Racconto da Una cornice per venti ritratti

Don Giovanni Bertassi

[Tratto da: "Per ricordare don Giovanni Bertassi", La Voce del Popolo, 14 marzo 2004 - http://www.edit.hr/lavoce/040313/esuli.htm.]

[...Uno dei racconti che fanno parte di un volumetto intitolato "Una cornice per venti ritratti", scritto da don Giovanni Bertassi, profugo da Dignano, e purtroppo venuto recentemente a mancare in seguito ad una grave malattia.]

La maggior parte dei miei parenti sono attualmente dispersi per il mondo. Profughi dall'Istria dal 1947, tollerati in Italia, essi hanno cercato nel 1952 un modo (ed un passaporto) per sopravvivere. Emilia e Mario in Canada, Martino e Maria con Anna e Nino in Australia, zia Maria con Bepi, Giovanni e Berto in Brasile, mentre io, Carlo, Antonio e Rosa per ragioni diverse siamo rimasti in Italia. Noi, come tutti gli sradicati siamo in apparenza persone strane, sempre in agitazione: è che come tutte le persone che hanno perso la patria, ci sentiamo come sospesi in eterno sul bracciolo di una sedia, sempre sul punto di alzarci e di andarcene altrove, nella illusoria speranza di trovare finalmente la sedia giusta su cui fermarci.

Qualcuno, bontà sua, pensa che questa nostra inquietudine sia un inconscio desiderio del Paradiso. Così per esempio mi ha scritto l'amico don Giacomo, cardinale arcivescovo di Bologna, al mio ritorno dal sud America: "...vedo che il globo terracqueo ormai per te non ha più nessuna regione inaccessibile. Ti lodo e ti ammiro anche se non mi riesce di invidiarti. Forse vai in cerca di nuovi paesi da visitare o addirittura nuove patrie, solo perché non trovi mai sulla Terra la nuova Gerusalemme che è l'oggetto vero ed inconsapevole dei tuoi inseguimenti. A questa patria ormai stiamo approdando. A me tocca fino a che non me ne andrò anch'io fare i discorsi funebri di tutti i nostri compagni di classe. Se anche tu vuoi questo onore, non andare troppo lontano a concludere la tua bella avventura".

Ho notato che anche i miei congiunti e tutti gli emigrati in generale non stanno mai fermi: tornano spesso in Europa, visitano tutti i continenti, escono sempre e non solo per i week-end. Siamo anime in pena e ci lamentiamo che in nessuna parte del mondo si mangia come si mangiava a casa nostra; ed ecco perché ci brucia lo stomaco. Ma non è vero che ci brucia lo stomaco per il vitto: è che soffriamo di una malattia chiamata "sindrome del senzapatria ". Una malattia che toglie l'appetito e suscita dolori inesistenti se non nella nostalgia di chi si sente sradicato. Di tanto in tanto qualcuno dei nostri cari ci viene tolto per sempre. Prima papà, poi Carlo, Rosa, zia Maria, Bepi ed ora Giovanni.

La tristissima notizia mi è stata comunicata ieri: siamo stati insieme tutta l'estate in Rio Grande. Egli era somigliantissimo a me in tutto e portava il mio nome ed il cognome. Un infarto l'ha stroncato a soli 54 anni lasciando nella costernazione la consorte Dirce ed i suoi splendidi quattro figli. L'hanno sepolto laggiù a Caxias do sul, accanto ai resti mortali della mamma Maria e del fratello Bepi. Ora mi è rimasto solo Berto... Giovanni era davvero un uomo di una grande e calda umanità. La sua morte non cessa di farmi soffrire.

Dal niente con i suoi due fratelli aveva fondato la "Galvanica Bertassi" in cui lavorano più di trenta operai. Quanto bene ha fatto agli altri quel suo cuore ammalato. Era diventato ricco, ma se è vero che a noi rimane quello che abbiamo donato agli altri, allora possiamo anche dire che Giovanni era ricchissimo: il suo tempo, la sua intelligenza, la sua esperienza, il suo equilibrio: ecco la sua vera ricchezza che egli ha profuso attorno a sé e che il tempo non ruberà e che l'inflazione galoppante brasiliana non intaccherà. Tutta Caxias è venuta ai suoi funerali. Nella sua cassa, vicino alla sua bella testa stanca ha voluto gli fosse posto un pugno di terra della sua Istria.

A Dio per sempre, a Dio, Giovanni fratello mio! Senza la certezza che un giorno ti rivedrò, la mia vita si svuoterebbe ed il mio essere si sentirebbe come amputato. È infatti la certezza che ti rivedrò, che rivedrò mamma, papà, il signor Armando, Carlo e tutti gli altri cari, che mi saliva dalla tristezza, dalla disperazione dal disincanto dei miei continui fallimenti. A mano a mano che passano gli anni a mano a mano che la morte va recidendo i miei affetti e le mie amicizie, percepisco sempre più acuto il desiderio del Paradiso perché so di potervi trovare quelli che ho amato, quelli che mi hanno amato e che ormai sono così tanti che uno sguardo solo non li comprende più.

Nessuno più di un profugo sa che non ci sono nel mondo solo necessità economiche, le bramosie del corpo. C'è anche la fame del cuore che si sazia soltanto quando passeremo da questo mondo di ombre al mondo dell'Ultima Verità: "Ex umbris ad veritatem".


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Created: Saturday, March 13, 2004; Last updated: Tuesday, October 19, 2021  
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