I
botanici ne sono stati attratti fin dai tempi antichi
Monte Maggiore, simbolo della
flora dell’Istria
[Tratto da:
©
La Voce del Popolo,
19 Agosto 2006 -
https://www.edit.hr/lavoce/060819/speciale.htm.]
Dato che sul Monte Maggiore
s’incontrano – anzi forse è più giusto dire si scontrano – il
clima marittimo-mediterraneo e quello alpino-dinarico, nei secoli si è
potuta sviluppare una flora che sin dai tempi antichi ha attratto
l’attenzione di molti botanici i quali non hanno mancato di interessarsi
a questo fenomeno non appena la loro scienza ha cominciato ad
affermarsi. In questo modo, il nostro monte è diventato il simbolo per
antonomasia della flora dell’Istria che continuò e continua ancora a
esercitare una forza ammaliatrice sugli amanti della botanica.
Nell’impossibilità di citare tutti i nomi di questi studiosi, nomineremo
soltanto i più importanti.
Già il
Valvasor nella sua
opera “Die Ehre des Herzogthums Krain”, stampata a Lubiana nel 1689,
ricorda che il monte era meta di molti botanici stranieri. Ma il primo
che ci fornisce dati autentici sulla flora del Monte Maggiore e che di
sicuro è arrivato sulla sua cima (anno 1722), è il veneziano
Johann Hieronymus Zanichelli. La
sua opera tuttavia venne stampata postuma nella città della Serenissima
dal figlio, nel 1730. Un altro famoso ricercatore e studioso di quei
tempi e che arrivò in vetta è Balthazar Hacquet,
allora medico e chirurgo a Lubiana, notissimo naturalista francese.
Nella sua opera risalente al 1792 racconta della scoperta di alcune
specie nuove, piante che comunque poi non sono mai state identificate. A
lui seguirono altri studiosi. Ne citeremo soltanto alcuni: il
prete-botanico Agosti, il fiumano Mygind, il professore Wulfen e altri.
Nel 1825 arrivò quassù per
la prima volta il noto dignanese autodidatta
Bartolomeo Biasoletto
– figlio di contadini, educato dai frati locali, compì gli studi di
farmacia a Vienna e a Trieste aprì
nel 1828 il primo orto botanico – quale accompagnatore del conte Caspar
von Sternberg e dell’allora conservatore del museo di Pest. Il quale
Biasoletto negli anni
successivi farà da guida ad altri illustri botanici: nel 1826 a Müller,
arrivato per conto della società botanica di Württemberg, quindi nel
1833 quale accompagnatore del noto studioso triestino
Muzio de Tommasini, podestà di
Trieste e studioso della flora illirica il quale, in quella
occasione, condusse con sé due nipoti di quel De Saussurre, famoso primo
conquistatore del Monte Bianco, uno console svizzero a
Trieste e l’altro professore di
geologia a Ginevra.
Non nomineremo gli altri
numerosi botanici che si alternarono in quegli anni sulla vetta del
nostro monte per studiare e per cercare nuove piante lungo i suoi dossi,
per ritornare a Bartolomeo
Biasoletto. Infatti, nel 1838 egli guidò una vera e propria numerosa
spedizione scientifica a capo della quale c’era nientemeno che Federico
Augusto, re di Sassonia. Al suo seguito c’erano oltre al già citato
triestino Muzio Tommasini, anche il
colonnello Josip Jelačić, che qualche anno più tardi diventerà bano
della Croazia nonché il berlinese Noe, che poi pubblicherà (1859)
un’opera sulla flora del nostro territorio non solo, ma che rimarrà a
Fiume per quattordici anni quale
farmacista. Il re sassone arrivò sul Poklon il 10 maggio, ma la gita
venne rovinata dal maltempo. Infatti, egli non poté studiare né vedere
molte piante, ostacolato dapprima da una fitta nebbia e poi dalla
violenta pioggia, che insistette sul territorio. In altra occasione
abbiamo ricordato le lapidi murate sul recinto di una villa di
Laurana
che, in caratteri latini, testimoniano il grande avvenimento.
A questo punto si dovrebbero
nominare gli studi di tanti altri entusiasti: quelli del fiumano
Giuseppe Host che pubblicherà il ragguardevole “Viaggio botanico
nell’Istria, nelle isole del Quarnero e nella Dalmazia”, quelli di
Giacich, poi del professor Lorenz che si dedicò soprattutto alle
condizioni geografiche, del professore ungherese Borbas, di Weiss, di
Schultzer, ancora del noto zagabrese Ljudevit Rossi e del botanico Hirc,
le cui opere vennero pubblicate soltanto nel 1915 dall’Accademia Croata.
Non possiamo terminare la
lunga lista dei botanici interessati alla flora del nostro monte senza
nominare le opere di Smith “Flora von
Fiume” (Vienna 1878), quella
voluminosa del noto professore triestino Pospichal “Flora des
österreichischen Küstenlandes”, nonché quella di Degen, botanico di
Budapest che con i suoi studenti arrivò sul Monte Maggiore addirittura
per quindici anni di seguito. E, per non dilungarci troppo, anche se
sarebbe necessario nominare parecchi altri studiosi, finiremo con questi
nomi, ricordando tuttavia che l’interesse per la flora del nostro
territorio terminò definitivamente con la Prima guerra mondiale, anche
se dopo la Seconda molti altri studiosi sono arrivati, hanno ripreso le
ricerche, soprattutto quelli dell’Università di Zagabria.
Questo per quanto riguarda
la botanica. Sicuramente è stato per l’interesse suscitato dalle sue
ricerche se gli studi geologico-geografici del Monte Maggiore sono stati
piuttosto trascurati. Infatti, hanno cominciato a destare un certo
interesse appena quando gli studi sulla flora presero a declinare. Il
primo geologo a interessarsene è stato il viennese Marolt (1848),
seguito da Stache (1884), ma appena nel 1913 si ebbero i primi studi
sulla struttura morfologica da parte di Krebs, allora professore a
Freiburg, mentre le prime carte geologiche vennero curate da Schubert e
pubblicate a Berlino nel 1912.
Il primo geologo italiano
che si dedicò al territorio del Monte Maggiore fu Tamarelli nel 1878,
seguito molto più tardi da Toniolo, da Gravisi, da Cumin, da Rossi, da
Lipparini che tracciando la carta geologica di
Albona comprese anche buona parte della
zona delle montagne istriane.
Ci sarebbe a questo punto da
ricordare le esplorazioni speleologiche, in quanto sia sul Monte
Maggiore che sul territorio circostante i fenomeni carsici sono numerosi
e molto interessanti. A questo ramo si sono particolarmente dedicati gli
speleologi della Società Alpina delle Giulie di
Trieste e anche della Società
Alpinistica di Fiume. Frutto delle
loro indefesse ricerche sono numerosi catasti e cataloghi. Le loro
numerose perlustrazioni sono state sistematicamente descritte sulla
rivista “Liburnia” e su altre pubblicazioni da Boegan, da Depoli, da
Giusti, da Bartarelli, da Gariboldi. Certamente, l’opera capitale,
completa di rilievi e di disegni di tutte le ricerche effettuate
nell’arco di quasi un secolo, opera curata da Boegan e da Bartarelli, è
quel “Duemila grotte” pubblicato a Milano nel 1926.
Per ritornare alla flora,
dobbiamo ricordare che attualmente sta purtroppo sistematicamente
cambiando, in quanto soprattutto dal territorio del Monte Maggiore sono
scomparse molte delle attività di un tempo. Non ci sono più i
carbonai, che
abbattevano continuamente gli alberi e in questo modo creavano ambienti
nuovi, non ci sono più pastori con le loro greggi (spesso anche di 1600
capi – kvarnar kvarnara come venivano numerati, cioè 40 per 40)
sui pascoli alti, tanto che questi ormai si stanno riempiendo di macchia
mediterranea, non ci sono più i fienaroli, che oltre a curare le
dolinette e piantarle a patate, falciavano i prati in modo da permettere
ai semi di molte piante di interrarsi e di moltiplicarsi. Comunque, per
chi ama la natura e la flora, sul nostro Monte Maggiore ci sono ancora
molte bellezze da ammirare. In tutte le stagioni dell’anno. I fiori che
illustrano l’articolo sono soltanto una piccolissima parte della ricca
flora del nostro caro monte.
Vedete anche:
Claudio Pericin,
Gli uomini che hanno fatto la
storia della flora istriana
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