Prefazione
PERCHÈ UNA
STORIA DELL'ESODO
Il progetto di questa
ricerca è nato nella primavera del 1977. Ma già da tempo si pensava,
nell'ambito dell'istituto regionale per la storia del movimento di
liberazione, ad uno studio sull'esodo dall'Istria, individuando in esso
per la sua entità, le circostanze in cui venne realizzandosi e le
conseguenze che produsse uno dei grandi nodi della nostra storia
recente.
L'argomento era ed è
scottante. Il carico di passioni e di sofferenze, legato alla partenza
dalla propria terra, nell'arco di dieci anni, di una massa di popolo
valutabile ad oltre duecentomila persone, gli scontri, le lacerazioni,
le violenze che la sollecitarono e la determinarono, non rendono facile
il lavoro di chi voglia tentare, prima di tutto, di conoscere e di
capire.
Eppure conoscere e capire
sono un presupposto essenziale perche quei fatti e quelle vicende non
restino lì, come un cancro segreto, a segnare di una profonda,
sotterranea ferita la vita e i rapporti di queste terre di confine. Sta
qui la ragione di fondo di questa ricerca, lo spirito di «servizio» se
ancora si può usare questa troppo abusata e perciò logorata espressione
-sotteso al suo progetto ed alla sua realizzazione.
Credo tuttavia che su questo
sia necessario cercare di intendersi con chiarezza, soprattutto fra
quanti, in vario modo e con diverse responsabilità, su entrambi i
versanti del confine, si cerca di operare per poter assicurare a queste
zone un avvenire di pace e di collaborazione tra nazionalità, popoli e
culture diverse. Vi è infatti abbastanza diffuso, in molti ambienti
democratici italiani, sloveni e croati, verso questo passato di
lacerazioni, di lotte e di violenze, un atteggiamento che definirei di
cauteloso riserbo: meglio non rivangare queste vecchie storie, meglio
non tormentare quelle vecchie ferite: un misto di buon senso il tempo,
si sa, è un grande medico della coscienza individuale e collettiva -, e
di difficoltà per non dire esitazione, timore, incapacità ad affrontare
e condurre un discorso su tutto il complesso della propria storia, a
riflettere e discutere apertamente delle grandi tappe che nel bene e nel
male l'hanno profondamente segnata, segnando così profondamente anche il
nostro stesso presente. E vi si aggiunge a sorreggere, direi quasi a
giustificare e a nobilitare queste incertezze la preoccupazione politica
e pedagogica di chi sa di quali odi siano capaci le passioni nazionali
incontrollate, e di quali violenti contrasti e pesanti sopraffazioni
queste terre siano state teatro nei loro ultimi cento anni di storia:
una lunga vicenda che appunto nell'esodo ha trovato in certo modo il suo
drammatico epilogo. Da ciò un desiderio di dimenticare e di far
dimenticare, un'ansia di voltare pagina, uno sforzo di battere su ciò
che unisce ed ha unito, trascurando od obliterando ciò che ha
contrapposto e diviso. Non si saprebbe negare una ragione, ne una
plausibilità, a preoccupazioni e a tendenze di questo tipo; che sembrano
quasi trovare nuove giustificazioni e motivazioni dalla constatazione
che il ricordo di tali pagine di storia serve ancora, nelle mani di
gruppi nazionalistici e fascisti, come strumento non secondario per
tentare di riaccendere passioni incontrollate ed avversioni irrazionali,
per cercare di rintocolare odi e razzismi, predicando e proponendo, nel
ricordo di quelle vicende, nuove tensioni e nuova violenza. Più che mai
dunque, verrebbe da pensare, si tratta di preoccupazioni e tendenze non
infondate, legate ad un elementare buon senso e ad un'esperienza
effettiva dei tatti e delle situazioni.
Eppure, e con tutta
chiarezza, e sapendo di andare contro il sentire di molti, le definirei
preoccupazioni e tendenze nella sostanza miopi e di corto respiro,
corrispondenti ad una grave incapacità, sul piano culturale e civile, di
andare al di là della gestione del quotidiano, di quell'opera di
contenimento e di tamponamento, in sostanza subalterna all'egemonia
altrui, che troppo a lungo ha caratterizzato in queste terre
l'iniziativa delle forze tautrici di prospettive di rinnovamento
politico e sociale. Non credo intatti che un'opera di allargamento e
rafforzamento della democrazia, di proposta di nuove forme di
partecipazione e di intervento nel governo della cosa pubblica, di
costruzione di più ricche ed articolate prospettive di convivenza
politica e sociale, possa sperare di attuarsi durevolmente senza una
crescita proporzionata e parallela della consapevolezza civile e
politica. E credo anche che tale crescita non possa realizzarsi e
divenire un grande tatto collettivo se si evita di affrontare e di
discutere pubblicamente i grandi nodi storici che ci hanno tatto quello
che siamo, che hanno determinato le situazioni e le condizioni nelle
quali siamo chiamati a vivere. Le rimozioni nei confronti del proprio
passato costituiscono sempre, in prospettiva, un'operazione perdente per
tutte quelle forze che vogliono operare in direzione di un rinnovamento
della vita politica e sociale: perchè pretendono di poter ignorare un
complesso di vicende, di lotte, di contrapposizioni, che, per il tatto
stesso di essersi un tempo prodotte, condizionano, nel profondo, la
nostra vita presente.
Non starò a ripetere
l'atorisma di Gramsci che la verità è sempre rivoluzionaria, perche non
c'è detto, credo, che sia stato e sia più frequentemente e tenacemente
disatteso da protagonisti e fautori di rivoluzioni, adeguandosi così ai
loro più feroci avversari. Mi limiterò soltanto ad osservare che uno
sforzo ed un impegno di «verità», di chiarire cioè l'andamento reale dei
tatti, al di là delle dichiarazioni di intenzioni, dei fumi della
propaganda, delle strumentalizzazioni interessate, è sempre poco
sopportabile dalle situazioni irrigidite, dai rapporti sclerotizzati, da
condizioni e atteggiamenti insomma di stagnazione e di conservazione:
perche mette in movimento nuove idee, aiuta a ragionare e a discutere,
rompe i luoghi comuni di una storia ideologica e propagandistica,
costruita tutta di «buoni» e di «cattivi» e perciò secondo quegli schemi
manichei utili sempre a tutte le caste di potere e a tutti gli equilibri
di conservazione. Non è un caso del resto che lo studio della storia sia
stato così a lungo strumento di mistificazione, di propaganda e di
oleografica ricostruzione di comodo nelle mani dei gruppi di potere, a
rafforzare e a garantire appunto, anche per questa via, il mantenimento
delle masse in uno stato di subalternità. Ne è certo eludendo i
problemi, o limitandosi a rovesciare il segno del proprio discorso, che
tali situazioni e tali rapporti possono essere modificati e superati.
Mi pare difficile negare
d'altra parte che al di là di errori di calcolo e di prospettiva, e
della mancanza di coraggio intellettuale e di fantasia di cui si dovrà
tenere conto -, in quegli atteggiamenti di cauteloso e sospettoso
riserbo e di rimozione nei confronti di alcuni grandi nodi della storia
del passato, si insinua anche, ed è presente ed opera, una concezione ed
una prassi politica che vuole subalterno, e strumentale alle esigenze
immediatamente politiche del momento, il lavoro intellettuale, ed
insielne, e per questo, imposta in termini sostanzialmente
paternalistici il proprio rapporto ed il proprio discorso con le masse.
Non credo di esagerare rilevando che alcuni aspetti dell'attuale crisi
italiana, come la perdita di credibilità e di fiducia che investe le
istituzioni e gli stessi strumenti della democrazia politica, trovano
anche nel persistere tenace di tali atteggiamenti e nella difficoltà a
battere con reale efficacia e coerenza strade nuove la loro origine.
Tali considerazioni generali
potrebbero sembrare sproporzionate per introdurre una ricerca che in
fondo è solo una ricerca particolare e specifica, condotta secondo il
metodo storico, di raccolta, analisi e discussione delle fonti e di
conseguente ricostruzione dei fatti in tal modo documentabili, se non
fosse che mi sembra necessario ed urgente rimarcare lo spirito e le
prospettive con cui essa intende situarsi in un contesto locale e
nazionale che richiede un profondo mutamento di costume e di indirizzi
anche nel lavoro intellettuale. Con piena consapevolezza del suo
carattere limitato, di primo approccio serio e documentato, ma pur
sempre primo approccio di analisi e di discussione al problema
dell'esodo, tale ricerca vuole situarsi su questa strada, nell'ambizione
di offrire un contributo per una riflessione pacata e per un riesame
critico di un momento difficile ed importante della propria storia alle
comunità che abitano queste zone. Da questo punto di vista essa si
ricollega idealmente alle osservazioni con cui Andrea Benussi,
concludendo le sue memorie di militante rivoluzionario pienamente
inserito nella realtà della nuova Jugoslavia, sottolineava l'urgenza e
l'opportunità di quegli «ulteriori interventi ed approfondimenti» sulle
vicende istriane del dopoguerra, che peraltro sono finora in gran parte
mancati; e condivide lo spirito dei rilievi che chiudono la sua rapida
rievocazione delle violenze che accompagnarono in Istria, sullo scorcio
del 1953, l'accresciuta tensione fra Italia e Jugoslavia: «So che al
riguardo molti compagni preferiscono dimenticare e far dimenticare una
pagina nera della nostra storia recente. Non basta. Occorre riesaminare
criticamente quei fatti, cercarne le cause, individuarne i moventi,
soprattutto correggere i guasti. Siamo perciò critici e autocritici con
severità e coerenza per costruire nella chiarezza il nostro futuro» (La
mia vita per un'idea, Fiume 1973, p. 99).
Il fatto che
l'amministrazione provinciale abbia accolto la nostra proposta e
ritenuto positivo per la collettività un tale lavofo costituisce, mi
sembra, un indizio non secondario di serietà politica e di
spregiudicatezza intellettuale; ed indica insieme un metodo di corretto
rapporto tra enti locali ed istituti di ricerca, nel senso che, al di là
del giudizio sulla validità e l'importanza civile di promuovere o
favorire un determinato lavoro, lascia esclusivamente ai secondi la
responsabilità culturale e scientifica del suo svolgimento.
Ma detto questo, per
chiarire il complesso di considerazioni generali e di giudizi che stanno
alla base della scelta di realizzare una tale ricerca, restano ancora
alcune precisazioni per meglio definire le sue caratteristiche e la sua
portata. Non insisterò sui suoi limiti interni lo si è già rilevato ma è
opportuno ribadirlo: un primo approccio ed una prima approssimazione al
problema dell'esodo -, ovvi del resto in lavori di questo tipo, se non
altro per la documentazione, ricca certo ma pur sempre largamente
incompleta, di cui il gruppo di ricerca ha potuto disporre. Anche se non
sempre, va aggiunto, tale incompletezza era inevitabile. Il rifiuto
incontrato ad una consultazione anche parziale di complessi archivistici
di non scarso rilievo, come quello dell'Associazione delle comunità
istriane che conserva i documenti del CLN dell'Istria, trova la sua
spiegazione in diffidenze e reticenze che solo con linguaggio bonario si
potranno definire miopi. Sono state difficoltà e delusioni talvolta
inattese, largamente compensate peraltro dalla disponibilità e
dall'apertura umana e civile incontrate altrove: ma su questo ampiamente
si soffermano gli autori nella loro introduzione perche debba precisare
oltre.
Mi preme piuttosto ribadire
l'impegno di analisi e di conoscenza reale, la volontà e lo sforzo di
comprensione dall'interno delle diverse posizioni, con cui tale ricerca
è stata condotta. L'ho già rilevato all' inizio: non sono vicende che
rendono facile, ne facilmente accettabile, il lavoro di chi voglia
tentare, prima di tutto, di conoscere e di capire: perche non è facile
conseguire la disponibilità, l'apertura, l'atteggiamento mentale che un
tale tentativo richiede. Non è facile per chi cerca di realizzarlo nel
suo concreto lavoro di ricerca e di studio, sempre insidiato dalla
passione ideologica e dal settarismo politico, che sollecitano il
giudizio di parte e premono sotterraneamente a deformare situazioni e
circostanze; ma nemmeno è facile per quanti furono partecipi o
spettatori di quella ormai lontana esperienza, proprio per questo spinti
irresistibilmente alla formulazione di un giudizio di innocenza o di
colpa, interessati prima di tutto a individuare e a separare ragioni e
torti, o meglio ancora vittime e carnefici, colpevoli e giustizieri, a
seconda dell'ottica assunta e delle scelte di campo allora compiute; e
sospettosi perciò, come di un inganno segreto, verso chi si rifiuta oggi
di scendere su questo terreno, quasi volesse deformare o alterare quelle
vicende e cancellare quelle softerenze, assumendo una posizione di
diplomatico e formale distacco. Credo di poter dire e le analisi ed i
giudizi di questo volume stanno a dimostrarlo che un'intenzione ed una
prospettiva del genere erano ti sono assenti in quanti abbiamo proposto
e sostenuto questa ricerca, come in coloro che l'hanno effettuata e
condotta a buon fine. Per usare una formula: in una ricerca storica che
si rispetti, come questa vuole essere, tutte le cose vanno chiamate col
loro nome, e perciò le violenze sono e restano violenze, come le
sopraffazioni, le intimidazioni, e via dicendo, e non c'è comprensione
dall' interno che possa cancellarle; o meglio ogni tentativo compiuto in
questo senso diventa mera mistificazione ideologica e propagandistica, e
perciò falsa comprensione, e pessimo servizio reso alla ricerca della
verità e alla formazione di una coscienza civile. E tuttavia credo anche
di poter dire che non interessa a questa ricerca non interessa alla
ricerca storica -stabilire le ragioni e i torti, distribuire giudizi di
condanna e di assoluzione.
Non è questa certo la sede
per discutere sulla natura e le caratteristiche del lavoro
storiografico: ma tuttavia alcune cose vanno precisate per evitare
equivoci, sospetti e false attese. Checche ne sia di quel vecchio detto
popolare che parla del tribunale della storia, penso che non siano gli
studiosi di storia che possono aspirare di formarne la corte: perche lo
studioso di storia non è un giudice e non compete a lui distribuire
condanne e assoluzioni. E non solo per la buona ragione che le condanne
e le indignazioni storiografiche sono per lo più indisponenti e risibili
perche irrimediabilmente libresche, manifestazione di un «alto sentire»
maturato a tavolino e perciò fastidioso, frutto di quel moralismo
storiografico che, com'è stato detto, è il più squallido, perche il più
comodo e facile, di tutti i moralismi. Ma anche perche ciò che realmente
conta in un lavoro storiografico che voglia fare delle esperienze del
passato occasione e ragione di crescita della consapevolezza collettiva,
è capire i meccanismi, le condizioni, le situazioni, che hanno
determinato quei dati fatti, un capire che si colloca ad un livello
diverso e più profondo del giudizio penale, e dove contano soprattutto i
perchè perchè di quei fatti, di quelle lacerazioni, di quelle violenze
-, dei perchè ai quali non si può dare tuttavia risposte univoche e
semplificanti.
Non so e francamente se ne
può dubitare se lo studio della storia possa anche vaccinare contro il
ripetersi di errori, di intolleranze, di sopraffazioni ideologiche e
materiali; individuando ed analizzando le strade, il contesto, le
occasioni che hanno permesso loro di prodursi nel passato, penso però
che esso possa rendere più acuta la vista e precisa la percezione nei
confronti dei problemi attuali, e delle condizioni e delle difficoltà
che ne accompagnano la soluzione. Ed è forse proprio da questo punto di
vista che l'antico detto della storia «maestra della vita»
mantiene un suo senso ed una sua validità, non in quanto lo studio o
l'esperienza di determinati avvenimenti possa offrire indicazioni sui
comportamenti e le scelte da l'attuare nel presente, ma in quanto aiuta
ad acquisire una maggiore consapevolezza della complessità degli
intrecci e dei condizionamenti, premunendo dalle frettolose
semplificazioni, in quanto contribuisce ad affrontare correttamente, nel
loro intero spessore temporale, i diversi problemi, m quanto permette di
stabilire e chiarire nessi e rapporti non sempre facilmente
individuabili.
Ricordare che la storia del
secondo dopoguerra è una storia tormentata e difficile è quasi una
banalità: ed è una banalità sottolineare come l'esodo dall'Istria si
collochi all'interno di vicende di dimensioni mondiali, che videro
mutamenti politici e sociali profondi, spostamenti di intere
popolazioni, in un crescere di tensioni e di lacerazioni che aprirono
nuovamente davanti all'umanità il baratro di una terza guerra mondiale.
Ma vi è anche nell'esodo una storia più puntuale e specifica, segnata di
tutte le sopraffazioni e le durezze del ventennio fascista e della
guerra, intessuta di scontri nazionali e di contrapposizioni sociali ed
ideologiche di antiche radici, fatta di modi di pensare e di modelli di
azione e di comportamento sostanzialmente diversi, che acquistarono, in
quel più ampio contesto, una carica profondamente lacerante l'intero
tessuto sociale. Di questa non breve vicenda questo libro cerca di
ricostruire il quadro, le motivazioni e le tappe: nella consapevolezza,
non lo si ribadirà mai abbastanza, delle molte cose che restano da
chiarire, ed insieme nella volontà e nella speranza di farsi discutere e
di far discutere. È necessario infatti che anche altri punti di vista
entrino in campo, che la discussione e 10 studio si allarghino ad altri
contributi e ad altre voci: se ciò avverrà, non per spirito di polemica
o di rivalsa, ma secondo gli intendimenti di conoscenza e di
comprensione che hanno mosso i promotri e gli estensori di questo libro,
esso avrà raggiunto il suo scopo principale; e ne guadagnerà, credo, il
costume civile e la consapevolezza politica di queste regioni.
Giovanni Miccoli
|
Introduzione
La ricerca che è oggetto di
questo volume rappresenta un primo tentativo di ricostruire il complesso
di vicende che ha determinato nel primo decennio del dopoguerra l'esodo
di circa 200.000 persone dalle terre passate alla sovranità jugoslava in
seguito al trattato di pace ed al successivo memorandum di Londra. Allo
stesso tempo questo lavoro intende affrontare il discusso problema
dell'inserimento degli esuli a Trieste e nella provincia.
Ciò che riteniamo vada
sottolineato prioritariamente è che il volume non pretende in alcun modo
di esaurire il problema in tutta la sua complessità. Si tratta di un
primo tentativo di ricostruzione che, pur presentando naturalmente
alcune linee interpretative, vede al suo interno ancora molte questioni
aperte che un successivo apporto documentario potrà approfondire.
Abbiamo cercato di ripercorrere l'iter che ha portato la popolazione
istriana alla decisione di abbandonare la propria terra alla luce degli
avvenimenti di quel periodo. È emersa d'altra parte con sempre maggior
chiarezza ne] corso della ricerca la necessità di risalire ben più
addietro nel tempo per comprendere i fenomeni che andavamo via via
affrontando. Tale consapevolezza, avvertita del resto sin dall'inizio
come criterio generale di metodo, è stata rafforzata dall'analisi
concreta dei materiali, in particolare quando si è trattato di
ricostruire l'atteggiamento della popolazione nei confronti dei fatti
che la vedevano coinvolta. I criteri con cui essi erano giudicati e i
valori che tendevano a mettere in discussione erano infatti il frutto di
un deposito secolare sul quale in particolare avevano inciso, in modi
diversi, i fenomeni legati all'ormai più che ventennale inserimento
dell'Istria nello stato italiano ed, in tale contesto, all'azione del
regime fascista. Non era dunque sufficiente analizzare le particolari
vicende connesse al passaggio di quelle terre all'amministrazione
jugoslava ed al loro successivo inserimento nella RFPJ: occorreva
disporre di un retroterra ampio di studi sulla storia istriana della
prima metà del secolo che, allo stato attuale, manca sia da parte
italiana che jugoslava, se si vogliono eccettuare contributi centrati
esclusivamente sulla problematica politico-nazionale. Sono carenti
infatti - o troppo provvisori - lavori sistematici sulle modificazioni
di natura economico-sociale introdotte in Istria nel periodo fascista, e
tale carenza ha rappresentato uno dei limiti oggettivi con cui la
ricerca ha dovuto misurarsi. È stato possibile aprire solo delle
parentesi problematiche a tale proposito, od operare alcuni parziali
sondaggi all'indietro, individuando soprattutto - a partire dagli
sviluppi successivi - alcune possibili piste di ricerca. Con maggiore
puntualità abbiamo invece potuto ricostruire i condizionamenti di natura
ideologico-culturale, in particolare quelli legati al patrimonio
liberal-nazionale, che hanno influito sull'atteggiamento delle diverse
forze accomunate -sia pure con diverse sfumature - nella battaglia per
l'appartenenza statale della Venezia Giulia all'ltalia.
Per quanto concerne il periodo più
specificamente trattato si è cercato di fondare la ricerca sul
reperimento e la raccolta di una gamma la più ampia possibile di fonti.
Non ci si è limitati d'altronde a selezionare i dati e le informazioni
riguardanti il fenomeno specifico e particolare della partenza degli
istriani e delle misure che in modo più palese ne erano la causa
immediata. L'esodo infatti si collega a processi più ampi di quelli
circoscritti all'area istriana, quali il complesso intersecarsi delle
trattative internazionali, i difficili problemi della costruzione dello
stato socialista jugoslavo e gli sviluppi della politica interna
italiana nell'immediato dopoguerra. Si tratta di nodi ancora non sempre
sufficientemente studiati soprattutto per quanto riguarda il settore
jugoslavo.
Nel corso della ricerca le connessioni
fra 10 specifico problema dell'esodo ed il contesto ampio in cui esso si
inseriva sono state tenute costantemente presenti. D'altro canto questo
non può essere considerato un libro sul complesso dell'lstria in questo
periodo, ciò che richiederebbe un ben maggiore approfondimento ed
ampliamento dell'indagine nei diversi settori. Esso rappresenta
piuttosto un modo particolare di accostarsi alla questione istriana.
L'esodo infatti è, a nostro modo di vedere, per la sua stessa natura di
fenomeno dilacerante e contraddittorio, un osservatorio del tutto
privilegiato, che contribuisce a rompere la compattezza di facili
semplificazioni e di schemi mutuati - come spesso è accaduto ed accade a
proposito della storia regionale - dalla propaganda messa in opera dai
diversi schieramenti all'interno dello scontro nazionale.
La fonte maggiormente utilizzata in
questo primo approccio al problema è stata la stampa di diverso
orientamento, quotidiana e settimanale, particolarmente abbondante -
come peraltro accade in Italia - a Trieste e in Istria nel primo
dopoguerra. Tale materiale presenta indubbiamente una serie di limiti
non irrilevanti, legati soprattutto al taglio con cui i giornali
venivano redatti in quel periodo. Loro compito principale infatti, in un
momento caratterizzato da un aspro scontro politico-nazionale, era
quello di orientare e di formare l'opinione pubblica, a scapito della
stessa informazione. Questo ha permesso d'altro canto di ricostruire
puntualmente l'evolversi delle linee dei diversi schieramenti attraverso
non solo l'analisi degli editoriali e degli articoli di fondo, ma anche
a partire dal taglio secondo cui le stesse notizie di cronaca erano
riportate. Inoltre è stato possibile utilizzare nell'organo di stampa
una quantità di informazioni per così dire «minori» (notiziari, avvisi,
annona, locandine, cronaca nera) che permettono di fare luce, seppure
parzialmente, sulle concrete condizioni di vita della popolazione.
Come emerge dal volume la stampa
maggiormente utilizzata è quella in lingua italiana, non solo quella
edita a Trieste dai vari schieramenti, ma anche gli organi emanazione
delle organizzazioni legate al partito comunista jugoslavo in Istria. Il
privilegiamento dei giornali in lingua italiana anche a proposito di
quest'ultimo settore non è il risultato di una scelta pregiudiziale,
quanto l'esito di una constatazione oggettiva. Le autorità che
amministravano nel dopoguerra la zona B della Venezia Giulia usarono
l'organo di stampa come uno dei canali privilegiati nel rapporto con la
popolazione italiana della regione. Di qui la pubblicazione di organi in
lingua italiana che rappresentano la grande maggioranza della stampa
pubblicata in Istria e che del resto riportano frequentemente traduzioni
di articoli particolarmente significativi comparsi sui giornali
jugoslavi sia sloveni che croati. Il lavoro comprende anche una certa
quantità di fonti d'archivio, reperite per lo più presso l'Archivio
centrale dello stato. Si tratta però purtroppo di fonti che non superano
la data del 1948, imposta dalla vigente normativa sull'apertura degli
archivi. Ne resta dunque escluso un periodo non irrilevante ai fini
della ricerca. Non è stato possibile inoltre consultare neppure per il
periodo precedente al 1948 l'importantissimo fondo dell'Ufficio zone di
confine tuttora non depositato dalla presidenza del consiglio presso
l'Archivio centrale stesso. Si tratta di un materiale vario dal punto di
vista qualitativo e spesso frammentario. Una serie di carteggi fra
ministeri e personalità di rilievo negli ambienti governativi apre
d'altra parte interessanti spiragli sul dibattito allora in corso a Roma
sulla vicenda dell'esodo. Non ci è stato possibile inoltre consultare il
materiale presente nell'archivio del ministero degli esteri tuttora in
fase di riordino. Non ha ricevuto risposta la domanda di consultazione
degli archivi della prefettura di Trieste, mentre ha avuto esito
negativo quella inoltrata all'Associazione delle comunità istriane che
raccoglie la documentazione relativa all'attività del CLN dell'lstria.
Un materiale prezioso è stato quello dell'archivio dell'Istituto
regionale per la storia del movimento di liberazione nel FriuliVenezia
Giulia. Grazie alla gentilezza e alla disponibilità della famiglia
Drioli ci è stato possibile disporre infine del materiale raccolto da
Luigi Drioli, recentemente scomparso, che fu un autorevole esponente del
CLN dell'lstria. Questa occasione ci ha permesso di valutare l'utilità
di fondi documentari che, sovente in possesso di privati, potrebbero
essere adeguatamente valorizzati, qualora fossero segnalati e resi
disponibili. Va precisato, a proposito del materiale archivistico, che
per un prosieguo della ricerca sarebbe utile in primo luogo la
consultazione di materiali che aiutino a mettere in luce gli aspetti più
ampiamente «sociali» della vicenda dell'esodo. Più che documenti
relativi a singole personalità e al loro comportamento si tratterebbe di
reperire prospetti statistici e materiale organizzativo (ampiezza
dell'erogazione dei sussidi e criteri con cui essa veniva attuata, dati
concernenti l'appartenenza sociale degli esuli, ecc.). Un esempio di
come anche una documentazione per molti versi di «ordinaria
amministrazione» possa essere centrale nella ricostruzione di una
situazione e di un periodo sono gli atti del CLN di Pola pubblicati a
cura di Pasquale De Simone, largamente utilizzati in questo volume. Un
terzo gruppo di fonti è rappresentato dalle testimonianze orali
forniteci sia da personalità che allora ricoprivano ruoli di rilievo
all'interno delle organizzazioni e dei partiti, sia da gente comune che
visse quella traumatica esperienza. In particolare queste ultime si sono
rivelate ricche di stimoli per la loro immediatezza e la possibilità che
hanno fornito di conoscere alcuni aspetti quotidiani della vita in
Istria in quegli anni. Hanno permesso soprattutto di percepire -anche se
irrigidito nel ricordo -il formarsi di un clima che giorno dopo giorno
ha visto crescere la scelta di un'intera collettività di abbandonare la
propria terra. Allo stesso tempo le testimonianze si sono rivelate una
chiave di lettura particolarmente preziosa ai fini dell'analisi della
stessa stampa periodica. La compattezza dei diversi s~hemi ideologici di
cui essa si fa portavoce ne è stata messa in discussione. 1 racconti di
vita hanno permesso infatti di cogliere, nella loro concretezza, i
meccanismi attraverso i quali si forma -o si incrina -una piattaforma di
consenso attorno alle diverse linee. Va sottolineato d'altronde che tale
indicazione di lavoro dovrebbe essere sviluppata e dettagliata al di là
di quanto è stato possibile fare in questa ricerca. Un ulteriore
approfondimento in tale direzione comporterebbe una raccolta sistematica
più ampia di quella da noi condotta (circa quaranta interviste) che
sarebbe auspicabile comprendesse anche le testimonianze di coloro che
scelsero di rimanere in Istria. Oltre agli oggettivi limiti di tempo che
hanno impedito l'allargamento del programma di interviste, non sono
mancate difficoltà dipendenti dalla comprensibile reticenza di molti
esuli, restii a rinvangare un passato per loro doloroso. In altri si
manifestava la tendenza a non considerare sufficientemente significative
le esperienze della propria vita quotidiana ai fini di una ricerca
storica, quasi fossero «altro» dalla «grande storia».
Abbiamo mantenuto I'anonimato di queste
testimonianze. Ciò risponde da un Iato alla precisa richiesta di alcuni
degli interessati, dall'altro però al fatto che riteniamo gli episodi
raccontati in tali interviste emblematici di per se, al di là della
citazione dei nomi di coloro che ne furono protagonisti. Le
testimonianze rispecchiano la forma del linguaggio parlato e sono state
trascritte dai nastri incisi nel corso delle interviste ora depositati
presso l'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione
nel Friuli-Venezia Giulia. Si è ritenuto opportuno tradurre tali passi -
che nell'originale sono per 10 più in dialetto - per esigenze di
intelligibilità anche al di fuori della regione. È stata mantenuta la
forma dialettale esclusiva. mente laddove la traduzione avrebbe alterato
la pregnanza di significato di singole parole o di intere frasi.
Diverso e più tradizionale è l'utilizzo
fatto delle testimonianze di persone che furono attive protagoniste
delle vicende, interessanti per la conoscenza di particolari inediti, ma
fondamentalmente legate a schemi interpretativi compatti ed
ideologicamente definitiSi è fatto inoltre ricorso ad alcune altre fonti
solo apparentemente marginali, quali la memorialistica esistente, la
legislazione (italiana, del GMA e dell'amministrazione jugoslava) ed il
materiale statistico edito dall'Opera profughi e dalla presidenza del
consiglio. A proposito di quest'ultimo è stata riscontrata
l'impossibilità, allo stato attuale delle conoscenze, di ricostruire nei
dettagli dal punto di vista quantitativo il fenomeno dell'esodo al di là
di alcune cifre di massima su cui del resto le diverse fonti sono
concordi. Certamente sarebbe interessante pervenire ad una
quantificazione più precisa, anche se una correzione di poche migliaia
in più o in meno non sposta la sostanza del fenomeno e le sue
caratteristiche di massa. Molto stimolante è risultata la lettura di una
serie di opere narrative, in particolare quelle di Fulvio Tomizza,
ricche di particolari riguardanti la vita quotidiana in Istria, sia pure
filtrati attraverso gli specifici moduli del linguaggio letterario.
La ricerca è stata frutto di un lavoro di
gruppo che si è sviluppato attraverso diverse fasi. Vi è stata in primo
luogo una raccolta comune dei materiali ed un'elaborazione unitaria del
piano generale dell'opera. In tale stadio del lavoro la discussione è
stata continua ed ha permesso di valorizzare le diverse competenze in
uno sforzo comune in cui si sono rivelate stimolanti anche le diverse
opzioni ideologiche dei membri del gruppo. È seguita una fase di
rielaborazione dei materiali raccolti e l'individuazione comune dei nodi
pro. blematici e della scansione cronologica interna, da cui è derivata
l'attuale ripartizione dei capitoli. La stesura di questi ultimi è stata
invece individuale ed è per tale motivo che ognuno di essi è stato
firmato dal suo autore che in questo modo se ne assume tutta la
responsabilità. La diversa ampiezza dei contributi individuali non
risponde alla ripartizione originale del lavoro, ma è la conseguenza,
dopo un anno di lavoro comune, della partenza per il servizio mili. tare
di un membro del gruppo e del sopravvenire di impegni scola. stici per
un altro.
Hanno collaborato a questo lavoro la
dott. Annamaria Brondani con l'analisi della legislazione italiana in
favore dei profughi pubblicata in appendice ed il dott. Andrea
Wehrenfennig che ci ha aiutato nello spoglio del «Primorski Dnevnik».
Durante i primi mesi della ricerca
nell'ambito dell'Istituto regionale per la storia del movimento di
liberazione sono stati tenuti alcuni seminari che hanno focalizzato su
di un piano generale vari temi connessi alle vicende dell'esodo. Nel
corso del primo anno di lavoro vi è stata anche una serie di riunioni
fra i membri del gruppo ed una commissione nominata dalla provincia di
Trieste con fini di consulenza per quanto riguarda l'individuazione ed
il reperimento delle fonti. Ne furono membri Arduino Agnelli, Rinaldo
Fragiacomo, Guido Miglia, Iginio Moncalvo, Nicolò Ramani, Ruggero
Rovatti, Paolo Sema e Raffaele Tomizza. Tali riunioni sono sempre state
utili e stimolanti. In particolare ringraziamo Guido Miglia, Nicolò
Ramani, Paolo Sema e mons. Tomizza per la sollecitudine con cui si sono
ado. perati nel corso della raccolta delle testimonianze, non
segnalandoci solo nominativi di possibili intervistati, ma assistendoci
concreta. mente nel lavoro di raccolta. Ricordiamo in questa sede Luigi
Drioli, membro della commissione, scomparso prima dell'inizio della sua
attività.
Ringraziamo la famiglia Drioli per la
disponibilità e la squisita cortesia con cui ha fornito i documenti in
suo possesso. Ringraziamo inoltre tutti coloro che ci hanno concesso la
loro testimonianza, il personale ed i ricercatori dell'Istituto
regionale per la storia del movimento di liberazione, il personale
dell'Archivio centrale dello stato ed in particolare la dott. Paola
Carucci, il personale della biblioteca civica di Trieste, quello della
studijska knjiznica di Capodistria e della Narodna in studijska
knjiznica di Trieste, l'Associazione delle comunità istriane per il
prestito di alcune raccolte di stampa, la direttrice della casa di
riposo «Giani e Carlo Stuparich» di Borgo San Mauro, il dott. Luigi
Mestroni dell'ufficio statistiche del Comune di Trieste e Gabriella
Zanini che ha collaborato alla correzione delle bozze.
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