Toponimi di mare dei pescatori capodistriani

di Lauro Decarli

[Tratto da: Questa ricerca di Lauro Decarli è stata già pubblicata (in forma più estesa e completa di bibliografia) negli Atti e memorie della Società istriana di Storia patria (vol. XXXIX della nuova serie, 1991), nonchè sul Bollettino dell'Atlante linguistico mediterraneo ("Fondazione Cini", Venezia, 1993).]

La toponomastica del mare è un settore ancora tutto da scoprire. Se sono noti a tutti i nomi dei grandi mari e golfi (Mare Adriatico, Golfo di Trieste) e in qualche carta si può scendere al Vallone di Capodistria o ad entità ancora minori quali Val Stagnon, è ben vero che più giù sono estremamente rari. Eppure il pescatore non meno della gente di terra ha sentito da sempre il bisogno di dare un nome ad ogni angolo del suo mare per essere in grado di comunicare ad estranei il posto esatto ove ha calato la rete o ha preso il pesce più grosso.

I toponimi di mare si possono dividere in tre categorie.

  1. La prima è data dalla linea di costa, in questo caso con scarsa corrispondenza alla toponomastica di terraferma, cosa ovvia in quanto tesa a soddisfare esigenze ben diverse.
  2. La seconda è pertinente alle caratteristiche del fondale ed è pertanto prettamente marina, senza riferimento alcuno alla terra emersa.
  3. L'ultima è quella dei punti di mare distanti dalla costa, per trovare i quali necessitano i riferimenti in terra di almeno due linee ossia quattro punti. Questa è di gran lunga la categoria più prolifica e in pratica ogni pescatore nella propria diuturna esperienza di mare se la crea continuamente secondo le necessità contingenti, spessissimo tenendosela segreta per le note rivalità della pesca.

Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire Clicca per ingrandire È impressionante la capacità del pescatore di ritornare con esattezza su un punto di mare pur privo di segnali galleggianti dopo essersi impresso nella mente i punti di riferimento e, specie in giornate terse, la precisione è tale che ho personalmente partecipato a discussioni in una barchetta di 5 metri tra chi butta l'ancora a prova e chi manovra il timone a poppa, sul momento preciso di fermarsi sul Seco del Grénbano, che dista oltre due miglia dalla costa più vicina. Non c'è praticamente punto del mare per più miglia lungo le coste che un pescatore non riesca a ritrovare senza altri strumenti che i suoi occhi. La proliferazione di microtoponimi che ne consegue è tale da non poter neppure pensarsi di farla esame di studio se non nel suo aspetto globale; pur tuttavia se è ovvio che vi predominano i punti personali, esistono pure quelli noti a una larga cerchia di amici e parenti o ad una intera collettività, per finire con quelli noti universalmente e pertanto da considerare veri e propri toponimi. Toponimo da carta nautica è per esempio divenuta al largo di Punta Salvore la secca denominata Piranoro che uno studioso dall'animo poeta volle far derivare da Pirano che appare d'oro guardandola da quel punto illuminata dal sole, mentre il nome le viene semplicemente dall'unione delle due parole (punti di riferimento) Piran e òro (orlo), ossia Pirano che appare appena sull'orlo della punta di Salvore. Secondo informazioni raccolte dal piranese Marino Bonifacio i pescatori isolani usavano il toponimo Fortinòro desunto dalla vista di Pirano che al largo di Isola appare oltre la punta di Strugnano (in questo caso Fortin è l'appellativo da loro dato alla chiesetta della Madonna della Salute divenuta faro); a loro volta i pescatori piranesi usavano il toponimo Isolaòr.

Ma pure per raggiungere una qualsiasi secca o fondale al largo, pur di per sé noti con il loro proprio toponimo, al pescatore necessitano conoscere i punti di riferimento in terra, che in caso di posti noti a tutti, diventano veri e propri toponimi complementari. Un esempio: per andare in Sbiteran a pescare le ménole che nel Vallone di Capodistria difettano, ognuno sapeva che basta tenersi a Samarco-in-bòrgola e Trieste-vèrta, ossia dal lato sudest la cima del grosso tumulo preistorico che sta sulla vetta del Monte San Marco, deve stare in linea con una vallicciola incassata (bòrgola) sottostante, mentre verso nordest, oltre la Pontagrossa si deve vedere Trieste, e non di poco, ma bene aperta. Anche quando il pescatore si porta a largo fuori del suo Vallone in un luogo determinato, sa sempre dire in quale punto della rotta ha incontrato un'altra barca, ha visto i dolfini o la cagniga, oppure a Nando ga ciapà mal. Così ad esempio, prima della diffusione del motore e conseguentemente della pesca con le lampare, la stagione estiva era contrassegnata dalla pesca delle sardelle con le malaide (sorta di rete galleggiante). Le barche a vela bordeggiando si recavano sulla Sdoba (foci dell'Isonzo) o sulla Tressa de Grado ove rimanevano a pescare per 20 giorni di seguito (la luna) mentre a raccogliere il pescato per portarlo ai mercati di Grado o Trieste, ogni mattina venivano barche più grosse a motore (le portolate dei Stradi). Pure in questo caso la rotta ormai consueta era contraddistinta da tutta una serie di toponimi indicanti il tratto di mare corrispondente. Le barche, lasciato il Vallone, dopo Pontagrossa si trovavano in Are cui seguivano Socheto, Scassadureta e Scassadura Granda, dopo di che, causa la distanza dalla costa, è necessario ricorrere ai consueti punti, in questo caso solo due visto che gli altri sono dati dalla rotta medesima. Preso il castello di Miramare che domina con il suo biancore pure in caso di foschia, lo si oppone al profilo dei monti retrostanti ottenendo la sequenza: Miramar-in-Scassadureta; Miramar-in-Scassadura-Granda; Miramar-in-mèso-le-Mòte; Miramar-a-cào-le-Mòte; giungendo di lì a poco sul Seco-del-Grénbano e alla Sdoba.

L'esempio qui offerto dalla cartina dei toponimi di mare del Vallone di Capodistria è sufficiente ad evidenziare l'importanza per il linguista di questa toponomastica minore, a torto finora trascurata. Essa è stata redatta principalmente grazie alle precise informazioni fornite dal pescatore capodistriano Nazario Sauro, noto ai compaesani come Nasarin Baretin, mentre l'omonimo martire suo cugino portava il soprannome di Jajo Bareta.

Ecco ora un breve esame dei toponimi in ordine alfabetico il cui rilevamento nella cartina è agevolato dalle cifre e lettere che seguono il nome.

Ai Santi Padri. 8m. Noto anche come Cavana dei Frati. Prima della Grande Guerra i Cappuccini vi tenevano la loro barca con la quale andavano a questuare per le città della costa. L'inclusione nei toponimi delle preposizioni, articolate o no, non è casuale ma deriva dalla necessità di rispettare l'effettiva tradizione che, come si avrà occasione di constatare in altri esempi, spesso includeva indissolubilmente in qualche toponimo una e non altre particelle (vedi: Palù de Persanpieri, Miramar..., ecc.).

A la Calda. 9l. Sorse a Capodistria agli inizi del secolo una fabbrica di concentrato di pomodori che in breve divenne famosa per la qualità del prodotto, la cui ragione sociale era: Conti, Calda & C.; ma che per il popolo fu quella dei conti Calda. Sul retro di detta fabbrica c'era lo sbocco dell'ara suburbana in Valstagnon. Specie dopo gli anni Trenta, causa l'imbonimento di parte dell'Ara e la mancanza di deflusso delle acque, i fanghi bluastri delle sue sponde brulicavano di vermi teneri, meno pregiati dei vermi duri che si scavavano dalle rive sassose, ma talmente numerosi da costituire la sola fonte di reddito per Nina Gata che ne estraeva intere mastelle che poi mondati mandava a Trieste ove erano venduti in Piazza Ponterosso da ambulanti in bicer de un quarto col manegheto. Non c'è pescatore dilettante capodistriano che non sia andato decine di volte a far vermi a la Calda.

A la Sabia. 8l. Il terreno marnoso-arenario fa sì che il fondo marino, ove non sia sassoso è quasi sempre fangoso. Ma tra i porti di Bossedraga e Portisolana, prospiciente allo squero del Bòcio (v.) si trovava una zona non grande ove eccezionalmente c'era un po' di sabbia. Il nome quindi le viene dal fondale.

A le Basse. 2g. All'estremità della Pontagrossa la costa scende a picco sul mare, anche se qui il salto è di appena una decina di metri, neanche confrontabile con i Rivassi ubicati tra Capodistria e Isola e ancor più quelli tra Isola e Pirano. A un certo punto però la costa si abbassa fino a consentire la costruzione di un moletto denominato Porto Spussa (v.) e una stradina per l'interno. A le Basse quindi in contrapposizione ai dirupi posti ai lati.

Al Ponte de Mèso. 9hi. Quando agli inizi dell’800 con terra portata dalle donne su panieri di vimini posti sul capo venne costruita la strada-argine per Semedella, a un certo punto fu necessario erigere un ponte per il flusso delle acque delle saline interne. Questo venne detto Ponte de Mèso non perché ubicato a metà della strada (è più vicino a Semedella) ma perché posto tra il ponte de la Porporela a Capodistria e quello sull'Ara Granda in Semedella. Con la bonifica delle saline e la costruzione della cabina di pompaggio delle acque piovane il posto prese pure il nome de l'Idrovora.

Ancaran. 5m. Se ne occuparono vari autori e viene ritenuto un prediale romano dal personale etrusco Ancharius (Doria). Il solo Tommasich, 1886, noto ricercatore di storia patria e solitamente bene informato, lo fa derivare dal nome di un abate di un antico monastero benedettino. Gravisi, 1920, ne cita vari altri presso Teramo, Roma, Norcia, Piacenza, nonché Angarano a Bassano.

Anconela. 4m. Il Rosamani accompagnando il toponimo con la definizione 'piccola insenatura' sembra voler alludere al Gravisi, 1904, che lo fa derivare dal greco agkon 'gomito'. Pure per l'orografia meglio si adatterebbe a una sua derivazione da 'gomito' che non da ancona 'immagine sacra' di cui non rimane ricordo alcuno. Va però rilevato che il secondo è l'esito più normale in terre venete. La soluzione ce la offre lo stesso Gravisi che scrive: «Con alcuni pezzi di archivolti di stile gotico, tutti figurati, raccolti dall'ing. Benedetto Petronio nella prima metà del secolo e tolti a quella ricca chiesa del '300, qualcuno formò più tardi uno strano tabernacoletto, che presentemente si trova nel museo civico di Capodistria». E aggiunge che Caprin, 1905, ne riporta la fotografia «ma lo mette erroneamente a Gasello di Val d'Oltra anziché in Ancarano», quasi certamente quindi in località Anconela. Dalla foto citata si rileva che l'anno di erezione di questa 'anconela' è il 1855; pertanto ritengo che solo il trovare una documentazione precedente del toponimo può rimetterne in discussione l'etimologia. A Dignano e Monfalcone Anconeta.

Ara. 9i. Termine preso dal mondo rurale ove sta ad indicare lo spiazzo che sta davanti la casa di campagna (aia). Si addice a piccoli tratti di mare che si incanalano nella costa. Deriva da 'area' ed essendo molto usato è solitamente seguito da un altro appellativo atto a distinguerlo dalle altre. L’Ara per antonomasia, la sola che non portava altri nomi era quel tratto dell'ara suburbana che andava dalla Porporela alla Muda. Era frequentato da cultori della togna che nelle occasioni in cui l’Ara durante le maree metteva in comunicazione le acque stanche della Valstagnon con quelle ricche di ossigeno del mare aperto, aspettavano al varco branzini divenuti ormai leggendari (da 10-12 kg!).

Ara de Colonbin. 5m. Colonbin a Capodistria è soprannome di una famiglia Nòrbedo, ma a Valdoltra Colombin è cognome e stando all'ubicazione è sicuramente a questa famiglia che va riferito per i terreni o la casetta prospicienti.

Ara dei Cari. 9l. I contadini che dal contado scendevano a Capodistria per le spese, lasciavano animali e carri in custodia presso i fondi appositi vicino alla porta principale d'entrata (detta della Muda dall'antica tassa di pedaggio che si pagava). Chi passava per l’Ara in barchetta non vedeva gli animali (quasi esclusivamente mussi) che stavano in riparo sotto le tettoie, vedeva però i carri.

Ara dei Casoni. 5o: altra ad 8o. Ce n'erano due e derivavano il nome dagli ultimi casoni delle saline che colà si vedevano un tempo. Con la scomparsa dei casoni andarono perdendosi pure i toponimi, l'uno sparito con la bonifica di Val Canpi e l'altro sostituito da Ara de le do Poste, che è il toponimo più prossimo. Gravisi, 1923, elencando i «fondamenti» di saline della «Valle» di Sermino, ad Ara dei Gorghi fa seguire Casoni (senza Ara). L'altra non la cita e andrebbe identificata tra le due non localizzate: Ara Rossi e Ara della Brosa (v.).

Ara dei Gorghi. 7o. Tutte le are presentano acque tranquille; neanche questa le aveva minimamente mosse. I gorghi c'entrano solo perché da Bossedraga quest'ara è in linea retta con i Gorghi (v.). Si tratta dunque di un toponimo della terza serie ossia deriva il nome da un punto topografico di riferimento sito altrove.

Ara de la Brosa. Non localizzata, figura in Gravisi, 1923, nell'elenco delle saline di Oltra. Escludendo l'Ara di Colombin e l'Ara di Mezzo che appaiono pure nella presente raccolta, può andare collocata al posto dell'Ara de le Palade o in uno dei due rami dell'Ara dei Casoni. Merita soffermarsi sulla voce brosa, di etimo sconosciuto e con due significati principali. Il primo è 'brina' diffuso nel Veneto ma in Istria attestato nella sola Pinguente. A Capodistria (e altrove in Istria) la brina viene detta bruma (anticamente usato pure brignada); vedi però il capodistriano brisada 'grandine minuta', il piranese bronsina 'nevischio', ecc. L'altro significato di brosa è quello di 'crosta sulla ferita'.

Ara de la Fiera. 8o. Questo è il più interessante per le congetture storiche che se ne possono trarre. Chiesto ai pescatori perché «della fiera», dicono di non saperlo. Ma ai tempi di Capodistria «metropoli dell'Istria» era ben famosa la Fiera del Legno o de le Bòte o de le Nòse (botti e noci, per la stagione) che nelle ultime manifestazioni si teneva in città, o dietro il Duomo (in Brolo) o appena entro le porte della città (Fiera del Cristo in Ponte, da una chiesa-santuario affacciantesi sulla piazza); ma nei secoli passati per questioni di ordine pubblico, alla pari delle altre autorizzate dalla Serenissima, si teneva fuori dalle mura ed era nota come la Fiera dei Risano. Allora il Risano scorreva a sud del Monte Sermino, poi venne corretto artificialmente il suo decorso per limitare i danni dell'interramento del mare attorno allo scoglio di Capodistria che ne metteva in pericolo la difendibilità. E’ pure l'ara più vicina alla stradareja che mena a Trieste (l'antica Via Flavia). Non basta; questo toponimo può fornire un indizio di partenza pure allo storico che volesse indagare sull'esatta ubicazione del posto ove nell'804 avvenne il famoso Placito del Risano. Spunti del genere non sono nuovi in toponomastica e spesso hanno prodotto gradite sorprese.

Ara de la Palada. 5o. La palada era un'opera di difesa sul mare che prendeva ovviamente il nome dai pali confitti per eseguirla; ma poi poteva presentarsi sotto vesti diverse: solo pali, pali e fango, pali e pietre. Ben presto i pali sparivano mangiati dalle teredini e rimaneva il toponimo, qualche sasso o una cunetta di terreno a ricordare l'opera. Tre sono i toponimi capodistriani in luoghi ben distinti: L’Ara de la Palada in Val Canpi; La Palada in Valstagnon, che testimoniano opere a difesa delle saline ed infine Le Palade fuori Bossedraga che Rosamani porta come formate di sole grosse pietre ma che erano veri moli per l'incànovo e descànovo del sale dal grande magazzino antistante la riva.

Ara de la Pocefa. Om. Ignoto agli informatori viventi, lo si rileva dal Tommasich, 1891. Interessante che Gravisi, 1911, in nota, ricopia tutti i nomi delle saline del Tommasich ma al suo posto scrive Ara della Buffa. Nella pubblicazione del 1923 però lo include per ultimo tra i nomi delle saline della 'valle' di Sermino. Poiché appaiono indicate in ordine geografico (Dosseto, Do Poste, Ara de Gorghi, Casoni, Spiasa grande, Ara della Fiera, Spiaseta, Ara della Poceffa) sono propenso a credere trattarsi dell'ara che divide le saline di Ariolo (incluse da Gravisi tra quelle di Sermino) e quelle di S.Nazario, poco a sud dell'Ara di S.Girolamo con cui inizia l'elenco della 'valle' di S.Nazario. Si tratta senz'altro di un soprannome. Una raccolta inedita di soprannomi di Giuseppe Vatova, gentilmente favoritami dal figlio prof. Aristocle, porta Pucefa. Se ne è persa però la memoria. Semi, 1959, nel racconto «Sèletro» fa intervenire un personaggio di nome Pocefa. Una recente edizione di opere del Gianelli, Tav. 49, porta la didascalia: La moier de Pocefa che la 'speta che torni su' marì per sonarghele. Prati, 1968, porta la voce pòciol 'fanghiglia' che ben si addatterebbe semanticamente ad una derivazione diversa. Vi osta però il fatto che in capod. la voce suona ploc(io) e che i nessi di labiale e liquida ben si conservano (flonda, floco, plus 'cia, ecc.).

Ara de la Spina. 7m. Costituiva una vera scorciatoia per chi con le bateline a fondo piatto voleva portarsi da el Stagnon in Val Canpi. L'ara divideva gli argini della Boca Fiume dalle secche antistanti (Scano) e menava alla località detta La Spina (v.).

Ara de le do Poste. 8o. Detta pure dei Casoni. Prese il nome dal toponimo vicino: Le do Poste (v.).

Ara de Mèso. 6o. Non è posta affatto nel mezzo ma in fondo alla Sacheta de Val canpi; a meno che il toponimo non si faccia risalire a prima della costruzione delle saline lungo i lati del Risano, nel qual caso unificando in pratica le due valli questa potrebbe pure risultare l'ara mediana. Gravisi, 1923, sembra volerle dare una ubicazione diversa; ma i toponimi dalla Val Canpi (anche causa il tempo decorso dalla loro sparizione per effetto delle bonifiche) sono i soli che presentano notevoli divergenze con le ricerche attuali.

Ara de San Girolamo. 9m. Tommasich, 1891, e Gravisi, 1923, danno solo San Girolamo come 'fondamento' di saline. L'ara è quella che dava l'accesso via mare alle predette. Gravisi, 1920, dà un altro S.Girolamo in Valdoltra nella località ora chiamata Ospissio.

Ara Granda. Oi. Sboccava in Semedella e praticamente seguiva l'antico confine di costa. Era un tempo protetta verso le saline da un argine ben maggiore che non verso monte, allo scopo di evitare che comunque le acque dei piovaschi scendendo dal Monte San Marco non tracimassero nelle saline. Era detta Granda non per l'apertura della sua bocca ma per la lunghezza.

Ara Rossi. Non localizzata. Citata da Gravisi, 1923, tra i 'fondamenti' delle saline di Val Canpi i cui nomi sono gli unici a non trovare esatta concordanza tra quelli rilevati dal Gravisi e quelli forniti dagli informatori; cosa normale dato che ivi le saline cessarono nel 1910 e negli anni Trenta con i lavori di bonifica scomparve addirittura il mare.

Are. 1f. Appena passata Pontagrossa, spingendosi al largo verso la Sdoba, il primo toponimo che si incontra è Are, plurale di ara che così senza l'articolo pare quasi un collettivo come a significare che lì ci sono buoni campi di pesca. A Pontagrossa, subito dopo el Péro (la boa luminosa) se jera in Are; de là se scominsiava a calar le passelere e su su, in ver tramontana fina a Scassadura Granda (v.).

Bagno Bareta. 1g. Appena doppiata Pontagrossa, fuori della vista di Capodistria c'è la località denominata Bagno Bareta perché in quel posto agli inizi del secolo c'era un bagno pubblico con servizio di barche per Trieste, aperto dal padre di Nazario Sauro, il martire. Bareta è soprannome di famiglia derivato da un antenato che non si levava mai il berretto; un altro ramo viene tuttora denominato, per distinzione, dei Baretini e a questo appartiene l'omonimo informatore.

Boca Fiume. 7l. E’ lo sbocco del Risano che si protrae nel mare attraverso la secca sabbiosa (Scano) tagliata in due da uno scavo artificiale per far defluire meglio le acque del fiume. Se tutti conoscevano il nome del fiume (el Risan) solitamente i pescatori lo chiamavano solo Fiume. L'altro, ossia il torrente Cornalunga, era el Fiumisin e ciò bastava.

Cajuda. 9h. All'udire questo toponimo subito la mente è corsa a una leggendaria 'Casa di Giuda' capace di nascondere chissà quali rovine antiche anche se a dire il vero nell'istroveneto solo Juda per Giuda è tipico mentre non sarebbe consueto per casa, d'uso veneziano; la Canegra piranese, come da informazioni di Marino Bonifacio, deriva da callis, le attestazioni infatti sono: piscara de Caila (1272), piscara de Cala e piscara Calle (1285), paludem Callis Nigre (1343). Armato di pinne e maschera mi sono recato ad ispezionare la zona ben sapendo come lungo la costa ci sono i resti di due moli romani, uno in Giusterna e l'altro in Villisano. Se il mare era calmo e limpido, l'impresa non simpatica perché dalla vicina Ara Granda uscivano i liquami di tutta la zona neourbanizzata di Semedella. Non fu trovato alcun segno nè di resti di muratura nè di frustoli di ceramica tra i sassi della riva. Richiesto all'informatore il perché di tale nome mi rispose: Perché là, jera vignù zo (la zeta si pronuncia come la s di rose, ndr.) un toco de costa. Dato che oggi il termine capodistriano per 'caduta' è solo cascada, ecco la preziosità di questo toponimo che ha conservato una voce a torto ritenuta peculiare dell'istrioto. In Cajuda jera senpre fisso el sartarel de Nicolò de Santina (Stradi). Annota il prof. Mirabella Roberti: Cajuda o cajusa è anche pozzanghera fangosa. Es.: No metar pìe nela cajuda che te se sporcarà"; ma questa a Capodistria e Trieste si dice calusa ed è d'altra derivazione.

Cavana. 9l. Termine usatissimo nelle saline ove indica il collettore principale delle acque e cavanele sono dette i secondari. Pur costeggiando un tempo le saline, la Cavana non era però in rapporto con esse, trattandosi in questo caso della parte orientale dell'ara suburbana detta anche Ara dei Cari, che andava dal Ponte della Muda al Palù de Persanpieri. La differenza tra ara e cavana è che l’ara è di regola naturale mentre la cavana (da cavar) è solo artificiale. Essendo questa la parte dell'ara più soggetta a interramento è probabile che abbia preso il nome in occasione di qualche lavoro di sterro. Il Dizionario di Marina per 'cavana' dà due etimi, l'uno da cavus e riguarda il presente; l'altro da capanna (ricovero di barche) per cui vedi Cavana dei Frati.

Cavana dei Frati. 8m. Nota anche come Ai Santi Padri. Oltre che termine molto usato nelle saline, cavana era qualsiasi fosso scavato in acque basse per ormeggiarvi una barca e solitamente ai lati aveva dei pali che sostenevano un tetto di canne palustri. Se ne possono tuttora vedere nei casoni attorno Grado ed anche a Monfalcone.

Cavo Spigo. 7l. Si è persa la tradizione dell'origine del nome. Un'interessante soluzione si potrebbe azzardare considerando che entrambe le voci si prestano a formare toponimi di terza categoria; in cavo, sul spìgo(lo). Ora, dal porto di Bossedraga che era il principale centro dei pescatori capodistriani, guardando diritto verso il punto di questo toponimo, sulla costa della Valdoltra vi corrisponde l'Ara de Colonbin la quale in realtà era lo sbocco di un torrentello che scendeva dai Monti di Muggia. Se in questo identifichiamo l'aquarium Spigal che compare in un documento del 1229 ci troveremmo di fronte a un altro prezioso fossile guida della toponomastica (vedi però ora Župančič, 1979, che lo localizza tra Scoffie e Decani, sulla base di una cartina del '700 conservata all'archivio capitolare di Capodistria). Il posto è stato registrato pure come Ponta Toto.

Dosseto. 7m. Così denominato perché più breve del Dosso (v.).

Dosso. 6m. Ha lo stesso identico significato che in italiano (dal latino dorsum) e si usa per qualsiasi rilievo del terreno di modesta elevazione. A differenza delle altre rive interne della Valstagnon e di Valcanpi gli argini estremi del Risano si evidenziano in quanto meglio costruiti perché più esposti alle mareggiate. Alla base del solito argine di terra ricoperto d'erba, stavano lastre di pietra e cemento e pietre frangiflutto. Per differenziarli veniva detto Dosso il maggiore a nord e Dosseto l'altro perché più breve e forse pure meno alto.

El Còto. 9c. Pure toponimo di terra, prende il nome da una fabbrica di laterizi. C'era un pontile per l'uso della fabbrica e per lo scarico del letame per le campagne circostanti. Per una decina di metri sulla costa verso Capodistria si vedono affiorare con le basse maree i resti di un modesto porto romano studiato dal Degrassi, 1954. Pur essendo molto vicino ad Isola, era ancora territorio capodistriano. Etimo evidente.

El Mol Fondà. 8g. Jera za miseria per conto suo, ancora se ciapava poco, i feva lavori al Palasseto (Semedella) per la nova strada, mia molie la me dir: "Va a véder se i te ciol a lavorar!" Co te rivo in Cajuda (v.) no te vedo la batelina dei Sandrin che lèva el sartarel pien de pessi, i léva. Méto Pegolota c'una fossenada a te inpìra un bransin de oltra do chili. M'ò voltà e son tornà a casa al mio mistier. Così Nasarin racconta l'unica volta che stava per cambiar mestiere. El Mol Fondà non sono altro che le rovine di un porto romano sommerso, studiato dal Degrassi, 1954.

Fiume vecio. 8m. Un tempo il Risano sfociava più vicino a Capodistria. Poi venne deviato, ancora sotto Venezia, a nord del colle (m.85) pomposamente chiamato Monte Sermino. Il toponimo pertanto dopo svariati secoli ricorda il luogo antico di passaggio del fiume, certamente aiutato dalle caratteristiche del fondo: un leggero avvallamento affiancato da un banco di sabbia (Scano).

Fiumisin. 9m. Porta il nome di Torrente Cornalunga con la radice 'corn' tipica di tanti idronimi, ma viene comunemente chiamato Fiumisin in contrapposizione al Fiume, che è il Risano. Dette molto da fare alla Serenissima, ancor più del Risano, perché con il materiale alluvionale che depositava rappresentava la principale causa dell'interramento del tratto di mare tra Capodistria e la costa. Memore dei fatti del 1348, quando la ribellione di Capodistria fu domata grazie alla resistenza del presidio veneziano sul forte Castilion sito a metà dell'unica strada che collegava lo scoglio di Capodistria alla terraferma, Venezia ritenne sempre di grande rilevanza strategica tenere la città ben separata dalle acque. Solo dopo l'annessione all'Austria nel 1815 quel tratto di mare fu adattato a saline che cessarono nel 1910. La regolazione delle sue acque era oggetto di dispute ancora nell'Ottocento: l'Unione, 1874-75, riporta una serie di articoli in dialetto capodistriano intitolati appunto: La question del Fiumisin. Gli Statuti capodistriani citano Flumicellum nel 1423.

Gasel. 3h. Con l'affermazione di Venezia qualche toponimo mutò nome seguendo le nuove mode. Questo accadde per il Monte San Marco del quale non rimane ricordo del nome precedente; non così per San Nicolò perché si sa che prima si chiamava S.Apollinare di Gasello. Ora però solo questo breve tratto di costa sta a ricordare l'antico nome dell'intera zona. Gli studiosi sono in dubbio, come per Gason (Gažon, ndr.), se farlo derivare da casa. Il Catasticum Istriae porta Gascello (1070) e Gascelo (1211).

Girocarosse. 8e. Anche Giracarosse. Il nome deriva dal fatto che dal porto di Capodistria è questa l'ultima curva della strada costiera per Isola che si veda, dopo di che le carrozze scompaiono dalla vista. Secondo altri perché in occasione di feste, matrimoni, cresime, ecc. era d'uso fare una gita in carrozza e giunti a quel punto si tornava indietro; ma anche se questa era una consuetudine essa può essere nata proprio dal nome medesimo. L'entroterra porta l'interessante nome di Prové di non facile etimologia anche se quasi certamente appartenente alla serie in -etum.

Gorgo. 8m. Il flusso delle maree all'imboccatura della Val Stagnon non presentava caratteri di irruenza tali da meritarsi tanto nome; eppure tutti i ragazzini venivano redarguiti di non azzardarsi a nuotare in quel punto e correvano racconti di annegamenti e arditi salvataggi. Ma un tempo in quel punto sfociava pure il Risano (vedi il toponimo Fiume vecio) e allora, in concomitanza di una forte bassa marea e di un notevole apporto di acqua dal fiume, effettivamente la situazione sarà stata ben diversa tanto da meritarsi nome e fama. Gravisi, 1904, dà pure la forma «Vorgo (Capod.) - gorgo, il punto d'un aguàr, ove l'acqua à maggiore profondità».

I Cavareti. 8i. Guardandolo nella cartina può apparire esagerato; in realtà si tratta di un fondale di appena una cinquantina di metri. Chiesto all'informatore perché si chiamasse così, rispose: Perché là el fondi a jera duto un crostel. Se è vero che la voce prelatina capra ebbe il significato di 'sepolcro di roccia' e poi nel corso dell'evoluzione delle lingue si sviluppò in due filoni, uno attinente all'animale che frequenta le rocce (capra, capretto), l'altro alla struttura che sostiene un peso (capria, capriata), sembra proprio che questa voce sia un raro esempio di conservazione del termine nel suo semplice significato originario di terreno roccioso. Potrebbe magari darsi che il valore semantico di tale termine derivi a sua volta dalla capra animale nel qual caso non si tratterebbe di conservazione ma di ritorno casuale all'origine mediante successive modificazioni, resta comunque inalterato l'interesse per questo termine che nonostante la perfetta identità con la voce che designa i capretti animali, agli utenti pescatori richiama alla mente un fondo roccioso.

I Grimani. 8l. Grimani è termine capodistriano per designare le alghe del genere 'fucus' che vivono solamente attaccate alle rocce e che pertanto nel Vallone di Capodistria prevalentemente fangoso sono comuni solo nella linea di costa, ma che nella zona in questione si spingevano eccezionalmente un po' al largo. Per l'etimologia Battaglia alla voce grimo nel senso di 'fitto', 'folto', 'zeppo' scrive «forse dal longobardo krammjan» ma nell'ambito capodistriano preferirei connetterla con l'usatissimo gré(n)bano (v. Séco del G.) né va sottaciuta una possibilità di connessione con la voce 'gramigna'.

La Boa. 8i. C'era una boa messa in mare per proprie necessità dal cantiere navale operante nella costa prospiciente. A Capodistria e Pirano pure bova (Rosamani). Attestata per prima nel genovese, rimane di etimo oscuro.

La Bonifica. 6mn. Tutta la toponomastica marina della Val Canpi ebbe repentinamente fine negli anni Trenta con il prosciugamento dell'intera zona di mare. L'argine rettilineo che delimitò la nuova linea di costa venne denominato La Bonifica.

La Buta. Non figura nella cartina. Ce n'erano due, quella de Persanperi e quella de la Porporela. Buta perché dicono si fossero formate buttando le immondizie ma si sa che il regime di vita dei tempi passati forniva poco materiale da buttare e poca voglia di spostarsi per depositarlo in siti determinati. Sicuramente si tratta di residui delle antiche 'porporelle' poste a difesa di quei porti. Che fossero opere artificiali lo denotano le pietre grosse e piccole emergenti dal terreno melmoso circostante. Affioravano durante le grandi basse maree e vi si andavano a raccogliere i vermi duri per pescare.

La Carisada. 6l. Gli informatori non seppero motivare l'origine del toponimo, corrispondente al letterario 'la careggiata'. Si può solo segnalare che è parola molto usata in senso traslato: andar fora de carisada (prendere una sbandata), star in carisada (tenere la rotta). Potrebbe designare la strada da compiere per chi voglia andare oltre il Risano superando le secche poste davanti alla sua foce.

Là de l'Aqua. 6m. Dopo l'imbonimento della Val Canpi, lungo l'argine denominato La Bonifica, c'era un piccolo varco che veniva aperto di quando in quando per far defluire in mare le acque piovane eccedenti. Come in tutti i toponimi di formazione recente, pure in questo è conservato ben chiaro il valore semantico. Si è appena accorciata la frase: Là indove che ven fora l'aqua; ma il suo simbolismo rimane integro. Solo con l'uso da parte di più e più generazioni i toponimi vanno soggetti ad alterazioni fino ad assumere aspetti talora oscuri (v. Cajuda).

La Gravisa. 9m. Così chiamata perché i terreni erano di proprietà dei marchesi Gravisi. Poi vi fu istituita la Scuola Agraria; ma sempre rimase il nome originario. Gravo/gravise sono termini antichi per Grado/gradese, oggi si usa Grado e gradesan..

La Molara. 2h-i. Il toponimo si dovrebbe considerare ormai fuori del vallone di Capodistria in quanto appartiene alla Val de San Bortolomio (Muggia) tuttavia merita riproporlo perché sotto questo accrescitivo femminile della voce molo si celano le rovine di un porto romano (Degrassi, 1954). Sempre in territorio di Muggia, però sulla costa orientale in località Stramare, c'è il toponimo di mare Molon. Sarà un caso ma pure qui la località è di interesse archeologico (vi è stato reperito dal prof. Lonza il coccio con la scritta tulvis). Olivieri, tra i derivati da 'mola' mette Molazo, e Molare, nonché alle Molere 'luogo dove si hanno rocce molto friabili' (questo da mollis).

La Palada. 7n. Sull'argine delle saline erano evidenti le tracce dei pali adoperati per il suo innalzamento o per l'accomodamento in epoche successive (v. Ara de la Palada).

La Sacheta. 6n. Il seno più intimo della Valcanpi. La Sacheta è pure una parte del porto di Trieste. Deriva da saccus 'insenatura', 'via senza uscita' (Olivieri).

La Scarpa. 9m. L'argine aveva un'inclinazione più dolce rispetto gli altri per cui scarpa va inteso nel senso di 'scarpata' e come Scarpada era pure nota a certuni (Rosina Mariana, anni 90, ricorda che sua madre andava a loche cola batela fina a la Scarpada. La loca è una tellina, la scrobicularia piperato particolarmente abbondante nei fanghi dello Stagnon).

La Sdoba. La bocca dell'Isonzo, meta dei pescatori capodistriani. Come 'Punta Sdobba' si trova in tutte le carte nautiche. Di etimologia oscura. Potrebbe andare connesso con la voce stobio 'stoppia', semanticamente proponibile per l'aspetto brullo, senz'alberi nè colture. Secondo Merkù potrebbe derivare dallo slov. dob, quercia.

La Spina. 6mn. La spina in veneto istriano è la cannella della botte, da qui è recentemente passata al rubinetto dell'acqua e alla presa di corrente elettrica. L'altra 'spina' è di genere maschile: Un spin de rosa, i spini dela sardela. Pur tuttavia questo toponimo di incerta origine dovrebbe rifarsi ad un significato di 'appuntito' in quanto dato ad una brusca rientranza dall'argine delle saline e non v'è possibilità di collegarlo con cannelle di sorta.

La Stansia pel Convento. Non compare nella cartina; comunque la sua posizione è facilmente rilevabile dato che il Convento è quello di S.Nicolò e Stansia la vicina costruzione, già chiesetta poi casa colonica. È uno degli innumerevoli toponimi di terza categoria che si ritiene meritevole di riportare per la preziosità del termine stansia in esso contenuto. La fattoria isolata in aperta campagna viene detta stanzia nell'intera Istria centro-meridionale ma in quella settentrionale si usa il termine cortivo, che a Capodistria ha dato pure l'etnonimo Cortivani. Una delimitazione geografica delle voci cortivo e stanzia la si può avere già alla Carta al 25.000 che subito dopo Corte d'Isola vede il predominio di Stanzia con singole eccezioni a Momiano e Pinguente. Però cortivo è registrato a Parenzo nel 1270 e questa stansia isolata a Capodistria (e in ambiente di mare) rappresenta l'eccezione opposta a significare che la divisione non era per il passato tanto precisa come può sembrare oggi.

La Tressa. 7l. Banco sabbioso di modeste dimensioni a volte affiorante nelle eccezionali basse maree, posto di ‘traverso' (donde il nome) tra Scano e Capodistria. Richiama la ben più nota Tressa de Grado. Da rilevare la versatilità del concetto tressa che nel golfo di Trieste si addice a un rilievo del fondale; a Rovigno (Pellizzer, 1985), invece, alle acque che dividono una costa dall'altra solitamente dette ‘canale’; Una tressa de nuvoli è in uso a Pirano (ed Ancona). Una tressa de cavei è omofono, ma va collegato con 'treccia'.

Le Do Poste. 7n. La posta è una sorta di pesca fatta con reti fisse, messe solitamente lungo il litorale (Posta de caramai, de agoni, de sievi, ecc.).

Le Mesarìe. 9h. Star in mesarìa in dialetto significa star nel mezzo (tra el Porto e Semedela). Da medio + suff. -arius (cfr. cavarìo).

Le Palade. 8l. Vedi quanto detto in Ara de la Palada. Era entrato nel folclore capod. grazie a una canzonetta originata da uno scherzo, la quale sull'aria de «I morti che lasciammo al Passo Uarieu» (quindi guerra d'Abissinia) iniziava: I ga sbregà le braghe a Barcarisso, e i l’à butade fora le Palade.

Mandracio. 9l. Un tempo vi erano vari mandraci, poi prevalse l'uso del termine porto. Son cascà in porto significava sono caduto in mare entro il porto e poiché el Porto per antonomasia era quello principale, si usava distinguere tra: son cascà in porto a Bossedraga e son cascà in porto al Porto. Solo il seno più interno del Porto era ancora chiamato Mandracio e anche qui ne andava scomparendo l'uso specialmente dopo l'ultima riduzione del medesimo attuata nel 1935 in occasione dell'inaugurazione del monumento nazionale a Nazario Sauro allo scopo di migliorare la viabilità delle rive. Mandracio è voce di amplissima diffusione e la sua presenza localizza immediatamente i più antichi insediamenti rivieraschi poiché, a differenza delle cavane che erano del tutto artificiali, i 'mandracchi' sono sempre insenature naturali adattate dall'uomo. Il Mandracchio del porto di Capodistria, posto al riparo da bora e tramontana (gli altri venti non hanno importanza alcuna nel Vallone) è sicuramente il luogo di inizio di antropizzazione dell'isolotto. A qualche decina di metri durante gli scavi per la costruzione delle nuove scuole elementari (ora albergo Triglav) sono emerse le tracce di un mosaico romano, monete romane, e pochi ma significativi cocci della caratteristica ceramica preistorica locale con intrusivi (collezione Lonza). La voce deriva dal greco mandra con origini forse mediterranee ed il valore semantico di 'recinto per il bestiame', conservato nel calabrese 'ovile'; traslato al bestiame stesso nell'it. 'mandria'; divenuto terreno recintato, quindi orto, nel triestino mandria oggi attestato pure a Cherso a conferma di una sua antica ben più vasta diffusione. Si può così comprendere il facile passaggio per il pescatore che nel 'luogo riparato' anziché il bestiame tiene le sue barche.

Merigoto. Sm. Il nome deriva dal cognome tipico capodistriano Almerigotti che come il consimile Almerigogna, viene usualmente troncato per il fenomeno ricorrente di caduta della a iniziale.

Miramar in Scassadureta; Miramar in Scassadura Granda; Miramar a meso le Mote; Miramar a cao le Mote. Toponimi della terza categoria (punti di mare aperto) nella rotta per la Ponta Sdoba. Essi meritano alcune considerazioni per l'aspetto linguistico. Anzitutto l'uso della preposizione in nei primi e di a nei secondi. In presuppone una costruzione: in (linia con), mentre a nasce da: a (la via de). Una volta entrate a far parte del toponimo, in oppure a rimangono e non sono invertibili. È poi notabile come una parola, che in caso di conversazione rimane integra, come toponimo acquisito si possa contrarre. E questo l'esempio di cao che nel parlare corrente non usa perdere la v: passime el cavo, son rivà fina in cavo, cavarìo (a Venezia caorìo). Da qui la pericolosità di dedurre regole dialettali dai toponimi. Ancora da rilevare Le Mote, dal participio passato di mòver che oltre a mosso dà a Capodistria pure moto: ti t'à moto o ti te ga mosso. Mote dunque perché il profilo delle montagne presenta una serie di cunette poco differenziate l'una dall'altra. Sono dette pure Le Motisèle e, dai pescatori delle generazioni precedenti, con uno dei non rari guizzi di fantasia, Le Pelose Fracade (pelosa è quel piccolo granchio dei 'brachiuri' simile alla gransievola, che sta presso le rive tutto coperto d'alghe a dannare le reti dei pescatori che prima di toglierle le pestano un poco con il piede, donde il nome; se fossero completamente schiacciate sarebbero mastrussade). Infine Scassadura Granda e Scassadureta, pure riferiti al profilo dei monti allineati con Miramare, in questo caso scassadura denota il vuoto tra un monte e l'altro (reputo trattarsi dei due fianchi del M. Lanaro).

Mol de le Merde. Non compare nella cartina. È quello che chiude a levante il porto di Bossedraga. Considerato che per la universale carenza dei servizi igienici tutti gli abitanti delle cittadine istriane situate sulla costa venivano accomunati con i Veneziani nell'epiteto di caghinaqua, il significato è più che evidente.

Mol de Pacioschi. 8i. Un tempo la riva presentava quelle caratteristiche di conca a basso fondale che nella costa istriana assunse nomi derivati da mucla con diverse varianti (Muja, Mujela) e nel caso specifico Musela. Durante la dominazione austriaca fu imbonita e vi venne eretto un magazzino per il sale che prese il nome dal polacco Albert Patzowsky, dal 1818 «I.R. Commissario aulico per la disamina delle saline dell'Istria e della Dalmazia». Naturalmente capodistrianizzato in magasin (anche masaghen) de Pacioschi e la banchina ove attraccavano le barche Mol. In realtà l'edificio fu opera del successore, il trentino Degasperi che nel 1836 usò allo scopo il materiale ricavato dalla demolizione del vicino Baluardo Tiepolo.

Ospissio. 3i. Nell'800 fiorirono in Istria, come altrove, le società operaie di mutuo soccorso. In seno alla «Progressista» si sviluppò l'idea di costituire una società per la lotta contro la tubercolosi, la quale acquistò un terreno a Valdoltra e vi eresse un sanatorio antitubercolare in località Ancarano. Il felice esito dell'iniziativa e la salubrità del posto, già nota al Petrarca che la raccomandò al Boccaccio (Ziliotto, 1911), determinarono l'erezione di un altro ospedale per l'eliotalassoterapia delle malattie ossee denominato «Ospizio Marino» e semplicemente dai pescatori Ospissio. Costruito nel 1909 dalla «Società Amici dell'Infanzia» di Trieste, passò alla CRI nel 1929.

Palù del Porto. 9i. Il passaggio al maschile del vocabolo italiano 'la palude' ha condotto all'inevitabile troncamento caratteristico dell'istroveneto. Come termine di mare sta ad indicare una zona affiorante o quasi con le basse maree, fangosa (se sabbiosa si chiama scano) e piuttosto estesa (se circoscritta a una modesta insenatura si preferiscono i derivati di mucla).

Palù de Persanpieri. 9lm. Oltre a quanto detto per Palù del Porto, è notabile come i toponimi cittadini vanno accompagnati a determinate preposizioni non sostituibili con altre e a volte, come nel caso del rione di S.Pietro, neppure eliminabili. Così si dice stavo zo-pe-Porto, a Bossedraga, rente el Brolo, per-Sanpieri, in Ponte. Mai nessun capodistriano dirà per Bossedraga o rente el Porto. Particolarmente nel caso del toponimo qui in esame, il per è talmente legato a Sanpieri che ho ritenuto doveroso farlo divenire parte integrante. Si soleva dire: femo una caminada fina Persanpieri. Lo stesso accade a Pirano per il toponimo Inaponta (in-a-Ponta). C'è ancora da dire che tutta la Valstagnon non era altro che un grando palù e i pescatori che ne sfruttavano le non magre risorse erano detti i paludanti e tenevano intel porto de Persanpieri le loro barchette a fondo piatto (bateline) oltremodo basse al punto da consentire al pescatore sdraiato sul fondo di andare a palponi con le mani sul fango per raccogliere molluschi e granchi.

Peschiera dei Bigoli. 6n. Bigoli (maccheroni) è soprannome dì una famiglia Steffè che vi esercitava in esclusiva il diritto di pesca dietro concessione comunale. Bigoli è voce comune all'area veneta e di etimologia tuttora incerta. Gravisi, 1923, dà solo Peschiera, ma a lui interessavano le saline retrostanti, non chi esercitava la pesca.

Ponta Grossa. 2f. Il promontorio che divide il Vallone di Capodistria da quello di Muggia ha due punte distanti un miglio esatto l'una dall'altra per cui ognuna aveva due dromi (alti pili in cemento) che permettevano alle navi costruite nei cantieri dì Monfalcone, Trieste e Muggia, di misurare la velocità di crociera. Ponta Grossa è così detta per il suo aspetto di torrione a dirupo sul mare, contrapposto all'altra che degrada dolcemente e viene pertanto denominata Ponta Sotila (Punta Sottile nelle carte nautiche). Nella cartografia antica veniva detta Punta Gasello.

Pontal dei Casti. 8fg. Così detto perché la campagna soprastante la strada pubblica che mena a Isola apparteneva ai Casti, ramo della famiglia Lonzar ed antico cognome della medesima. Nei registri parrocchiali si passa verso il '600 da Casto detto Lonzar a Lonzar detto Casto.

Pontal de Pessenca. 8i. Pessenca è l'adattamento capodistriano al cognome di origine slava Pecenca da qualche generazione presente a Capodistria (anche come Pecenco). Poiché non risulta che nessun Pessenca facesse il pescatore, neppure dilettante, e in quel punto la costa scende a dirupo (è la zona del Be(l)vedér) il nome potrebbe derivare da qualche abitazione soprastante le mura cittadine ovvero da altri motivi perduti nella memoria.

Ponta Toto. Non localizzato. Gravisi, 1923, per la «valle» del Fiume (Risano) dà solo tre nomi: Bocca Fiume, Ponta Totto, Dosso. Poiché le saline sulla riva sinistra del Risano sono elencate appresso nella «valle» di Sermino, è molto probabile che Ponta Toto sia un altro nome di Cavospigo (v.). Totto è nome di una famiglia comitale capodistriana che avrà posseduto quelle saline o provveduto all'erezione di quell'argine.

Pontolina de Sòto, Pontolina de Sora. 4l. Per chi vede i toponimi segnati sulla cartina annessa al presente studio, orientata rigorosamente a nord, può apparire un’inversione di termini visto che de sora sta scritto in basso e de soto in alto. L'apparente contrasto si spiega vedendo le due pontoline da una barca che proceda lungo la costa da Capodistria verso Pontagrossa. In tal caso de sora si spiega come quella che viene prima e che alla vista si sovrappone all'altra più distante.

Porporèla. 9i. Nelle carte antiche di Capodistria si parla di tante ‘porporelle'. In pratica ogni porto aveva la sua a protezione. In documento del 26.1.1281 il podestà veneziano ebbe ordine di distruggere le purpurarias. Negli ultimi anni il nome era rimasto solo a quella sorta a protezione del Mandracio e che ormai divenuta molo aveva le sue radici nella strada per Semedella, al suo inizio, subito dopo il ponte di legno sull'ara suburbana. Il nome, di vastissima diffusione, risale al latino purpuraria con vari passaggi semantici: la porpora si estraeva dai gasteropodi del genere murex, le tintorie erano pertanto collocate lungo la costa e ove sorgevano si accumulavano i gusci usati nella lavorazione, da qui il termine passò al significato di 'immondezzaio' e dato che gli statuti delle città di mare proibivano di gettare rifiuti entro i porti, questi venivano buttati fuori delle opere di difesa dei medesimi che quindi finirono per derivarne il nome. Si ebbero così i passaggi: purpuraria = tintoria di porpora > deposito di conchiglie > deposito di rifiuti > cinta del porto oltre la quale si gettavano i rifiuti > opere di difesa dei porti anche senza la presenza di rifiuti.

Porto de Taca. 9lm. Invessi de tignir el batelin drento el porto de Persanpieri Jachemo Taca col suo socio Méto Pega, do veci paludanti, i veva fato un armiso postisso infondi dela Calogenia (da Calle Eugenio, oggi via Cankar, ndr.). Taca è soprannome di una famiglia Deponte o secondo altri Derin. Il «porto» consisteva in quatro piere sula riva e una piera in fora. L'ironia è evidente.

Porto Spussa. 2g. Detto anche A-le-Basse, è un piccolo moletto a forma di elle in prossimità di Pontagrossa. Secondo i giovani il nome gli derivava da alcuni pescatori 'napoletani' (in realtà di Procida) che vi si erano accampati e si distinguevano per la cragna che i veva dosso e a bordo, e che i magnava pessi crudo. Ma i più anziani ricordano che ancor prima del loro arrivo negli anni Venti il nome era questo e gli derivava dal fatto che colà con i barconi si trasportavano parte dei rifiuti urbani di Trieste che poi, lasciati macerare nei campi vicini, venivano venduti per letame agli agricoltori di Capodistria. La mia famiglia possedeva una particella di pochi metri quadrati, tanto piccola da non esser stata inclusa nel decreto d'esproprio del 1946, tra la fabbrica del Còto (v. El Còto) e la strada, per depositarvi il letame che arrivava con la barca da Porto Spussa al pontile del Còto e che qui sostava in attesa di venir utilizzato nel cortivo di Villisano ubicato sull'attigua costa a strapiombo ma raggiungibile dopo 800 metri di strada in salita.

Saiba. On. Località a mare del colle di S.Canziano (Cansan), dove un tempo si esercitavano nel tiro a bersaglio i soldati austriaci. Deriva da Scheibenschissen 'bersaglio'. È la prima parte de La Gravisa venendo da Capodistria.

Salàr. Om. Il nome dovrebbe derivare da solarium ed è un termine ricorrente nelle saline. Va raffrontato senza dubbio al toponimo interno di Salara. Gravisi, 1924, dà salar per Capodistria e salaro per Pirano «spazio libero davanti la casa nelle saline». Gravisi, 1923, lo chiama Pontài Salar nel qual caso i 'puntali' dovrebbero essere quelli formati dagli angoli quasi retti degli sbocchi delle due are che lo fiancheggiano: Ara de San Girolamo e Ara de la Pocefa.

Samarco in Bòrgola. Bòrgola da bifurcula, valletta incassata tra i monti, figura tra le parole in uso a Pirano (Rosamani). Questo punto di mare di cui si è detto nell'introduzione, mostra ancora viva tra i pescatori capodistriani questa voce che si riscontra a p. 112 degli Statuti di Capodistria, risalenti almeno al '300: et ascendendo per quandam Burgolam.

Sanicolò. 3l. Famoso nell'anteguerra per i suoi stabilimenti balneari molto frequentati dai Triestini, prese il nome dal Convento dei frati di S.Nicolò al Lido che ne ebbero il possesso dal 1102 al 1770. Prima il monastero era intitolato a S.Apollinare.

Santa Caterina. 4m. Vi era un pontile in legno che permetteva l'approdo alle persone dirette al Sanatorio di Valdoltra poco distante. Si ignorano i motivi della dedicazione alla santa e se il nome fosse antecedente all'erezione del sanatorio medesimo (cosa probabile).

Sbiteran. 6-8b. Splendido toponimo noto anche ai pescatori di Isola, del quale non mi sento di azzardare etimologie mancando pure versioni popolari. Rosamani dà Sbìtera soprannome a Isola.

Scano. 7m e 8m. Deriva dal latino scannium che ha dato scagno (per influsso della i) per designare lo sgabello, e scano per l'accumulo di detriti fluviali, mentre in italiano in ambo i casi la voce è ‘scanno'. El Scano che tutti i Capodistriani conoscevano preferendolo a Sanicolò per un bagno sulla sabbia, perché più solitario, era uno solo, quello posto sulla Bocafiume. In realtà però ai pescatori era noto pure un secondo scano posto a sud di questo e prodotto dai residui di deiezione del Fiume vècio (v.).

Scassadura Granda, Scassadureta. Punti di mare sulla rotta per la Sdoba. I punti di mare della III categoria sono talora talmente usati che è sufficiente un solo termine per richiamarli, come nei casi di Scassadureta, Scassadura Granda e Socheto (v.) che sono inclusi in una zona una volta molto frequentata d'inverno per calarvi le passelere. Nei casi di Scassadureta e Scassadura Granda l'allineamento è dato da questi due punti con la chiesetta di Contovello. A venir soppresso è sempre il punto mediano che fa da perno nei rilevamenti durante la navigazione e ciò per ovvi motivi. Anzitutto esso è sempre dato da qualcosa di molto appariscente, dovendo evidenziarsi pure durante le foschie, mentre i punti esterni, scelti sul profilo dei monti stagliati nel cielo, offrono una ben più vasta gamma di dettagli. Poi come conseguenza i punti mediani sono più radi quindi più ricorrenti, onde è più facile sottintenderli. Proseguendo la rotta, per i medesimi punti esterni si fa perno sul castello di Miramare (v.) che questa volta è opportuno menzionare per non confondere con i punti precedenti (siamo tra l'altro in zone frequentate più di rado).

Seco del Grénbano. Fuori dalla cartina. E una secca rocciosa del Golfo di Trieste al largo di Santa Croce e vicino a Punta Sdobba. Grénbano, più usato di grébano, grébeno, significa roccia, sasso, terreno brullo. Molto usato a Capodistria (e TS) in senso metaforico: ti son un grenbano 'sei ignorante, rozzo'. Consueta l'epentesi di n (Andriano, angonia, Mandalena), notevole la costituzione del nesso nb che lo accosta a canbera, cogunbero, ecc.. Solitamente viene fatto derivare dallo sloveno e questo per il fatto che Meyer-Luebke lo analizza partendo dalla voce slovena greben; ma la diffusione del toponimo: Verona, Venezia, Friuli, Brescia, Belluno, nonché trentino e cadorino mi lascia propendere per una radice mediterranea: graba, greba.

Sganbèlo. 2g. Una sua derivazione da scabellum non incontra difficoltà. Per l'inconsueta sonorizzazione della velare si noti che il Rosamani per Capodistria oltre che scabei 'comodino' riporta pure sgabel, anche se ritengo il primo più schietto ed il secondo derivato attraverso il triestino dal letterario 'sgabello'; per l'epentesi di n basti vedere qui sopra la voce grenbano; la o finale infine qualora conservata (vedi il vicino Gasel) riaccosterebbe il capodistriano al piranese. Non dovrebbe in questo caso trattarsi di ripristino, anche se Gravisi, 1920, scrive Sgambel e ne propone la versione italiana Sgambello, poiché da me raccolto da più pescatori. Io però ritengo preferibile un suo accostamento a sgamberla 'a sghembo', 'storto', da 'gamba' che offrirebbe una soluzione pure semanticamente più accettabile. A Ponta Grossa infatti la costa è alta a dirupo sul mare, poi in località A-le-basse scende bruscamente al suo livello, indi risale ma lentamente a Sganbèlo per ripresentarsi a strapiombo in località Gasel: tutta una successione di toponimi in perfetta rispondenza semantica con il profilo della costa vista dal mare. L'insolita conservazione della -o finale andrebbe in tal caso connessa con la recente caduta della r.

Sochéto. Fuori della cartina. Località in mare aperto sulla rotta della Sdoba, subito dopo Are. Appartiene ai punti di mare della III categoria. Il punto mediano, sottinteso data la frequenza dell'uso, è dato dalla Lanterna della Sacchetta nel porto di Trieste. L'appellativo Sochéto venne affibbiato a una increspatura del profilo del cielo che non si capiva se naturale o artificiale (albero o torre), piccola ma ben evidente: in dialetto soco è un 'ceppo'. Merita riportare un gustoso episodio nella versione originale dell'informatore: Andando in ver la Sdoba, Nicoleto Pegolota (Stradi) a ghe dà la rigola (timone) al Gobo Cilin (Almerigogna) che a no jera tanto uso de mar, a no jera, e a ghe fa, a ghe dir: Mi me buto a pajol che go bisogno de paussarme (riposarmi) un poco, co ti rivi al Sochéto fermite! E staltro, no a te vedi in mar un toco de legno e a ferma la barca, a ferma. Alora no, Nicoleto Pegolota che no veva gnanca serà i oci, a senti che xe calcossa che no va, a senti, a slonga el colo, a slonga, e a se vedi Pontagrossa vanti el naso, a se vedi: Perché ti t'à fermà, Cilin, che no semo gnanca in Are! no semo! E staltro mostrandoghe el toco de legno che vigniva a velo (galleggiava): A no xe quel là el sochéto?. Tutte le interviste sono condite di soprannomi che affiorano ad ogni risvegliarsi dei ricordi: El seco del Grenbano? Eh, anca Zagnol (Perini) ghe ga lassà tochi de malaida!

Spiasa Granda 8n. In tutta la costa della Valstagnon il mare lambiva gli argini delle saline, tranne nell'angolo sudest ove c'era un breve arenile interrotto dall'Ara dela Fiera che lo divideva in due parti di cui quella a nord denominata Spiasa Granda solo in quanto contrapposta alla Spiaseta a sud. Normalissimo l'esito di s sonora per la g italiana di 'spiaggia' (Biasio, viasio, scoresa, ecc.).

Spiaseta. 9n. Vedi Spiasa Granda.

Squero del Bòcio. 8l. Squero vale 'cantiere navale' dal greco escarion, diffusissimo in tutta l'Istria, era il solo rimasto a Capodistria; ma il ricordo degli altri (el squero Poli per Sanpieri e quel de Toni Grasso in Ara, oltra la Porporela) faceva sì che venisse sempre seguito dal soprannome del proprietario (Depangher). Ignota è l'origine ma più che collegarla con bocia 'ragazzo' diffuso nel Veneto ma ignoto in Istria, sembrerebbe corruzione di nome proprio come il piranese Boci da Bortolo che presenta le tipiche deformazioni infantili. Ad Orsera, soprannomi Bocia e Bocin, derivati però dal gioco delle bocce.

Val Canpi. 6n. Questa era la zona dove la campagna coltivata si avvicinava maggiormente e per più tratto, al mare. Altrove coste scoscese, aree urbanizzate, strade costiere e saline, si frapponevano tra il pescatore e il grappolo d'uva invitante. Venne sottratta per intero al mare con i lavori di bonifica eseguiti negli anni Trenta. Gravisi, 1904: «A Capodistria la Valle dei Campi è detta anche mare de la bora» (cfr. Valdebora a Rovigno). Il termine 'valle' oltre che agricolo e marinaresco è peculiare dell'ambiente di mezzo ossia delle saline, che erano divise in entità territoriali maggiori denominate appunto 'valli' tanto da Tommasich, 1891, che ne elenca 6, che dal Gravisi, 1923, che le riduce a 5 unificando Ariolo e Sermino sotto quest'ultima voce.

Val de San Bartolomio. 1h. Tra Pontagrossa e Pontasotila. Oggi è tagliata in due dal confine.

Valdoltra. 3-6 l-n. È una costa che precipita o degrada più o meno dolcemente dai Monti di Muggia al Vallone di Capodistria. Ha tutti gli aspetti all'infuori di una valle. L'appellativo non le può che derivare dal gergo marinaresco come le altre in cui si suddivide el Valon. Oltra nel senso di dall'altra parte, di fronte a Capodistria. Come toponimo terrestre denota tutta la zona che un tempo era chiamata Gasel(lo) (v.) e si usa solamente Doltra, Oltra e Voltra con la consueta epentesi di v. Mi piace in proposito riportare Vidossi, 1900: «quella parte della lingua di terra che va dal vallone di Zaule al vallone Campi, la quale comunemente si addimanda Oltra».

Val Stagnon. 8-9 mn. Al riparo da tutti i venti all'infuori del maistro che è la brezza tipica del bel tempo, si è meritato il nome di un grande stagno. Viene comunemente detto anche solo Stagnon e Stajon. Da taluno l'intesi chiamare Stagion ma in questo caso si tratta di un'ipercorrezione determinata dalla tendenza recente di passare g tutte le j originarie (giasso, giara, Giacomo, ragion anziché jasso, jara, Jachemo, rajon).

Zusterna. 9g. Ufficialmente Giusterna. Normalmente viene fatto derivare da 'cisterna' ma il passaggio non è del tutto convincente. In uso pure la forma Justerna. La toponomastica ufficiale slovena ha preferito rifarsi alla forma più schietta Zusterna che però i Capodistriani pronunciavano esclusivamente con la esse sonora e nel passato anche recente con l'interdentale, pure sonora.


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Created: Wednesday, September 25, 2002; Last Updated: Friday, June 30, 2023
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