nella quale si è preso in esame soprattutto l'uso
della Pietra d'Istria negli antichi cantieri veneziani del Seicento
ed il suo concreto utilizzo nelle vere da pozzo, nelle sculture erratiche e
negli edifici di Venezia.
I lavori, coordinati dallo storico dell'arte Nedo
Fiorentin, si sono aperti con un saluto introduttivo dell'assessore
regionale alle Relazioni Internazionali Marialuisa Coppola che ha tenuto a
precisare come il seminario volesse analizzare lo specialissimo rapporto che
legò in modo esclusivo Venezia e la terra istriana attraverso la Pietra
d'Istria, e lo straordinario uso che architetti, scultori e artigiani
seppero farne.
Ad esordire è stato Egidio Ivetic, dell'Università degli
Studi di Padova, il quale si è soffermato in particolare sugli aspetti
economico-sociali che l'estrazione ed il trasporto della pietra hanno avuto
nel suo luogo di origine. Nella penisola istriana si possono distinguere tre
zone geografiche legate all'estrazione: la prima, inclusa nella Diocesi di
Parenzo, che si estende dalla
città rivierasca fino al Canal di Leme, la seconda posta tra il Leme e la
città di Pola controllata
principalmente dai rovignesi e la terza che si estende da
Pola all'Arsa e che include
pure la cava di Vincuran da dove è partita diversa pietra alla volta di
Ravenna. Per quanto riguarda il trasporto va detto che questo è stato per
buona parte appannaggio dei naviganti rovignesi, mentre scarne sono le
notizie sulle tecniche di estrazione, perlomeno fino al tardo Seicento. I
cavatori erano tutto sommato esigui e l'estrazione era in mani private con
un alto utilizzo di manodopera saltuaria. Di conseguenza, questa attività
non aveva una grossa incidenza sul settore economico-sociale dal momento che
non erano più di 100-200 le famiglie istriane a vivere di pietra.
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Parte della ex cava di Montauro presso
Rovigno. Del bivšega kamenoloma na Zlatem rtupri Rovinju. |
Lorenzo Lazzarini, del Dipartimento di Storia
dell'Architettura dell'Università Iuav di Venezia, ha relazionato sulle
caratteristiche petrografiche della Pietra d'Istria. Tra queste vanno
sicuramente annoverate la grande densità (2,6 in una scala massima di 2,7
applicabile ad un calcare), la bassa porosità (quasi simile a quella di un
porfido), un'alta resistenza a compressione (pari a 1350 kg/cm2 calcolata da
F. Calvino) ed un'elevata velocità di propagazione dei suoni. Lazzarini ha
anche proiettato alcune immagini legate a Montauro dalla cui cava sono stati
estratti ben 700.000 m3
di pietra, il che fa della miniera del Rovignese la più grande cava del
Mediterraneo. Geologicamente, invece, la Pietra d'Istria, il cui nome
geologico formazionale si applica a dei calcari ben precisi, è da ritenersi
un calcare di scogliera.
Interessante la relazione di Michela Dal Borgo,
dell'Archivio di Stato di Venezia, il cui contributo ha illustrato sulla
base della documentazione archivistica un caso di estrazione e commercio di
pietre provenienti da Rovigno. Corre voce che i rovignesi fossero degli
eccellenti cavatori, a tal punto che lo storico
Bernardo Benussi coniò per i
propri concittadini il detto "Rovigno pien d'ingegno spacca il sasso come il
legno".
"La Pietra d'Istria e l'architettura veneziana" è
il titolo del contributo di Mario Piana, docente di Restauro presso la
Facoltà di Architettura dell'Università Iuav di Venezia. La Pietra
d'Istria, scoperta dai veneziani alla metà del XIII secolo ed adoperata
fino a tutto l'Ottocento, è stata particolarmente sfruttata nel periodo
gotico. Gli esempi architettonici in Pietra d'Istria a Venezia si
sprecano e riguardano la maggior parte delle strutture della città lagunare
dal momento che in massima parte, ponti, case, chiese e palazzi di Venezia
sono costruiti, decorati e rivestiti di Pietra d'Istria.
La sessione pomeridiana si è aperta con il contributo di
Giulia Sebregondi del Dipartimento di Storia dell'Architettura e
dell'Urbanistica dell'Università Iuav di Venezia dal titolo "La Pietra
d'Istria in un cantiere veneziano del primo Seicento". La giovane
relatrice si è soffermata sugli aspetti economici, in particolare su quelli
legati ai costi, fornendo, fra l'altro, alcuni interessanti dati statistici.
È seguito l'intervento di Alberto Rizzi, già
Soprintendenza Beni Artistici e Storici, che ha relazionato su alcuni
singolari esempi dell'uso della Pietra d'Istria a Venezia ed oltre.
Gli inizi dell'importazione della pietra dall'Istria coincidono
cronologicamente con la dedizione delle cittadine istriane alla Serenissima
(1267-1335) e segnano nella città lagunare l'inizio della scultura gotica
che va a soppiantare quella veneto-bizantina, basata sul marmo grigio greco,
fino allora predominante. L'esempio classico di scultura in Pietra
d'Istria è quella del leone marciano, divenuto a partire dal 1260 il
simbolo della potenza veneziana e di cui Rizzi è oggi uno dei massimi
esperti. Curioso però rilevare che i primi tre leoni veneziani non sono in
Pietra d'Istria ma bensì in pietra di Vicenza. Per risalire al primo
leone in Pietra d'Istria
(Torcello) bisogna attendere l'inizio del XIV secolo. Un altro esempio di
opera in Pietra d'Istria è quello delle vere da pozzo. Lo studio di
queste ultime meriterebbe un approfondimento anche nella nostra stessa
penisola, partendo magari da un elementare censimento delle stesse, dal
momento che pochi sono i lavori scientifici (Starec a parte) che vi si sono
ultimamente dedicati. Il ritrovamento di una vera da pozzo a Negroponte
dimostra come la
Pietra d'Istria lavorata dai tajapiera veneziani venisse esportata
fino in Levante.
L'intensa giornata veneziana si è conclusa con
l'intervento di Peter Rockwell che ha illustrato l'esperienza personale che
lo ha visto impegnato, tra il 1999 ed il 2000, nella costruzione del
chiostro del palazzo vescovile di Chioggia. Particolarmente ardua è stata la
realizzazione dei 38 capitelli raffiguranti grottesche l'una diversa
dall'altra. Lo scultore americano ha concluso che la Pietra d'Istria
è molto più difficile da lavorare rispetto ad un marmo comune (specialmente
per quanto riguarda la cura dei dettagli), ma è proprio per questo motivo
che dà maggiori soddisfazioni. L'opera di Rockwell è encomiabile anche
perché pochi sono ancora i maestri in grado di lavorare la Pietra
d'Istria come una volta, con tecniche, strumenti e sistemi perfezionati
nel tempo e tramandati da generazioni.
Questa interessante giornata di studio ha avuto una eco
non eccezionale in Istria, prova ne è pure la scarsa affluenza di pubblico
proveniente dalla nostra regione, in particolare dall'area centro
sud-occidentale più direttamente coinvolta nell'argomento. Manchevolezza
alla quale la Regione Veneto ‒ che già da qualche anno è impegnata nella
salvaguardia del patrimonio culturale di origine veneta in Istria e Dalmazia
con la sua legge n. 15/199 ‒ può rimediare pensando di presentare gli atti,
la cui pubblicazione è prevista nel 2004, in una o più località istriane.
Tratto da:
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http://www.zrs-kp.si/Zaloznistvo/annales/Anali13-2003-2/porocila_ocene/02_dean_krmac.pdf