Luigi Dallapiccola, un centenario imbarazzante

di © Fabio Vidali

Tratto da: © Fabio Vidali, "Luigi Dallapiccola, un centenario imbarazzante," La Voce del Popolo in Più, 26 ottobre 2005. Copyright © - http://www.edit.hr/lavoce/inpiu/musica051026.pdf.]

Acent'anni dalla nascita (Pisino, d'Istria, 3.2. 1904) il 2004 avrebbe dovuto essere, in Italia e nel mondo, l'anno celebrativo di Luigi Dallapiccola. Una personalità unica nella musica del Novecento, non solo di creatore e d'interprete, ma anche d'impegno civile e umano non certo riscontrabile fra i suoi colleghi contemporanei né fra quelli che (almeno in Italia) improntarono di sé oltre sessant'anni della cosiddetta "Avanguardia".

Cent’anni dopo

Conclusosi l'anno celebrativo, pare opportuno tirare le somme di come sono andate le cose nel Belpaese in questa circostanza. È ben più di un'ipotesi che - per il Ministero dei Beni Culturali italiano - questo sia stato un centenario imbarazzante. Il Comune di Firenze (città "adottata" dal Maestro) aveva richiesto al detto Ministero l'istituzione di un organismo per le celebrazioni nazionali di questo centenario, da realizzarsi "ope legis" e con apposita copertura finanziaria sì da garantirne la proiezione nazionale ed internazionale. Come risposta ottenne un bel "No".

Non restava, quindi, che la volonterosa formula del "fai da te", già molte volte sperimentata per Dallapiccola in occasione di ricorrenze meno "tonde" (ventennale dalla morte ecc.) che, se da una parte testimonia di un interesse diffuso per il nostro compositore da parte della migliore musicologia italiana non "targata" da integralismi ideologici, dall'altra rappresenta anche un limite territoriale occasionale tale da non consentire il raggiungimento dell'unica meta importante: far entrare finalmente la musica di Dallapiccola nei repertori lirico-sinfonici che danno spazio (nella già scarsa presenza della musica contemporanea) unicamente ad improbabili raschiature di botte ormai giunta all'ultima feccia recuperabile sulle doghe del fondo. Un destino che perseguitò Dallapiccola da vivo e anche dopo morto. E ciò proprio a causa della sua visione umanistica, tetragona ad ogni comoda acquiescenza "settaria" che spesso lo faceva esclamare: "Guai a chi non volesse essere sincero, anche quando l'essere falso costituirebbe per lui la salvezza."

Tornando al "fai da te" fiorentino, Firenze, con i suoi soli mezzi (comunali e regionali) ha saputo allestire un cantiere di tutto rispetto: Convegno a Palazzo Vecchio, Mostra a Palazzo Pitti, Mostra a Fiesole, cinque titoli con l'Orchestra regionale toscana, tre programmi agli Amici della Musica, l'opera pianistica e cameristica al Conservatorio, "Prigioniero" e "Volo di notte" al Maggio. Sul fronte editoriale, "L'epos" di Palermo ha sfornato uno splendido volume dedicato al Nostro dal prematuramente scomparso Sergio Sablich e l'editore milanese Suvini Zerboni ha consegnato un documentatissimo "Catalogo ragionato" della produzione dallapiccoliana, steso con zelo da Mario Ruffini. Opere, si sa, non certo rivolte a folle oceaniche di lettori, ma che hanno il pregio di "restare".

Qualche spazio a Dallapiccola è stato assicurato dagli Istituti Italiani di Cultura all'estero, mentre solo poche Fondazioni Liriche lo hanno programmato. Trieste (Teatro Verdi) se ne è assolutamente dimenticata, lasciando all'Università Popolare e al Seminario Internazionale "Emozioni e Mathesis" l'onore di occuparsene, in due serate. Pisino e Cittanova lo hanno inserito nell'annuale Convegno sul "Patrimonio musicale Istriano", fortemente sbilanciato verso i compositori croati. In precedenza (1997, ventennale della morte) il Centro studi Busoni di Empoli aveva organizzato un Convegno a più voci su Dallapiccola (poi dato alle stampe). Ciò a testimoniare che tutti questi fermenti, se organizzati in senso unitario, avrebbero avuto portata assai più coinvolgente e produttiva allo scopo.

Perché Firenze?

Fra i tanti (troppi) elementi che sono stati sorvolati, nella pur vasta ed intelligente attuale "rilettura" di Dallapiccola uomo e musicista, figura "ab ovo", la sua decisione (1922) di trasferirsi stabilmente a Firenze. Una scelta che, conoscendo Dallapiccola, non poteva che essere profondamente meditata, al punto da poter fornire una chiave importante per la sua "poetica" tesa a fissare, attraverso la memoria storica, un'ineludibile continuità col "presente" del dramma umano soggetto a fatali "corsi e ricorsi" e con ciò elevandolo dal "cronachistico" al valore assoluto dell'apologo "senza tempo".

Il suo interesse di conoscere di persona Ildebrando Pizzetti e di confrontarsi con lo stroncatore dell'"Harmonielehre" di Scönberg (1911, trattato di Armonia e non di "dodecafonia") appare solo un dettaglio di cronaca, assolutamente non determinante per questo trasferimento fiorentino. Tantopiù considerato l'impatto negativo che ricevette da quella città, allora visceralmente ostile al "nuovo" nella musica e nella cultura e priva di fermenti vitali. Vi conobbe solo ostilità e l'amarezza dello scherno non certo atte a consigliarlo a tratte-nervisi. Se invece vi elesse dimora stabile, ben altre ne furono le motivazioni, dato anche che, in seguito, doveva dichiarare che anche la sua formazione musicale in quel Conservatorio "non influì minimamente" sulla sua estetica musicale. Nei salotti fiorentini gli si accreditava lo "charme dell'antipatia", una definizione che lo relegava al ruolo di affascinante guastafeste, utile però ad introdurre in tali ambienti "codini" un po' di pepe di contestazione.

Perché, dunque la riconfermata scelta di Firenze? Perché la sua impareggiabile storicità artistica che, ad ogni angolo, gli permetteva d'incontrare miti perenni, ben s'accordava col messaggio della sua arte che intendeva annullare il tempo in un eterno presente, annullando ogni contaminazione d'attualità cronachistica, come tale, condannata alla caducità di tutte le mode e di tutte le passionalità contingenti. Tale "consonanza" gli risultava ben più importante e tale da fargli sopportare ostilità, amarezze e scherno che non gli furono risparmiati nel corso di tutta la sua vita e anche dopo. Donde questa sua angosciosa, persistente domanda: Quando la borghesia comprenderà che l'artista ha problemi ben più gravi da risolvere che non quello di allietare la serata di poche persone convenute in una sala da concerto?

Se non si pone mente a ciò, sarà meno facile amare e comprendere le creazioni sonore di Luigi Dallapiccola.

L'istinto seriale

Luogo comune improvvido quanto pervicacemente stratificato nella musicologia italica appare l'attribuzione a Dallapiccola d'essersi inventato una "via italiana della dodecafonia". Precisi riferimenti storici smentiscono questa affrettata qualifica di comodo che implicitamente presupporrebbe degli "adattamenti" apportati alla lezione schönberghiana posteriormente alla conoscenza preliminare della stessa. È ben noto invece che Dallapiccola poté documentarsi sulle regole del sistema di Schönberg molto tardi, anche se in esse trovò assonante ma mai ortodosso consiglio.

Piuttosto andrebbe messa in luce l'origine prima della musica dallapiccoliana: il canto vocale, al quale è dedicata la parte predominante della sua produzione, anche nelle strutture esclusivamente strumentali. E il "canto" presuppone la ripetitività di un ristretto numero di suoni che ne costituiscono il materiale primigenio. In realtà una "serie" (non necessariamente di 12 suoni), ma sempre una "serie". E sappiamo bene che anche pochi suoni, se sottoposti agli artifizio del "Contrappunto severo" possono trasformarsi in maestose cattedrali: G. S. Bach docet. In Dallapiccola - ben prima del tardo incontro con la dodecafonia - era vivo l'istinto della serialità e dell'architettura matematicamente "perfetta", unica garante della struttura unitaria d'un rano musicale (breve o lungo che sia). Come era viva l'esigenza di "sondare" tutte le possibilità del "materiale" di base propostosi. Questa "grammatica" dallapiccoliana, ben prima della conoscenza del metodo di Schönberg, costituì il suo originale apporto al rinnovamento musicale che, più tardi trovò conforto nelle teorie di Schönberg a lui congeniali ma mai dogmaticamente accettate, in base al suo principio irrinunciabile alla Libertà (creativa e di pensiero). Altro che "via italiana" della dodecafonia!

Una personalità unica nella musica del Novecento non solo di creatore e d'interprete ma anche d'impegno civile e umano non certo riscontrabile fra i suoi colleghi contemporanei né fra quelli che (almeno in Italia) improntarono di sé oltre sessant’anni della cosiddetta "Avanguardia "
Burlone e profeta

Anche Dallapiccola (come la Luna) aveva una faccia nascosta: quella incline all'umorismo ed alla burla. La rivelava solo a chi accordava confidenza, se lontano dall'ufficialità e da orecchi troppo "severi". Ne facevano le spese, indifferentemente, i suoi studenti e molti suoi illustri colleghi. Le recenti celebrazioni non l'hanno lumeggiata perché, in carenza di esperienze dirette dal vivo, hanno dovuto attingere a testimonianze di chi - anche essendo stati vicini al Maestro - non hanno resistito alla tentazione di darne un'immagine più prossima alla loro "idealizzazione" che alla realtà autentica del personaggio, che non era fatta solo di austerità e d'inaccessibilità. Ma rivelano, sotto la scorza "ufficiale", uno spaccato simpaticamente gioviale.

Raccontava, per esempio, il Maestro che, delle volte, un po' infastidito dalla diligenza seriosa dei suoi studenti nelle Università americane, si divertiva a citare nomi di inesistenti esegeti e professoroni. Citazioni che causavano puntualmente l'affollarsi di studenti alla cattedra, alla fine della lezione, per farsi sillabare da lui la grafia di questi nomi di fantasia. Dallapiccola li sillabava compunto e severo, aspettando impazientemente il momento di ritirarsi per ridersela di gusto.

Circa gli illustri colleghi che fece oggetto di pungenti ironie, basti ricordare come nella sua sacra rappresentazione "Job" (da battuta 30) faccia corrispondere all'anatema contro gli "empi" l'ostentata e sottolineata citazione di due precise composizioni di Ghedini e di Pe-trassi (rispettivamente il "Concerto dell'albatro" e il "Salmo IX") gratificandoli così d’"empietà" per sfogare un risentimento personale verso di loro in relazione all'accoglienza ricevuta dalla sua opera "Prigioniero".

Il suo lato "profetico", poi, lo manifestò varie volte. Per esempio, già nel 1945, aveva previsto il tramonto della supremazia divistica dei direttori d'orchestra, soppiantati dall'onnipotenza dei registi. E ciò s'è puntualmente avverato. Non ci resta che augurarci si avveri anche un'altra sua profezia, secondo la quale: "l 'umanità non solo si salverà ma prevarrà ". Una certezza che per Dallapiccola fu incrollabile e della quale anche noi sentiamo bruciante il bisogno. Grazie, Dallapiccola anche per il dono di questa speranza.


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Created: Saturday, April 9, 2001. Last Updated: Monday, January 03, 2022
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