Minoranza neolatina: chi sono gli Istro-romeni

L'opera di Glavina per conservare la radice di una lingua

di Antonio Farres

[Tratto daL'Arena di Pola, Sabato 23 gennaio 1999. Organo dell'Associazione «Libero Comune di Pola in esilio», Gorizia ITALIA.]

Non tutti i nostri lettori, penso, conoscono resistenza degli istro-rumeni, ma ben pochi hanno sentito parlare di Andrea Glavina, il loro capo spirituale.

Di questa minoranza di lingua neolatina, a differenza delle altre due slave di lingua, croata e slovena - s'intende nel periodo precedente l'esodo -, parla diffusamente il geografo professor Antonio Fares (sul «Monitore» rivista culturale di Pescara), che rileva l'aspetto sia territoriale, il più povero dell'Istria, sia storico, sia politico, osteggiato dal mondo slavo, incentrando il discorso sulla figura del maestro elementare Andrea Glavina, il loro apostolo, praticamente un italiano con ascendenza diversa, che, a parte la sua peculiarità nel campo culturale, possiamo accostare idealmente a tanti nostri corregionali con ascendenti assorbiti nel tempo dalla supremazia della cultura italiana così da costituire un 'unica identità nel crogiolo, tutto italiano, della nostra regione di confine, esposta inevitabilmente all'incontro di più etnie.

Pompeo Vitturi

La vita di Andrea, o Andrei, Glavina è strettamente legata alla storia del suo popolo ed ha alcuni aspetti veramente singolari. Come ho già scritto in altre occasioni (1), gli istro-romeni o cici nei secoli passati abitavano su gran parte del Carso tanto che ad essi si deve il toponimo di Ciceria dato al versante occidentale dell'altopiano. Costoro, nel corso del XVIII e XIX secolo hanno subito la pressione slovena e croata riducendo l'area di insediamento e la consistenza numerica. Quando alla fine dell'Ottocento studiosi romeni cominciarono ad interessarsi di questa minoranza etnica la situazione era gravemente compromessa per varie cause: il gruppo viveva in più contrade periferiche distanti tra loro e di comuni diversi, non avevano un riconoscimento giuridico a differenza dei fratelli di Bucovina e Transilvania, non c'era una scuola che inscenasse nella lingua materna, le condizioni economiche erano miserrime in quanto gli uomini generalmente erano carbonai e le donne domestiche di ricche famiglie di Fiume ed Abbazia.

Per evitare l'estinzione nel 1893 il prof. Teodor Burada, esimio glottologo dell'Università di Jasi che si era recato più volte ai piedi del Monte Maggiore per studiare la lingua dei cici, conobbe un fanciullo magro e pallido ma dagli occhi vivaci e dall'intelligenza acuta, immediatamente individuò in lui chi avrebbe potuto risollevare le orti di quel popolo. Il ragazzo si chiamava Andrea Glavina ed era nato il 30 novembre 1881 nella contrada di Frascati-Susgnevizza, all'epoca facente parte del comune di Bogliuno. Il cattedratico, ottenuto il permesso dei genitori, lo portò con sé in Romania dove gli fece frequentare i più prestigiosi collegi prima a Cluj e poi a Jasi. Grazie alle notevoli capacità il giovane non ebbe difficoltà a recuperare il tempo degli studi perso in precedenza e a mettersi alla pari con i suoi coetanei |che da sempre avevano frequentato a scuola; le cure amorevoli dei migliori docenti romeni lo prepararono culturalmente e psicologicamente alla futura missione. Tra essi strinse amicizie che coltivò per tutto resto della vita. All'inizio del nostro secolo tornò in Istria dove si dedicò all'insegnamento nelle scuole popolari (elementari) avendo conseguito l'abilitazione sia per la lingua romena che italiana. Prese subito servizio a Parenzo ma poi si trasferì a Santa Domenica di Albona dove rimase fino al 1918. Contemporaneamente lavorò con impegno all'opera di redenzione del suo derelitto popolo: gli obiettivi educativi, politici e sociali erano il superamento di tutte le difficoltà precedentemente elencate. Nel 1905 pubblicò il "Calendaru lu Rumeri din Istria", raccolse vocaboli, proverbi e racconti in uso tra i cici per tramandarne la memoria. Propugnò con ardore l'istruzione dei connazionali che sappiamo essere gravemente deficitaria; verso la metà del XIX secolo fu aperta una scuola nelle contrade cice sotto la guida del prete locale che si preoccupò solamente di far apprendere le preghiere indispensabili alla prima comunione non in latino o nella lingua materna ma in croato. Non essendo tale insegnamento di alcuna utilità sociale fu disertato da coloro che avrebbero dovuto esserne interessati. II 26 ottobre 1887 dei deputali italiani dell'Istria rivolsero un appello alla Dieta per l'istituzione di una scuola romena con docenti provenienti dalla Bucovina con alfiere Francesco Costantini di Pisino; l'amministrazione austriaca, anche per pressione croata, fu sempre sorda all'istanza ripetutamente presentata e bocciata. Nel 1900 Ubaldo Scampicchio di Albona fece sua la proposta ma nel 1905 fu aperta una scuola croata finanziata dalla Società dei Santi Cirillo e Metodio che, come cinquant'anni prima, non fu troppo frequentata per motivi linguistici. Glavina, dopo aver contattato i capifamiglia dei villaggi cici e constatata l'ostinazione asburgica, si rivolse al suo amico prof. A. Viciu di Blaj affinché la Romania facesse le dovute pressioni sull'Austria. Purtroppo, per motivi politici internazionali dell'epoca, la manovra non sortì alcun effetto e Glavina dovette limitarsi ad una vasta campagna pubblicitaria su giornali locali e nazionali, petizioni a deputati ed organismi dell'Impero, ma senza nessun risultato tangibile malgrado le simpatie che riuscì ad attrarre sul suo popolo.

Subito dopo la prima guerra mondiale riprese la sua battaglia socio-culturale rivolgendo analoga richiesta al Regno d'Italia che immediatamente aprì nella frazione di Frascati una scuola elementare di lingua romena, diretta da lui, che volle intitolarla Imperatore Traiano. Grazie all'amore per i fanciulli ed all'entusiasmo per la missione da compiere le lezioni ebbero la massima frequenza; nell'anno scolastico 1919-20 vi erano ben 180 scolari e si fu costretti a chiamare altri maestri italiani. L'insegnamento era impartito in istro-romeno, ma i libri scolastici erano redatti in italiano: ciò creava qualche difficoltà malgrado i bambini fossero bilingui, italiano e romeno, o trilingui, italiano, romeno e croato. Rappresentata la questione al Commissario generale civile della Venezia Giulia, ci si rivolse per vie diplomatiche all'Accademia Romena che inviò un maestro e libri scolastici romeni nell'anno scolastico 1920-21. Si tenga presente che in quei luoghi la domanda di istruzione oltre che antica era anche grande, perché nel 1918 gli analfabeti erano il 90% degli anziani ed il 20% dei giovani. Per far fronte al crescente numero di allievi si inviarono altri insegnanti elementari, ed il maestro-dirigente, figura giuridica anomala ma funzionale alle esigenze, Andrea Glavina, riuscì a dare un'unica impronta alla scuola, malgrado il territorio degli allievi all'inizio fosse diviso in due direzioni didattiche, Albona e Pisino. Era indispensabile formare altri maestri istro-romeni, da inviare come lui fanciulli in Romania, per prepararli all'insegnamento. Per l'immediato si dovette provvedere a corsi accelerati di istro-romeno per i docenti destinati a quella particolare sede.

Dallo stesso Glavina sappiamo che i 443 bambini obbligati erano quasi tutti frequentanti. Nelle difficoltà organizzative gli furono molto vicini sia il succitato Ubaldo Scampicchio, che nell'amministrazione italiana era diventato prefetto della provincia di Pola, sia il grande linguista Matteo Bartoli di Albona, che lo aiutò anche didatticamente (2). Per razionalizzare il servizio, sempre a causa della carenza di maestri di madre lingua locale, l'insegnamento fu impartito in istro-romeno ed in italiano. Glavina ed il collega venuto dalla Romania si alternavano ai docenti italiani nell'insegnamento linguistico (vi fu anche una maestra di Albona che imparò subito e perfettamente la lingua dei cici e riuscì ad affiancarli); a Valdarsa si sperimentarono sia le classi aperte che la compresenza dei docenti parecchi decenni prima che altri ne parlassero.

Contemporaneamente a tutto ciò si dedicò all'azione politica. Il primo obiettivo era l'unificazione delle sette frazioni abitate dai cici in un solo comune ai piedi del Monte Maggiore. Infatti se l'isolamento aveva favorito la sopravvivenza etnica certamente aveva aggravato le condizioni economiche e sociali. Il progetto era stato sempre osteggiato dall'Austria, generosa con i fedeli slavi ed indifferente con gli irredentisti latini. Dopo il 1918, con il passaggio della Venezia Giulia all'Italia, Glavina presentò la richiesta alla nuova autorità politica che subito la prese nella dovuta considerazione, anche se le difficoltà burocratiche non furono né poche e né piccole.

Egli con sagacia e pazienza seppe conseguire il risultato positivo; nominato Commissario Prefettizio, ottenne il parere favorevole dalla Giunta provinciale nel gennaio 1921. che fu inoltrato alle superiori autorità. Il 6 dicembre 1921 furono cambiate le circoscrizioni elettorali nel distretto di Pisino ed il 19 gennaio 1922, dopo le elezioni amministrative, nacque il comune di Valdarsa, formato esclusivamente da contrade istro-romene, ed egli fu il primo sindaco. Le frazioni erano Grobenico dei Carnelli già di Pisino, Briani, Frassineto e Villanova già di Fianona, Frascati, Gradigne e Letai già di Bogliuno. Il municipio fu posto a Frascati ed il comune ebbe una superficie di 5500 ettari con una popolazione di 2200 abitanti. Il Glavina volle come stemma la colonna traiana, simbolo dell'amicizia italo-romena, ed il Prefetto, tramite l'Ufficio delle Belle Arti, lo accontentò. Il giorno dell'inaugurazione tenne un discorso in tre lingue, italiano, istro-romeno e romeno, che suscitò molta commozione; i cici in pochissimi anni avevano ottenuto tutto dall'Italia, mentre in un secolo non avevano avuto nulla dall'Austria. Il vescovo della diocesi di Pola-Parenzo istituì la nuova parrocchia di Valdarsa proclamando patrono S. Giovanni Battista. Appena eletto, il sindaco non si cullò sugli allori, ma continuò a lavorare tra la mancanza di risorse finanziarie del comune e le non perfette condizioni fisiche; si preoccupò di reperire un immobile più grande per la scuola, di alloggiare degnamente gli insegnanti forestieri, di far costruire una strada che collegasse Valdarsa sia alla costa orientale dell'Istria che a Pisino nell'interno, di far installare un ufficio postale, telegrafico e telefonico, di avere collegamenti autobus quotidiani con Fiume e Pisino, di istituire esercizi commerciali che erano assenti in tutto il territorio (alla sua morte ne funzionavano cinque).

Per risollevare le condizioni economiche pensava a due grandi progetti: la bonifica del bacino del fiume Arsa (l'idea risaliva al 1771, ma né Venezia né l'Austria erano riuscite a realizzarla) che fu completata nel 1932, e lo sfruttamento di una miniera di carbone semiabbandonata (dopo poco tempo diventò la più granded'Italia, fornendo 1.000.000 di tonnellate annue di litantrace e dando lavoro a 6700 operai). A causa della sua prematura scomparsa non potè vedere realizzate queste cose. Agli inizi degli anni Venti scrisse «I romeni dell'Istria», di carattere storico-politico e «L'educazione nazionale» (da non confondere con l'omonima rivista fascista) in cui trattò questioni pedagogiche riguardanti l'insegnamento bilingue della scuola italo-romena. Consumato dalla tubercolosi, si spense a soli 43 anni nell'ospedale di Pola, il 9 febbraio 1925, lasciando la moglie Fiorella Zagabria ed una figlia che attualmente risiede a Faenza. La sua scomparsa fu pianta da tutti coloro che lo conobbero, italiani o cici che fossero, e suscitò una certa eco anche in Romania. Gli scritti sparsi degli ultimi intensi anni, poesie, canzoni, lettere ed altro furono raccolti dalla moglie nella pubblicazione postuma «Promemoria e lettere». Attualmente il suo ricordo sopravvive nell'Associazione culturale Andrei Glavina di Trieste [ora a Roma], sorta con lo scopo di tutelare la più piccola minoranza etnica d'Europa dilaniata dall'esodo da Valdarsa dopo la seconda guerra mondiale e dalla diaspora in tanti stati.

A conclusione voglio far leggere l'Innno Istro-romeno, tratto da Promemoria e lettere, testimonianza del grande amore che nutrì per l'Italia e la sua gente:

Imnul Istro-Romanilor:

Roma, Roma i marna noastra
Noi Romani ramanem
Romania i sora noastra
Tot un sàngavem.
Nu suntem siguri pe lume
Si 'nea avem frati
Italiani cu mare nume
Mana cu noi dati.
Ca sa fim frate si frate
Cum a dat Dumnezeu
Sa traini pana la moarte
Eu si tu si tu si au.

Questa è la traduzione dell'inno:

Roma Roma è la nostra madre
Noi rimaniamo romani
La Romeni a à la nostra sorella
Abbiamo tutti un sangue
Non siamo soli al mondo
Se abbiamo fratelli
Gli Italiani da nome illustre
Ci hanno dato una mano
Siamo fratelli e sorelle
Come l'ha stabilito il Signore
Così lo sosterremo fino alla morte
Io con te e tu con me.

Antonio Fares

  1. vedi Il Monitore n. 1 del 1995 Geografia nelle scuole n. 2 del 1997;
  2. ricordiamo che fu uno dei massimi studiosi di dalmatico e l'autore del primo Atlante linguistico.

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Courtesy of Sergio Fermeglia (Arena article) and Franco G. Aitala (article repinted in La Voce della Famie Ruvignese)

Created: Sunday, February 27, 2000; Updated: Sunday, March 27, 2022
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