Tra Tartini e
Dallapiccola: Antonio Smareglia, il piccolo genio istriano
© Di Stelvio Mestrovich
[Dedicato al mio grande amico
Felix]
Un temporale minaccia la cittadina di Dignano
d'Istria: è la musica che descrive le parole che vanno a formare il dramma di
Marussa e di Lorenzo, il prologo sa di cupa atmosfera che, con i suoi lampi e
tuoni, svela un inizio d'opera che preannuncia una fine già segnata. L'inganno
tingerà di sangue l'amore di due giovani e artefice ne sarà proprio il padre di
lei, Menico, avaro e crudele, che vuole che la figlia sposi Nicola, un buon
partito, disposto a rinunciare alla dote. L'orchestra fa ed è il tempo. Dai
timbri pastorali a quelli folkloristici; dalla villotta alla canzone d'amore;
dai lampi alla preghiera di Marussa del terzo atto e al duello mortale. Nella
cartolina in bianco e nero di Dignano, tra i chiaroscuri di quell'agglomerato
urbano che ricorda la piazza di Soelden della Wally, l'incontro tra Marussa e
Lorenzo genera lo scambio di un pegno d'amore: la ragazza dona un cuoricino
d'oro, il giovane un orecchino. Menico vede tutto, interviene e si vendica. Con
l'aiuto dello stornellatore Biagio concerta un piano diabolico: trova il dono di
Lorenzo che Marussa aveva nascosto ai piedi di una statuetta della Madonna,
incarica una ingenua fragolaia slava di restituirlo al giovane, facendogli
credere così che l'amore della figlia è finito. Lui cade nell'inganno e,
disperato, rispedisce al mittente il cuoricino d'oro. E' Marussa questa volta a
pensare di essere stata lasciata dall'innamorato e acconsente di sposare il
partito propostole dal padre. Il giorno delle nozze si scopre la verità,
giungendo al fatidico duello che vede la morte dello sfortunato Lorenzo.
Questa "Cavalleria rusticana" del
Nord-Est dell'autore giuliano Antonio Smareglia incontrò i favori di Giacomo
Puccini e di Franz Lehar, che ne curò una bella trascrizione per pianoforte.
Le Nozze istriane, la più
bella opera del compositore di Pola, furono dedicate all'Arciduca Carlo Stefano.
Ciò costò salatissimo a Smareglia, che fu accusato, finché visse (e anche dopo)
di austriacantismo. Se si aggiunge l' incondizionata passione per Wagner e per
la musica tedesca si capisce, ma non si giustifica affatto, l'ottusità degli
impresari e degli editori 'italiani' che rifiutarono i lavori del compositore
istriano. Lodi, invece, e tante, gli vennero da Brahms e da Hanslick (Aus dem
Tagebuch eines Musikers). A Vienna, dove il Maestro si recò lasciando l'ostile
Milano, l'accoglienza fu calorosa e intenso il legame con i poeti tedeschi.
Di allora le opere Il vassallo di
Szighet
(1889) e Cornelio Schutt (1893), riveduta poi sotto il nome di Pittori
Fiamminghi. Entrambe furono rappresentate al Teatro Imperiale della capitale
asburgica. Il Vassallo gli valse un invito a New York, ma Smareglia
rinunciò, forte come sentì il richiamo della sua terra, di Pola, dove era nato
il 5 maggio dell'anno 1854 da Francesco e Giulia Stiglich di Lovrana. Si stabilì
a Trieste, ma anche lì non evitò persecuzioni e calunnie, la più clamorosa delle
quali fu quella di essere tacciato di antisemita. Lui che aveva composto canti
ebraici!
Colpito da una incurabile e
progressiva malattia agli occhi, nel 1900 perse la vista. Ma continuò a
comporre, dettando alla moglie, ai suoi allievi, ai figli. Completò così l'opera
La Falena, la quale fu rappresentata al Teatro Rossini di Venezia il 4
settembre 1897 sotto la direzione di Gialdino Gialdini e con il libretto del
famoso scrittore irredentista Silvio Benco. La musica piacque, sprigionando
grandiosità, misticismo e bellezza armonica. L'orchestra sostiene, meglio
sostituisce brillantemente personaggi privi di peso scenico. E' il frutto di
continui studi, il genio spesso si costruisce con le lacrime dell'arte, e
rimarca una raffinatezza iniziata con le opere Preziosa e Bianca da
Cervia. Difendere Wagner, andare contro Casa Ricordi, imporre le proprie
idee, fu difficile impresa e guerra persa. Ne fece le spese anche il grande (e
pure lui dimenticato) Alfredo Catalani. Che nacque a Lucca un mese dopo lo
Smareglia. Curioso parallelismo. Oggi a Lucca si ricorda Catalani come a Trieste
il compositore di Pola. Ma oltre i confini cittadini?
Si è scritto che le Nozze
istriane
rappresentano un tentativo di "fare entrare il popolo nell'opera" sul tipo di
quello che aveva consentito a Musorgskij di scrivere il Boris. E' vero e
aggiungo "un tentativo pienamente riuscito". Se Mascagni, Giordano, Leoncavallo
hanno sempre il loro (seppur piccolo) spazio teatrale, perché dimenticarsi di
Catalani e di Smareglia? E di quest'ultimo che fine ha fatto il tanto lodato
Inno a Tartini, il cui manoscritto giace polveroso nella casa/museo di
Tartini a Pirano? Perché non lo si esegue più?
Cari critici musicali, el piloto
muestra en la tempestad su saber y su valor.
Stelvio Mestrovich
Lucca, 23.24.25 maggio 2001
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