Mi e el REX
di Anita Derin
La conquista del Nastro Azzurro da parte
del motoscafo oceanico “Destriero” ha rinnovato nella stampa nazionale
il ricordo dell’impresa del REX, che nell’agosto del 1933,
compiendo il percorso Gibilterra – New York in quattro giorni, 13 ore e
58 minuti, tolse l’ambito primato alla nave tedesca Bremen.
In me invece ha rinnovato il ricordo
dell’ingloriosa fine dell’ammiraglia della nostra flotta che i
capodistriani videro agonizzare al “Giracarosse” l’8 settembre 1944. Ma,
un conto è stato guardarla affondare dal Belvedere, altro dalla strada
costiera dirimpetto.
Nove anni neanche finiti. Un appuntamento
con il guardiano della nave che aveva promesso di farmela visitare
portandomi con la sua barchetta a remi, ormeggiata fuori Punta Provè. Un
ritardo a causa di una lezione di piano affrontata di malavoglia e
prolungatasi per la mia scarsa attitudine. Una bicicletta nuova
fiammante che mi portava alla meta. Ore 11.15 arrivo affannata “là de la
Brustolina” e in strada tutto pieno di gente che grida, che urla, che
addita la nave appena colpita. Poi dal tetto della villa di Giusterna a
seguire, con il cannocchiale, la lenta agonia.
Il pomeriggio un folto gruppo di curiosi
sostava di fronte al REX, adagiato sul fianco sinistro, nel basso
fondale.
Verso le ore 17 un apparecchio nemico
(poi alleato), in ricognizione per constatare l’esito dell’attacco
mattutino, si cala dal Monte San Marco e tatatà tatà. “Un remitur che no
ve digo”.
Solo luogo di scampo i “tombini” di
deflusso delle acque piovane disseminati sulla strada costiera. E noi
cugini su in Provè a guardare la scena dall’alto.
Tullio,
il più grande, che si butta sopra di noi per proteggerci. Nino, rimasto
indietro, che cerca, con la bocca e con le mani, di scavarsi un buco in
terra e vi ficca dentro la testa. Poi una corsa verso la casa vicina per
cercare rifugio … “E Barba Stefano che no versi. E i roplani che torna
per masarme …” Interminabili secondi il cui ricordo ancor oggi mi
ossessiona.
Dopo la tempesta si sa, la solita quiete.
Si riordinano le idee. Nonna Antonietta, miracolosa di professione, a
piangerci tutti morti, e noi invece con calma, alla raccolta dei
bossoli, di cui uno era caduto ad un metro dalla mia testa.
Alcuni giorni dopo grande festa dei
superstiti miracolati e sul tavolo l’addobbo delle margherite di Babich
dentro i bossoli preda bellica, come ben testimoniato dalla foto
d’epoca.
Ancora ricordo le visite al cadavere
affondato, in canotto, in compagnia del cugino Giulio. Le scottature dei
piedi nudi sulle lamiere roventi. Poi il saccheggio della nave specie da
parte dei vicini isolani, al quale ho modestamente partecipato con tre
dozzine di tessere del mosaico, che rivestivano la piscina, riciclate
come pedine del domino.
Ultimo, il ricordo della demolizione
operata dagli slavi [cominciata nel '47], testimoniato dalla foto che mi
ritrae su una della ancore, portata sul molo delle Galere a
Capodistria.
Le fotografie di famiglia di questo
ivenimento:
- Sopra - il giorno dopo, ritrae i
ragazzini della zona che festeggiano il passato pericolo
- Sotto - qualche anno più tardi, sono
ritratta con il cugino Nino
Anita Derin |