Storia di profughi
Inviato Sunday, 24 November, 2002
Da medusina
Io sono figlia di una profuga istriana.
Nel 46 mia madre aveva nove anni, un fratello di quindici e una
sorellina di tre.
I miei nonni vivevano a Pola, anzi in un
paesino lì vicino...avevano una casetta dignitosa, le galline, i
conigli...mio nonno andava a pesca nel loro bellissimo mare, cantava nel
coro dell'Arena di Pola e ne andava fierissimo. La famiglia del nonno
era composta da dodici fratelli. Quando lasciarono l'Istria rimase in
contatto con due soli suoi fratelli, uno che rimase lì, e uno che finì a
NY.
Nel mio garage c'è ancora l'armadio della
camera da letto dei miei nonni, con dietro scritto a pennarello il loro
cognome e un numero di riconoscimento...lasciarono tutto, la casa, gli
animali, i ricordi, gli amici...si imbarcarono in grandi navi, pieni di
fagotti e fagottelli, nel filmato che ogni tanto la Rai proietta si vede
mia nonna con mia zia in braccio, al Porto, in procinto di imbarcarsi,
con una faccia smarrita e addolorata. Vennero portati a Brindisi, dove
alloggiarono per dieci anni in un campo profughi, una baraccopoli, per
dirla in soldoni. Mio nonno dimagrì circa quaranta kg, e non che prima
fosse grasso...mia madre era relativamente piccola e comunque anche a
Brindisi c'era il mare e riuscì bene o male ad adeguarsi. Vivevano
strettamente uniti nella comunità istriana, tra la diffidenza dei
brindisini e le continue visite dei piskelli marinai che andavano ad
abbordare le ragazze. Il loro vivere unitissimi permise loro di non
perdere il dialetto, le usanze, le IDEE, direi, soprattutto. Mia madre,
che ne parla pochissimo, dice che non furono anni felici...mi nonno e
mia nonna erano amari, e spaesati, e non amavano il posto in cui
stavano. Mangiare era un'impresa, le patate erano all'ordine del giorno,
e l'ovetto fresco se lo beccava la mia mamma che era la più gracile.
Rimpiangevano l'istria, Pola, mio nonno non ha mai smesso di cantare le
opere, tant'è vero che io da piccolissima le sapevo a memoria...e poi
canti tedeschi, austriaci, presi chissà da quali angoli della loro
cultura.
Dopo dieci anni fu loro proposto di
trasferirsi a Roma, in case popolari alla Garbatella (il tuttora detto
"quartiere istriano"), in brutti e alti palazzacci. Mia madre perse il
mare definitivamente.
Perse il suo timbro di voce, le
inflessioni dialettali..
Mia zia e mio zio trovarono lavoro, una
in fabbrica, l'altro pure...mia madre studiò, prese il diploma
magistrale...mio nonno deperiva, anche mia zia..perse i capelli....non
erano abituati alla città, e nemmeno ad essere trattati come una specie
di zingari, di estranei...coi loro vestiti da poco prezzo, i mobilacci
rimediati...non è facile ricostruire una famiglia, una casa, dal
niente..
Mio nonno faceva lavori saltuari, si
ostinava a cucinare crauti, orzo con i fagioli....mai vista una
pastasciutta a casa dei miei nonni. Ogni volta che poteva, andava a
Pola....e tornava depresso...scriveva sulla Settimana Enigmistica,
preparava i cruciverba, andava alle riunioni degli istriani a Roma,
manifestazioni tristissime in cui non facevano che piangere.
Odiava i romani, odiò anche mio papà,
raramente lo fece salire a casa. Diceva che per distinguere la mano
destra dalla sinistra avremmo avuto bisogno di un nastro sul polso..
Odiava il posto stesso in cui veniva
costantemente odiato...che terribile contraddizione. L'odio maggiore lo
provarono quando mia madre, in qualità di profuga, ottenne una cattedra
a scuola, scavalcando la graduatoria.
Ci furono un sacco di storie, diciamo che
le davano della "raccomandata", dopo dieci anni in mezzo alle lamiere...
Alla fine, mia madre però si adattò
bene...conobbe mio padre, si sposò...mia zia, sebbene ormai praticamente
calva e magra come uno stecco, anche lei si sposò...mia nonna aiutò mia
madre a crescerci, anche se ci chiamava bastarde, tentava sempre di
insegnarci il suo dialetto, ma noi anche se l'abbiamo sempre compreso ci
siamo sempre rifiutate di parlarlo..
Mio nonno, invece....divenne un vecchio
rancoroso, che odiava l'italia con tutte le sue forze...e che non aveva
la forza di tornare lì da dov'era venuto e ricominciare, avrebbe potuto
farlo, ormai...
Cantava in austriaco, praticamente per
tutto il giorno..guardava le foto della casa abbandonata tanti anni
prima... piano piano non volle più che andassimo a trovarlo, insultava
tutti..."Calabrese!" diceva.
Bestemmiava, brontolava, era una belva in
gabbia, lui abituato al mare, ai rovi di more, alle strade sterrate,
alla vita di paese, si sentiva prigioniero..non accettava il caffè nella
macchinetta, voleva solo quello alla turca...insomma.... non è facile
per me tornare indietro di diversi anni...
Quando nacque mio figlio non volle
nemmeno vederlo. ormai era chiuso nel suo mondo di rimpianti e di odio
per la vita che l'aveva tradito...dopo pochi mesi si lasciò morire, poco
a poco...
Non vedrò più il suo nome a margine di
qualche cruciverba..non lo sentirò più raccontare di quando nell'Arena
di Pola facevano l'Aida...non vedrò mai più i suoi occhi di quello
strano colore giallo che tanto mi ricordano quelli di alcuni bambini
Rom...
E' una storia così, nemmeno troppo
triste, nessuna violenza fisica, ma una grande sofferenza nello spirito,
per sei persone che io ho amato.
Tratto da:
- Medusina WebLog -
https://www.medusina.com/newspro/arc8.html
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