Toponimi di mare dei
pescatori capodistriani
di Lauro Decarli
[Tratto da: Questa ricerca di Lauro Decarli è
stata già pubblicata (in forma più estesa e completa di
bibliografia) negli Atti e memorie della Società istriana di
Storia patria (vol. XXXIX della nuova serie, 1991), nonchè sul
Bollettino dell'Atlante linguistico mediterraneo ("Fondazione
Cini", Venezia, 1993).]
La toponomastica del
mare è un settore ancora tutto da scoprire. Se sono noti a tutti i nomi
dei grandi mari e golfi (Mare Adriatico, Golfo di Trieste) e in
qualche carta si può scendere al Vallone di Capodistria o ad
entità ancora minori quali Val Stagnon, è ben vero che più giù
sono estremamente rari. Eppure il pescatore non meno della gente di
terra ha sentito da sempre il bisogno di dare un nome ad ogni angolo del
suo mare per essere in grado di comunicare ad estranei il posto esatto
ove ha calato la rete o ha preso il pesce più grosso.
I toponimi di mare si possono dividere in
tre categorie.
- La prima è data dalla linea di costa,
in questo caso con scarsa corrispondenza alla toponomastica di
terraferma, cosa ovvia in quanto tesa a soddisfare esigenze ben diverse.
- La seconda è pertinente alle
caratteristiche del fondale ed è pertanto prettamente marina, senza
riferimento alcuno alla terra emersa.
- L'ultima è quella dei punti di mare
distanti dalla costa, per trovare i quali necessitano i riferimenti
in terra di almeno due linee ossia quattro punti. Questa è di gran lunga
la categoria più prolifica e in pratica ogni pescatore nella propria
diuturna esperienza di mare se la crea continuamente secondo le
necessità contingenti, spessissimo tenendosela segreta per le note
rivalità della pesca.
È
impressionante la capacità del pescatore di ritornare con esattezza su
un punto di mare pur privo di segnali galleggianti dopo essersi impresso
nella mente i punti di riferimento e, specie in giornate terse, la
precisione è tale che ho personalmente partecipato a discussioni in una
barchetta di 5 metri tra chi butta l'ancora a prova e chi manovra il
timone a poppa, sul momento preciso di fermarsi sul Seco del
Grénbano, che dista oltre due miglia dalla costa più vicina. Non c'è
praticamente punto del mare per più miglia lungo le coste che un
pescatore non riesca a ritrovare senza altri strumenti che i suoi occhi.
La proliferazione di microtoponimi che ne consegue è tale da non poter
neppure pensarsi di farla esame di studio se non nel suo aspetto
globale; pur tuttavia se è ovvio che vi predominano i punti personali,
esistono pure quelli noti a una larga cerchia di amici e parenti o ad
una intera collettività, per finire con quelli noti universalmente e
pertanto da considerare veri e propri toponimi. Toponimo da carta
nautica è per esempio divenuta al largo di Punta Salvore la secca
denominata Piranoro che uno studioso dall'animo poeta volle far
derivare da Pirano che appare d'oro guardandola da quel punto illuminata
dal sole, mentre il nome le viene semplicemente dall'unione delle due
parole (punti di riferimento) Piran
e òro (orlo), ossia Pirano che appare appena sull'orlo della
punta di Salvore. Secondo informazioni raccolte dal piranese Marino
Bonifacio i pescatori isolani usavano il toponimo Fortinòro
desunto dalla vista di Pirano che al largo di Isola appare oltre la
punta di Strugnano (in questo caso Fortin è l'appellativo da loro
dato alla chiesetta della Madonna della Salute divenuta faro); a loro
volta i pescatori piranesi usavano il toponimo
Isolaòr.
Ma pure per raggiungere una qualsiasi
secca o fondale al largo, pur di per sé noti con il loro proprio
toponimo, al pescatore necessitano conoscere i punti di riferimento in
terra, che in caso di posti noti a tutti, diventano veri e propri
toponimi complementari. Un esempio: per andare in Sbiteran a
pescare le ménole che nel Vallone di Capodistria difettano,
ognuno sapeva che basta tenersi a Samarco-in-bòrgola
e Trieste-vèrta, ossia dal lato sudest la cima del grosso
tumulo preistorico che sta sulla vetta del Monte San Marco, deve stare
in linea con una vallicciola incassata (bòrgola) sottostante,
mentre verso nordest, oltre la Pontagrossa si deve vedere
Trieste, e non di poco, ma bene aperta. Anche quando il pescatore si
porta a largo fuori del suo Vallone in un luogo determinato, sa
sempre dire in quale punto della rotta ha incontrato un'altra barca, ha
visto i dolfini o la cagniga, oppure a Nando ga ciapà
mal. Così ad esempio, prima della diffusione del motore e
conseguentemente della pesca con le lampare, la stagione estiva
era contrassegnata dalla pesca delle sardelle con le malaide
(sorta di rete galleggiante). Le barche a vela bordeggiando si recavano
sulla Sdoba
(foci dell'Isonzo) o sulla Tressa de Grado ove rimanevano a
pescare per 20 giorni di seguito (la luna) mentre a raccogliere
il pescato per portarlo ai mercati di Grado o Trieste, ogni mattina
venivano barche più grosse a motore (le portolate dei Stradi).
Pure in questo caso la rotta ormai consueta era contraddistinta da tutta
una serie di toponimi indicanti il tratto di mare corrispondente. Le
barche, lasciato il Vallone, dopo Pontagrossa si trovavano in
Are cui seguivano Socheto, Scassadureta e Scassadura
Granda, dopo di che, causa la distanza dalla costa, è necessario
ricorrere ai consueti punti, in questo caso solo due visto che gli altri
sono dati dalla rotta medesima. Preso il castello di Miramare che domina
con il suo biancore pure in caso di foschia, lo si oppone al profilo dei
monti retrostanti ottenendo la sequenza: Miramar-in-Scassadureta;
Miramar-in-Scassadura-Granda; Miramar-in-mèso-le-Mòte;
Miramar-a-cào-le-Mòte; giungendo di lì a poco sul
Seco-del-Grénbano
e alla Sdoba.
L'esempio qui offerto dalla cartina dei
toponimi di mare del Vallone di Capodistria è sufficiente ad evidenziare
l'importanza per il linguista di questa toponomastica minore, a torto
finora trascurata. Essa è stata redatta principalmente grazie alle
precise informazioni fornite dal pescatore capodistriano Nazario Sauro,
noto ai compaesani come Nasarin Baretin, mentre l'omonimo martire
suo cugino portava il soprannome di
Jajo Bareta.
Ecco ora un breve esame dei
toponimi in ordine alfabetico il cui rilevamento nella cartina è
agevolato dalle cifre e lettere che seguono il nome.
Ai Santi Padri. 8m.
Noto anche come
Cavana dei Frati. Prima della Grande Guerra i Cappuccini vi tenevano
la loro barca con la quale andavano a questuare per le città della
costa. L'inclusione nei toponimi delle preposizioni, articolate o no,
non è casuale ma deriva dalla necessità di rispettare l'effettiva
tradizione che, come si avrà occasione di constatare in altri esempi,
spesso includeva indissolubilmente in qualche toponimo una e non altre
particelle (vedi: Palù de Persanpieri, Miramar..., ecc.).
A la Calda. 9l.
Sorse a Capodistria agli inizi del secolo una fabbrica di concentrato di
pomodori che in breve divenne famosa per la qualità del prodotto, la cui
ragione sociale era: Conti, Calda & C.; ma che per il popolo fu quella
dei conti Calda. Sul retro di detta fabbrica c'era lo sbocco
dell'ara suburbana in Valstagnon. Specie dopo gli anni Trenta,
causa l'imbonimento di parte dell'Ara e la mancanza di deflusso delle
acque, i fanghi bluastri delle sue sponde brulicavano di vermi
teneri, meno pregiati dei vermi duri che si scavavano dalle
rive sassose, ma talmente numerosi da costituire la sola fonte di
reddito per Nina Gata che ne estraeva intere mastelle che poi
mondati mandava a Trieste ove erano venduti in Piazza Ponterosso da
ambulanti in bicer de un quarto col manegheto. Non c'è pescatore
dilettante capodistriano che non sia andato decine di volte
a far vermi a la Calda.
A la Sabia. 8l.
Il terreno marnoso-arenario fa sì che il
fondo marino, ove non sia sassoso è quasi sempre fangoso. Ma tra i porti
di Bossedraga e Portisolana, prospiciente allo squero
del Bòcio (v.) si trovava una zona non grande ove eccezionalmente
c'era un po' di sabbia. Il nome quindi le viene dal fondale.
A le Basse. 2g.
All'estremità della Pontagrossa
la costa scende a picco sul mare, anche se qui il salto è di appena
una decina di metri, neanche confrontabile con i Rivassi ubicati
tra Capodistria e Isola e ancor più quelli tra Isola e Pirano. A un
certo punto però la costa si abbassa fino a consentire la costruzione di
un moletto denominato Porto Spussa (v.) e una stradina per
l'interno. A le Basse quindi in contrapposizione ai dirupi
posti ai lati.
Al Ponte de Mèso. 9hi.
Quando agli inizi dell’800
con terra portata dalle donne su panieri di vimini posti sul capo venne
costruita la strada-argine per Semedella, a un certo punto fu necessario
erigere un ponte per il flusso delle acque delle saline interne. Questo
venne detto Ponte de Mèso non perché ubicato a metà della strada
(è più vicino a Semedella) ma perché posto tra il ponte de la
Porporela a Capodistria e quello sull'Ara Granda in
Semedella. Con la bonifica delle saline e la costruzione della cabina di
pompaggio delle acque piovane il posto prese pure il nome de
l'Idrovora.
Ancaran. 5m.
Se ne occuparono vari autori e viene ritenuto un prediale romano dal
personale etrusco Ancharius (Doria). Il solo Tommasich, 1886,
noto ricercatore di storia patria e solitamente bene informato, lo fa
derivare dal nome di un abate di un antico monastero benedettino.
Gravisi, 1920, ne cita vari altri presso Teramo, Roma, Norcia, Piacenza,
nonché Angarano a Bassano.
Anconela. 4m.
Il Rosamani accompagnando il toponimo con la
definizione 'piccola insenatura' sembra voler alludere al Gravisi, 1904,
che lo fa derivare dal greco agkon 'gomito'. Pure per l'orografia
meglio si adatterebbe a una sua derivazione da 'gomito' che non da
ancona 'immagine sacra' di cui non rimane ricordo alcuno. Va però
rilevato che il secondo è l'esito più normale in terre venete. La
soluzione ce la offre lo stesso Gravisi che scrive: «Con alcuni pezzi di
archivolti di stile gotico, tutti figurati, raccolti dall'ing. Benedetto
Petronio nella prima metà del secolo e tolti a quella ricca chiesa del
'300, qualcuno formò più tardi uno strano tabernacoletto, che
presentemente si trova nel museo civico di Capodistria». E aggiunge che
Caprin, 1905, ne riporta la fotografia «ma lo mette erroneamente a
Gasello di Val d'Oltra anziché in Ancarano», quasi certamente quindi in
località Anconela. Dalla foto citata si rileva che l'anno di
erezione di questa 'anconela' è il 1855;
pertanto ritengo che solo il trovare una documentazione precedente
del toponimo può rimetterne in discussione l'etimologia. A Dignano e
Monfalcone Anconeta.
Ara. 9i.
Termine preso dal mondo rurale
ove sta ad indicare lo spiazzo che sta davanti la casa di campagna
(aia). Si addice a piccoli tratti di mare che si incanalano nella costa.
Deriva da 'area' ed essendo molto usato è solitamente seguito da un
altro appellativo atto a distinguerlo dalle altre. L’Ara per
antonomasia, la sola che non portava altri nomi era quel tratto dell'ara
suburbana che andava dalla Porporela alla Muda. Era
frequentato da cultori della togna che nelle occasioni in cui l’Ara
durante le maree metteva in comunicazione le acque stanche
della
Valstagnon con quelle ricche di ossigeno del mare aperto,
aspettavano al varco branzini divenuti ormai leggendari (da 10-12 kg!).
Ara de Colonbin. 5m.
Colonbin a
Capodistria è soprannome di una famiglia Nòrbedo, ma a Valdoltra
Colombin è cognome e stando all'ubicazione è sicuramente a questa
famiglia che va riferito per i terreni o la casetta prospicienti.
Ara dei Cari. 9l.
I contadini che dal contado scendevano a
Capodistria per le spese, lasciavano animali e carri in custodia presso
i fondi appositi vicino alla porta principale d'entrata (detta della
Muda dall'antica tassa di pedaggio che si pagava). Chi passava per
l’Ara in barchetta non vedeva gli animali (quasi esclusivamente
mussi) che stavano in riparo sotto le tettoie, vedeva però i carri.
Ara dei Casoni. 5o:
altra ad 8o.
Ce n'erano due e derivavano il nome dagli ultimi casoni delle saline che
colà si vedevano un tempo. Con la scomparsa dei casoni andarono
perdendosi pure i toponimi, l'uno sparito con la bonifica di Val
Canpi
e l'altro sostituito da Ara de le do Poste, che è il toponimo
più prossimo. Gravisi, 1923, elencando i «fondamenti» di saline della
«Valle» di Sermino, ad Ara dei Gorghi fa seguire Casoni
(senza Ara). L'altra non la cita e andrebbe identificata tra
le due non localizzate: Ara Rossi e Ara della Brosa (v.).
Ara dei Gorghi. 7o.
Tutte le are presentano acque tranquille; neanche questa le aveva
minimamente mosse. I gorghi c'entrano solo perché da Bossedraga
quest'ara è in linea retta con i Gorghi (v.). Si tratta dunque di
un toponimo della terza serie ossia deriva il nome da un punto
topografico di riferimento sito altrove.
Ara de la Brosa.
Non localizzata, figura in Gravisi, 1923,
nell'elenco delle saline di Oltra. Escludendo l'Ara di
Colombin e l'Ara di Mezzo che appaiono pure nella presente
raccolta, può andare collocata al posto dell'Ara de le Palade o
in uno dei due rami dell'Ara dei Casoni. Merita soffermarsi sulla
voce brosa, di etimo sconosciuto e con due significati
principali. Il primo è 'brina' diffuso nel Veneto ma in Istria attestato
nella sola Pinguente. A Capodistria (e altrove in Istria) la brina viene
detta bruma (anticamente usato pure brignada); vedi però
il capodistriano brisada 'grandine minuta', il piranese
bronsina
'nevischio', ecc. L'altro significato di brosa è quello di
'crosta sulla ferita'.
Ara de la Fiera. 8o.
Questo è il più interessante
per le congetture storiche che se ne possono trarre. Chiesto ai
pescatori perché «della fiera», dicono di non saperlo. Ma ai tempi di
Capodistria «metropoli dell'Istria» era ben famosa la Fiera del Legno
o de le Bòte o de le Nòse (botti e noci, per la stagione)
che nelle ultime manifestazioni si teneva in città, o dietro il Duomo
(in Brolo) o appena entro le porte della città (Fiera del Cristo
in Ponte, da una chiesa-santuario affacciantesi sulla piazza); ma
nei secoli passati per questioni di ordine pubblico, alla pari delle
altre autorizzate dalla Serenissima, si teneva fuori dalle mura ed era
nota come la Fiera dei Risano. Allora il Risano scorreva a sud
del Monte Sermino, poi venne corretto artificialmente il suo decorso per
limitare i danni dell'interramento del mare attorno allo scoglio di
Capodistria che ne metteva in pericolo la difendibilità. E’ pure l'ara
più vicina alla stradareja che mena a Trieste (l'antica Via
Flavia). Non basta; questo toponimo può fornire un indizio di
partenza pure allo storico che volesse indagare sull'esatta ubicazione
del posto ove nell'804 avvenne il famoso Placito del Risano.
Spunti del genere non sono nuovi in toponomastica e spesso hanno
prodotto gradite sorprese.
Ara de la Palada. 5o.
La palada era
un'opera di difesa sul mare che prendeva ovviamente il nome dai pali
confitti per eseguirla; ma poi poteva presentarsi sotto vesti diverse:
solo pali, pali e fango, pali e pietre. Ben presto i pali sparivano
mangiati dalle teredini e rimaneva il toponimo, qualche sasso o una
cunetta di terreno a ricordare l'opera. Tre sono i toponimi
capodistriani in luoghi ben distinti: L’Ara de la Palada in
Val Canpi; La Palada in Valstagnon, che testimoniano opere a
difesa delle saline ed infine Le Palade fuori Bossedraga
che Rosamani porta come formate di sole grosse pietre ma che erano veri
moli per l'incànovo e descànovo del sale dal grande
magazzino antistante la riva.
Ara de la Pocefa. Om.
Ignoto agli informatori
viventi, lo si rileva dal Tommasich, 1891. Interessante che Gravisi,
1911, in nota, ricopia tutti i nomi delle saline del Tommasich ma al suo
posto scrive Ara della Buffa. Nella pubblicazione del 1923 però
lo include per ultimo tra i nomi delle saline della 'valle' di Sermino.
Poiché appaiono indicate in ordine geografico (Dosseto, Do Poste, Ara
de Gorghi, Casoni, Spiasa grande, Ara della Fiera, Spiaseta, Ara della
Poceffa) sono propenso a credere trattarsi dell'ara che divide le
saline di Ariolo (incluse da Gravisi tra quelle di Sermino) e quelle di
S.Nazario, poco a sud dell'Ara di S.Girolamo con cui inizia
l'elenco della 'valle' di S.Nazario. Si tratta senz'altro di un
soprannome. Una raccolta inedita di soprannomi di Giuseppe Vatova,
gentilmente favoritami dal figlio prof. Aristocle, porta Pucefa.
Se ne è persa però la memoria. Semi, 1959, nel racconto «Sèletro» fa
intervenire un personaggio di nome Pocefa. Una recente edizione
di opere del Gianelli, Tav. 49, porta la didascalia: La moier de
Pocefa che la 'speta che torni su' marì per sonarghele. Prati, 1968,
porta la voce pòciol 'fanghiglia' che ben si addatterebbe
semanticamente ad una derivazione diversa. Vi osta però il fatto che in
capod. la voce suona ploc(io) e che i nessi di labiale e liquida
ben si conservano (flonda, floco, plus 'cia, ecc.).
Ara de la Spina. 7m.
Costituiva una vera
scorciatoia per chi con le bateline a fondo piatto voleva
portarsi da el Stagnon in Val Canpi. L'ara divideva gli
argini della Boca Fiume dalle secche antistanti (Scano) e
menava alla località detta La Spina (v.).
Ara de le do Poste. 8o.
Detta pure dei Casoni.
Prese il nome dal toponimo vicino: Le do Poste (v.).
Ara de Mèso. 6o.
Non è posta affatto nel mezzo ma in fondo
alla Sacheta de Val canpi; a meno che il toponimo non si faccia
risalire a prima della costruzione delle saline lungo i lati del Risano,
nel qual caso unificando in pratica le due valli questa potrebbe pure
risultare l'ara mediana. Gravisi, 1923, sembra volerle dare una
ubicazione diversa; ma i toponimi dalla Val Canpi (anche causa il tempo
decorso dalla loro sparizione per effetto delle bonifiche) sono i soli
che presentano notevoli divergenze con le ricerche attuali.
Ara de San Girolamo. 9m.
Tommasich, 1891, e Gravisi,
1923, danno solo San Girolamo come 'fondamento' di saline. L'ara
è quella che dava l'accesso via mare alle predette. Gravisi, 1920, dà un
altro S.Girolamo in Valdoltra nella località ora chiamata
Ospissio.
Ara Granda. Oi.
Sboccava in Semedella e praticamente seguiva
l'antico confine di costa. Era un tempo protetta verso le saline da un
argine ben maggiore che non verso monte, allo scopo di evitare che
comunque le acque dei piovaschi scendendo dal Monte San Marco non
tracimassero nelle saline. Era detta Granda non per l'apertura
della sua bocca ma per la lunghezza.
Ara Rossi.
Non localizzata. Citata da Gravisi, 1923,
tra i 'fondamenti' delle saline di Val Canpi i cui nomi sono gli
unici a non trovare esatta concordanza tra quelli rilevati dal Gravisi e
quelli forniti dagli informatori; cosa normale dato che ivi le saline
cessarono nel 1910 e negli anni Trenta con i lavori di bonifica
scomparve addirittura il mare.
Are. 1f.
Appena passata Pontagrossa,
spingendosi al largo verso la Sdoba, il primo toponimo che si
incontra è Are,
plurale di ara che così senza l'articolo pare quasi un
collettivo come a significare che lì ci sono buoni campi di pesca. A
Pontagrossa, subito dopo el Péro (la boa luminosa) se jera in
Are; de là se scominsiava a calar le passelere e su su, in ver
tramontana fina a Scassadura Granda (v.).
Bagno Bareta. 1g.
Appena doppiata Pontagrossa,
fuori della vista di Capodistria c'è la località denominata Bagno
Bareta perché in quel posto agli inizi del secolo c'era un bagno
pubblico con servizio di barche per Trieste, aperto dal padre di Nazario
Sauro, il martire. Bareta è soprannome di famiglia derivato da un
antenato che non si levava mai il berretto; un altro ramo viene tuttora
denominato, per distinzione, dei Baretini e a questo appartiene
l'omonimo informatore.
Boca Fiume. 7l.
E’ lo sbocco del Risano che si protrae nel
mare attraverso la secca sabbiosa (Scano) tagliata in due da uno
scavo artificiale per far defluire meglio le acque del fiume. Se tutti
conoscevano il nome del fiume (el Risan) solitamente i pescatori
lo chiamavano solo Fiume. L'altro, ossia il torrente
Cornalunga,
era el Fiumisin e ciò bastava.
Cajuda. 9h.
All'udire questo toponimo subito la mente è
corsa a una leggendaria 'Casa di Giuda' capace di nascondere chissà
quali rovine antiche anche se a dire il vero nell'istroveneto solo
Juda per Giuda è tipico mentre non sarebbe consueto Cà
per casa, d'uso veneziano; la Canegra piranese, come da
informazioni di Marino Bonifacio, deriva da callis, le
attestazioni infatti sono: piscara de Caila (1272), piscara de
Cala e piscara Calle (1285), paludem Callis Nigre
(1343). Armato di pinne e maschera mi sono recato ad ispezionare la zona
ben sapendo come lungo la costa ci sono i resti di due moli romani, uno
in Giusterna e l'altro in Villisano. Se il mare era calmo e limpido,
l'impresa non simpatica perché dalla vicina Ara Granda
uscivano i liquami di tutta la zona neourbanizzata di Semedella. Non fu
trovato alcun segno nè di resti di muratura nè di frustoli di ceramica
tra i sassi della riva. Richiesto all'informatore il perché di tale nome
mi rispose: Perché là, jera vignù zo (la zeta si pronuncia come
la s di rose, ndr.) un toco de costa. Dato che oggi il termine
capodistriano per 'caduta' è solo cascada, ecco la preziosità di
questo toponimo che ha conservato una voce a torto ritenuta peculiare
dell'istrioto. In Cajuda jera senpre fisso el sartarel de Nicolò de
Santina (Stradi). Annota il prof. Mirabella Roberti: Cajuda o
cajusa è anche pozzanghera fangosa. Es.: No metar pìe nela
cajuda che te se sporcarà"; ma questa a Capodistria e Trieste si
dice calusa ed è d'altra derivazione.
Cavana. 9l.
Termine usatissimo nelle saline ove indica
il collettore principale delle acque e cavanele sono dette i
secondari. Pur costeggiando un tempo le saline, la Cavana
non era però in rapporto con esse, trattandosi in questo caso della
parte orientale dell'ara suburbana detta anche Ara dei Cari, che
andava dal Ponte della Muda al Palù de Persanpieri. La
differenza tra ara e cavana è che l’ara è di
regola naturale mentre la cavana (da cavar) è solo
artificiale. Essendo questa la parte dell'ara più soggetta a
interramento è probabile che abbia preso il nome in occasione di qualche
lavoro di sterro. Il Dizionario di Marina per 'cavana' dà due etimi,
l'uno da cavus e riguarda il presente; l'altro da capanna
(ricovero di barche) per cui vedi
Cavana dei Frati.
Cavana dei Frati. 8m.
Nota anche come Ai Santi
Padri. Oltre che termine molto usato nelle saline, cavana era
qualsiasi fosso scavato in acque basse per ormeggiarvi una barca e
solitamente ai lati aveva dei pali che sostenevano un tetto di canne
palustri. Se ne possono tuttora vedere nei casoni attorno Grado ed anche
a Monfalcone.
Cavo Spigo. 7l.
Si è persa la tradizione dell'origine del
nome. Un'interessante soluzione si potrebbe azzardare considerando che
entrambe le voci si prestano a formare toponimi di terza categoria;
in cavo, sul spìgo(lo). Ora, dal porto di Bossedraga
che era il principale centro dei pescatori capodistriani, guardando
diritto verso il punto di questo toponimo, sulla costa della
Valdoltra
vi corrisponde l'Ara de Colonbin la quale in realtà era lo
sbocco di un torrentello che scendeva dai Monti di Muggia. Se in questo
identifichiamo l'aquarium Spigal che compare in un documento del
1229 ci troveremmo di fronte a un altro prezioso fossile guida della
toponomastica (vedi però ora Župančič, 1979, che lo localizza tra
Scoffie e Decani, sulla base di una cartina del '700 conservata
all'archivio capitolare di Capodistria). Il posto è stato registrato
pure come Ponta Toto.
Dosseto. 7m.
Così denominato perché più breve del
Dosso (v.).
Dosso. 6m.
Ha lo stesso identico significato che in
italiano (dal latino dorsum) e si usa per qualsiasi rilievo del
terreno di modesta elevazione. A differenza delle altre rive interne
della Valstagnon e di Valcanpi gli argini estremi del
Risano si evidenziano in quanto meglio costruiti perché più esposti alle
mareggiate. Alla base del solito argine di terra ricoperto d'erba,
stavano lastre di pietra e cemento e pietre frangiflutto. Per
differenziarli veniva detto Dosso il maggiore a nord e Dosseto
l'altro perché più breve e forse pure meno alto.
El Còto. 9c.
Pure toponimo di terra, prende il nome da
una fabbrica di laterizi. C'era un pontile per l'uso della fabbrica e
per lo scarico del letame per le campagne circostanti. Per una decina di
metri sulla costa verso Capodistria si vedono affiorare con le basse
maree i resti di un modesto porto romano studiato dal Degrassi, 1954.
Pur essendo molto vicino ad Isola, era ancora territorio capodistriano.
Etimo evidente.
El Mol Fondà. 8g.
Jera za miseria per
conto suo, ancora se ciapava poco, i feva lavori al Palasseto
(Semedella) per la nova strada, mia molie la me dir: "Va a véder se i te
ciol a lavorar!" Co te rivo in Cajuda (v.) no te vedo la
batelina dei Sandrin che lèva el sartarel pien de pessi, i léva. Méto
Pegolota c'una fossenada a te inpìra un bransin de oltra do chili. M'ò
voltà e son tornà a casa al mio mistier. Così Nasarin racconta
l'unica volta che stava per cambiar mestiere. El Mol Fondà non
sono altro che le rovine di un porto romano sommerso, studiato dal
Degrassi, 1954.
Fiume vecio. 8m.
Un tempo il Risano sfociava più vicino a
Capodistria. Poi venne deviato, ancora sotto Venezia, a nord del colle
(m.85) pomposamente chiamato Monte Sermino. Il toponimo
pertanto dopo svariati secoli ricorda il luogo antico di passaggio del
fiume, certamente aiutato dalle caratteristiche del fondo: un leggero
avvallamento affiancato da un banco di sabbia
(Scano).
Fiumisin. 9m.
Porta il nome di Torrente Cornalunga con la
radice 'corn' tipica di tanti idronimi, ma viene comunemente chiamato
Fiumisin in contrapposizione al Fiume, che è il Risano. Dette
molto da fare alla Serenissima, ancor più del Risano, perché con il
materiale alluvionale che depositava rappresentava la principale causa
dell'interramento del tratto di mare tra Capodistria e la costa. Memore
dei fatti del 1348, quando la ribellione di Capodistria fu domata grazie
alla resistenza del presidio veneziano sul forte Castilion sito a
metà dell'unica strada che collegava lo scoglio di Capodistria alla
terraferma, Venezia ritenne sempre di grande rilevanza strategica tenere
la città ben separata dalle acque. Solo dopo l'annessione all'Austria
nel 1815 quel tratto di mare fu adattato a saline che cessarono nel
1910. La regolazione delle sue acque era oggetto di dispute ancora
nell'Ottocento: l'Unione, 1874-75, riporta una serie di articoli in
dialetto capodistriano intitolati appunto: La question del Fiumisin.
Gli Statuti capodistriani citano Flumicellum nel 1423.
Gasel. 3h.
Con l'affermazione di Venezia qualche
toponimo mutò nome seguendo le nuove mode. Questo accadde per il
Monte San Marco del quale non rimane ricordo del nome precedente;
non così per San Nicolò perché si sa che prima si chiamava S.Apollinare
di Gasello. Ora però solo questo breve tratto di costa sta a
ricordare l'antico nome dell'intera zona. Gli studiosi sono in dubbio,
come per Gason (Gažon, ndr.), se farlo derivare da casa.
Il Catasticum Istriae porta Gascello (1070) e Gascelo
(1211).
Girocarosse. 8e.
Anche Giracarosse. Il nome deriva dal
fatto che dal porto di Capodistria è questa l'ultima curva della strada
costiera per Isola che si veda, dopo di che le carrozze scompaiono dalla
vista. Secondo altri perché in occasione di feste, matrimoni, cresime,
ecc. era d'uso fare una gita in carrozza e giunti a quel punto si
tornava indietro; ma anche se questa era una consuetudine essa può
essere nata proprio dal nome medesimo. L'entroterra porta l'interessante
nome di Prové di non facile etimologia anche se quasi certamente
appartenente alla serie in
-etum.
Gorgo. 8m.
Il flusso delle maree all'imboccatura della
Val Stagnon non presentava caratteri di irruenza tali da meritarsi
tanto nome; eppure tutti i ragazzini venivano redarguiti di non
azzardarsi a nuotare in quel punto e correvano racconti di annegamenti e
arditi salvataggi. Ma un tempo in quel punto sfociava pure il Risano
(vedi il toponimo Fiume vecio) e allora, in concomitanza di una
forte bassa marea e di un notevole apporto di acqua dal fiume,
effettivamente la situazione sarà stata ben diversa tanto da meritarsi
nome e fama. Gravisi, 1904, dà pure la forma «Vorgo (Capod.) - gorgo, il
punto d'un aguàr, ove l'acqua à maggiore profondità».
I Cavareti. 8i.
Guardandolo nella cartina può apparire esagerato; in realtà si tratta di
un fondale di appena una cinquantina di metri. Chiesto all'informatore
perché si chiamasse così, rispose: Perché là el fondi a jera duto un
crostel. Se è vero che la voce prelatina capra ebbe il
significato di 'sepolcro di roccia' e poi nel corso dell'evoluzione
delle lingue si sviluppò in due filoni, uno attinente all'animale che
frequenta le rocce (capra, capretto), l'altro alla struttura che
sostiene un peso (capria, capriata), sembra proprio che questa voce sia
un raro esempio di conservazione del termine nel suo semplice
significato originario di terreno roccioso. Potrebbe magari darsi che il
valore semantico di tale termine derivi a sua volta dalla capra animale
nel qual caso non si tratterebbe di conservazione ma di ritorno casuale
all'origine mediante successive modificazioni, resta comunque inalterato
l'interesse per questo termine che nonostante la perfetta identità con
la voce che designa i capretti animali, agli utenti pescatori richiama
alla mente un fondo roccioso.
I Grimani. 8l.
Grimani è termine capodistriano per
designare le alghe del genere 'fucus' che vivono solamente attaccate
alle rocce e che pertanto nel Vallone di Capodistria prevalentemente
fangoso sono comuni solo nella linea di costa, ma che nella zona in
questione si spingevano eccezionalmente un po' al largo. Per
l'etimologia Battaglia alla voce grimo nel senso di 'fitto',
'folto', 'zeppo' scrive «forse dal longobardo krammjan» ma nell'ambito
capodistriano preferirei connetterla con l'usatissimo gré(n)bano (v.
Séco del G.) né va sottaciuta una possibilità di connessione con la
voce 'gramigna'.
La Boa. 8i.
C'era una boa messa in mare per proprie necessità dal cantiere navale
operante nella costa prospiciente. A Capodistria e Pirano pure bova
(Rosamani). Attestata per prima nel genovese, rimane di etimo oscuro.
La Bonifica. 6mn.
Tutta la toponomastica marina della Val
Canpi ebbe repentinamente fine negli anni Trenta con il
prosciugamento dell'intera zona di mare. L'argine rettilineo che
delimitò la nuova linea di costa venne denominato
La Bonifica.
La Buta.
Non figura nella cartina. Ce n'erano due,
quella de Persanperi e quella de la Porporela. Buta perché
dicono si fossero formate buttando le immondizie ma si sa che il regime
di vita dei tempi passati forniva poco materiale da buttare e poca
voglia di spostarsi per depositarlo in siti determinati. Sicuramente si
tratta di residui delle antiche 'porporelle' poste a difesa di quei
porti. Che fossero opere artificiali lo denotano le pietre grosse e
piccole emergenti dal terreno melmoso circostante. Affioravano durante
le grandi basse maree e vi si andavano a raccogliere i vermi duri
per pescare.
La Carisada. 6l.
Gli informatori non seppero motivare l'origine del toponimo,
corrispondente al letterario 'la careggiata'. Si può solo segnalare che
è parola molto usata in senso traslato: andar fora de carisada
(prendere una sbandata), star in carisada (tenere la rotta).
Potrebbe designare la strada da compiere per chi voglia andare oltre il
Risano superando le secche poste davanti alla sua foce.
Là de l'Aqua. 6m.
Dopo l'imbonimento della Val Canpi,
lungo l'argine denominato La Bonifica, c'era un piccolo varco che
veniva aperto di quando in quando per far defluire in mare le acque
piovane eccedenti. Come in tutti i toponimi di formazione recente, pure
in questo è conservato ben chiaro il valore semantico. Si è appena
accorciata la frase: Là indove che ven fora l'aqua; ma il suo
simbolismo rimane integro. Solo con l'uso da parte di più e più
generazioni i toponimi vanno soggetti ad alterazioni fino ad assumere
aspetti talora oscuri (v.
Cajuda).
La Gravisa. 9m.
Così chiamata perché i terreni erano di
proprietà dei marchesi Gravisi. Poi vi fu istituita la Scuola Agraria;
ma sempre rimase il nome originario. Gravo/gravise sono termini
antichi per Grado/gradese, oggi si usa Grado e gradesan..
La Molara. 2h-i.
Il toponimo si dovrebbe considerare ormai
fuori del vallone di Capodistria in quanto appartiene alla Val de San
Bortolomio (Muggia) tuttavia merita riproporlo perché sotto questo
accrescitivo femminile della voce molo si celano le rovine di un porto
romano (Degrassi, 1954). Sempre in territorio di Muggia, però sulla
costa orientale in località Stramare, c'è il toponimo di mare Molon.
Sarà un caso ma pure qui la località è di interesse archeologico (vi è
stato reperito dal prof. Lonza il coccio con la scritta tulvis).
Olivieri, tra i derivati da 'mola' mette Molazo, e Molare,
nonché alle Molere 'luogo dove si hanno rocce molto friabili'
(questo da
mollis).
La Palada. 7n.
Sull'argine delle saline erano
evidenti le tracce dei pali adoperati per il suo innalzamento o per
l'accomodamento in epoche successive (v.
Ara de la Palada).
La Sacheta. 6n.
Il seno più intimo della Valcanpi.
La Sacheta è pure una parte del porto di Trieste. Deriva da
saccus
'insenatura', 'via senza uscita' (Olivieri).
La Scarpa. 9m.
L'argine aveva un'inclinazione più dolce
rispetto gli altri per cui scarpa va inteso nel senso di
'scarpata' e come Scarpada era pure nota a certuni (Rosina
Mariana, anni 90, ricorda che sua madre andava a loche cola
batela fina a la Scarpada. La loca è una tellina, la
scrobicularia piperato particolarmente abbondante nei fanghi dello
Stagnon).
La Sdoba.
La bocca dell'Isonzo, meta dei pescatori
capodistriani. Come 'Punta Sdobba' si trova in tutte le carte nautiche.
Di etimologia oscura. Potrebbe andare connesso con la voce stobio
'stoppia', semanticamente proponibile per l'aspetto brullo,
senz'alberi nè colture. Secondo Merkù potrebbe derivare dallo slov.
dob, quercia.
La Spina. 6mn.
La spina in veneto istriano è la
cannella della botte, da qui è recentemente passata al rubinetto
dell'acqua e alla presa di corrente elettrica. L'altra 'spina' è di
genere maschile: Un spin de rosa, i spini dela sardela. Pur
tuttavia questo toponimo di incerta origine dovrebbe rifarsi ad un
significato di 'appuntito' in quanto dato ad una brusca rientranza
dall'argine delle saline e non v'è possibilità di collegarlo con
cannelle di sorta.
La Stansia pel Convento.
Non compare nella cartina;
comunque la sua posizione è facilmente rilevabile dato che il Convento è
quello di S.Nicolò e Stansia la vicina costruzione, già chiesetta poi
casa colonica. È uno degli innumerevoli toponimi di terza categoria che
si ritiene meritevole di riportare per la preziosità del termine
stansia in esso contenuto. La fattoria isolata in aperta campagna
viene detta stanzia nell'intera Istria centro-meridionale ma in
quella settentrionale si usa il termine cortivo,
che a Capodistria ha dato pure l'etnonimo Cortivani. Una
delimitazione geografica delle voci cortivo e stanzia la
si può avere già alla Carta al 25.000 che subito dopo Corte d'Isola vede
il predominio di Stanzia con singole eccezioni a Momiano e Pinguente.
Però cortivo è registrato a Parenzo nel 1270 e questa stansia
isolata a Capodistria (e in ambiente di mare) rappresenta l'eccezione
opposta a significare che la divisione non era per il passato tanto
precisa come può sembrare oggi.
La Tressa. 7l.
Banco sabbioso di modeste dimensioni a volte
affiorante nelle eccezionali basse maree, posto di ‘traverso' (donde il
nome) tra Scano e Capodistria. Richiama la ben più nota Tressa
de Grado. Da rilevare la versatilità del concetto tressa che
nel golfo di Trieste si addice a un rilievo del fondale; a Rovigno
(Pellizzer, 1985), invece, alle acque che dividono una costa dall'altra
solitamente dette ‘canale’; Una tressa de nuvoli è in uso a
Pirano (ed Ancona). Una tressa de cavei è omofono, ma va
collegato con 'treccia'.
Le Do Poste. 7n.
La posta è una sorta di pesca fatta
con reti fisse, messe solitamente lungo il litorale (Posta de
caramai, de agoni, de sievi, ecc.).
Le Mesarìe. 9h.
Star in mesarìa in dialetto
significa star nel mezzo (tra el Porto e Semedela). Da medio +
suff. -arius (cfr.
cavarìo).
Le Palade. 8l.
Vedi quanto detto in Ara de la Palada.
Era entrato nel folclore capod. grazie a una canzonetta originata da uno
scherzo, la quale sull'aria de «I morti che lasciammo al Passo Uarieu»
(quindi guerra d'Abissinia) iniziava:
I ga sbregà le braghe a Barcarisso, e i l’à
butade fora le Palade.
Mandracio. 9l.
Un tempo vi erano vari mandraci,
poi prevalse l'uso del termine porto. Son cascà in porto
significava sono caduto in mare entro il porto e poiché el Porto
per antonomasia era quello principale, si usava distinguere tra: son
cascà in porto a Bossedraga e son cascà in porto al Porto.
Solo il seno più interno del Porto era ancora chiamato
Mandracio e anche qui ne andava scomparendo l'uso specialmente dopo
l'ultima riduzione del medesimo attuata nel 1935 in occasione
dell'inaugurazione del monumento nazionale a Nazario Sauro allo scopo di
migliorare la viabilità delle rive. Mandracio è voce di
amplissima diffusione e la sua presenza localizza immediatamente i più
antichi insediamenti rivieraschi poiché, a differenza delle cavane
che erano del tutto artificiali, i 'mandracchi' sono sempre insenature
naturali adattate dall'uomo. Il Mandracchio del porto di Capodistria,
posto al riparo da bora e tramontana (gli altri venti non hanno
importanza alcuna nel Vallone) è sicuramente il luogo di inizio di
antropizzazione dell'isolotto. A qualche decina di metri durante gli
scavi per la costruzione delle nuove scuole elementari (ora albergo
Triglav) sono emerse le tracce di un mosaico romano, monete
romane, e pochi ma significativi cocci della caratteristica ceramica
preistorica locale con intrusivi (collezione Lonza). La voce deriva dal
greco mandra con origini forse mediterranee ed il valore
semantico di 'recinto per il bestiame', conservato nel calabrese
'ovile'; traslato al bestiame stesso nell'it. 'mandria'; divenuto
terreno recintato, quindi orto, nel triestino mandria oggi
attestato pure a Cherso a conferma di una sua antica ben più vasta
diffusione. Si può così comprendere il facile passaggio per il pescatore
che nel 'luogo riparato' anziché il bestiame tiene le sue barche.
Merigoto. Sm.
Il nome deriva dal cognome tipico
capodistriano Almerigotti che come il consimile Almerigogna, viene
usualmente troncato per il fenomeno ricorrente di caduta della a
iniziale.
Miramar in Scassadureta; Miramar in
Scassadura Granda; Miramar a meso le Mote; Miramar a cao le Mote.
Toponimi della terza categoria (punti di
mare aperto) nella rotta per la Ponta Sdoba. Essi meritano alcune
considerazioni per l'aspetto linguistico. Anzitutto l'uso della
preposizione in nei primi e di
a nei secondi. In presuppone una costruzione: in (linia
con), mentre a nasce da: a (la via de). Una volta
entrate a far parte del toponimo, in oppure a rimangono e
non sono invertibili. È poi notabile come una parola, che in caso di
conversazione rimane integra, come toponimo acquisito si possa
contrarre. E questo l'esempio di cao che nel parlare corrente non
usa perdere la v: passime el cavo, son rivà fina in cavo, cavarìo
(a Venezia caorìo). Da qui la pericolosità di dedurre regole
dialettali dai toponimi. Ancora da rilevare Le Mote, dal
participio passato di mòver che oltre a mosso dà a
Capodistria pure moto: ti t'à moto o ti te ga mosso. Mote
dunque perché il profilo delle montagne presenta una serie di cunette
poco differenziate l'una dall'altra. Sono dette pure Le Motisèle
e, dai pescatori delle generazioni precedenti, con uno dei non rari
guizzi di fantasia, Le Pelose Fracade (pelosa è quel piccolo
granchio dei 'brachiuri' simile alla gransievola, che sta presso
le rive tutto coperto d'alghe a dannare le reti dei pescatori che prima
di toglierle le pestano un poco con il piede, donde il nome; se fossero
completamente schiacciate sarebbero mastrussade). Infine
Scassadura Granda e Scassadureta, pure riferiti al profilo
dei monti allineati con Miramare, in questo caso scassadura
denota il vuoto tra un monte e l'altro (reputo trattarsi dei due fianchi
del M. Lanaro).
Mol de le Merde.
Non compare nella cartina. È quello che
chiude a levante il porto di Bossedraga. Considerato che per la
universale carenza dei servizi igienici tutti gli abitanti delle
cittadine istriane situate sulla costa venivano accomunati con i
Veneziani nell'epiteto di caghinaqua, il significato è più che
evidente.
Mol de Pacioschi. 8i.
Un tempo la riva presentava
quelle caratteristiche di conca a basso fondale che nella costa istriana
assunse nomi derivati da mucla con diverse varianti (Muja,
Mujela) e nel caso specifico Musela. Durante la dominazione
austriaca fu imbonita e vi venne eretto un magazzino per il sale che
prese il nome dal polacco Albert Patzowsky, dal 1818 «I.R. Commissario
aulico per la disamina delle saline dell'Istria e della Dalmazia».
Naturalmente capodistrianizzato in magasin
(anche masaghen) de Pacioschi e la banchina ove attraccavano
le barche Mol. In realtà l'edificio fu opera del successore, il
trentino Degasperi che nel 1836 usò allo scopo il materiale ricavato
dalla demolizione del vicino Baluardo Tiepolo.
Ospissio. 3i.
Nell'800 fiorirono in Istria, come altrove,
le società operaie di mutuo soccorso. In seno alla «Progressista» si
sviluppò l'idea di costituire una società per la lotta contro la
tubercolosi, la quale acquistò un terreno a Valdoltra
e vi eresse un sanatorio antitubercolare in località Ancarano. Il
felice esito dell'iniziativa e la salubrità del posto, già nota al
Petrarca che la raccomandò al Boccaccio (Ziliotto, 1911), determinarono
l'erezione di un altro ospedale per l'eliotalassoterapia delle malattie
ossee denominato «Ospizio Marino» e semplicemente dai pescatori
Ospissio.
Costruito nel 1909 dalla «Società Amici dell'Infanzia» di Trieste,
passò alla CRI nel 1929.
Palù del Porto. 9i.
Il passaggio al maschile del vocabolo italiano 'la palude' ha condotto
all'inevitabile troncamento caratteristico dell'istroveneto. Come
termine di mare sta ad indicare una zona affiorante o quasi con le basse
maree, fangosa (se sabbiosa si chiama scano) e piuttosto estesa
(se circoscritta a una modesta insenatura si preferiscono i derivati di
mucla).
Palù de Persanpieri. 9lm.
Oltre a quanto detto
per Palù del Porto, è notabile come i toponimi cittadini
vanno accompagnati a determinate preposizioni non sostituibili con altre
e a volte, come nel caso del rione di S.Pietro, neppure eliminabili.
Così si dice stavo zo-pe-Porto, a Bossedraga, rente el Brolo,
per-Sanpieri, in Ponte. Mai nessun capodistriano dirà per
Bossedraga o rente el Porto. Particolarmente nel caso del
toponimo qui in esame, il per è talmente legato a Sanpieri che ho
ritenuto doveroso farlo divenire parte integrante. Si soleva dire:
femo una caminada fina Persanpieri. Lo stesso accade a Pirano per il
toponimo Inaponta (in-a-Ponta). C'è ancora da dire che tutta la
Valstagnon
non era altro che un grando palù e i pescatori che ne
sfruttavano le non magre risorse erano detti i paludanti e
tenevano intel porto de Persanpieri le loro barchette a fondo
piatto (bateline) oltremodo basse al punto da consentire al
pescatore sdraiato sul fondo di andare a palponi con le mani sul
fango per raccogliere molluschi e granchi.
Peschiera dei Bigoli. 6n.
Bigoli (maccheroni) è
soprannome dì una famiglia Steffè che vi esercitava in esclusiva il
diritto di pesca dietro concessione comunale. Bigoli è voce
comune all'area veneta e di etimologia tuttora incerta. Gravisi,
1923, dà solo Peschiera, ma a lui interessavano le saline retrostanti,
non chi esercitava la pesca.
Ponta Grossa. 2f.
Il promontorio che divide il Vallone di
Capodistria da quello di Muggia ha due punte distanti un miglio esatto
l'una dall'altra per cui ognuna aveva due dromi (alti pili in cemento)
che permettevano alle navi costruite nei cantieri dì Monfalcone, Trieste
e Muggia, di misurare la velocità di crociera. Ponta Grossa è
così detta per il suo aspetto di torrione a dirupo sul mare,
contrapposto all'altra che degrada dolcemente e viene pertanto
denominata Ponta Sotila (Punta Sottile nelle carte nautiche).
Nella cartografia antica veniva detta
Punta Gasello.
Pontal dei Casti. 8fg.
Così detto perché la
campagna soprastante la strada pubblica che mena a Isola apparteneva ai
Casti,
ramo della famiglia Lonzar ed antico cognome della medesima. Nei
registri parrocchiali si passa verso il '600 da Casto detto Lonzar
a
Lonzar detto Casto.
Pontal de Pessenca. 8i.
Pessenca
è l'adattamento capodistriano al cognome di
origine slava Pecenca da qualche generazione presente a
Capodistria (anche come Pecenco). Poiché non risulta che nessun
Pessenca facesse il pescatore, neppure dilettante, e in quel punto
la costa scende a dirupo (è la zona del Be(l)vedér) il nome
potrebbe derivare da qualche abitazione soprastante le mura cittadine
ovvero da altri motivi perduti nella memoria.
Ponta Toto.
Non localizzato. Gravisi, 1923, per la
«valle» del Fiume (Risano) dà solo tre nomi: Bocca Fiume,
Ponta Totto, Dosso. Poiché le saline sulla riva sinistra del Risano
sono elencate appresso nella «valle» di Sermino, è molto
probabile che Ponta Toto sia un altro nome di Cavospigo
(v.).
Totto è nome di una famiglia comitale capodistriana che avrà
posseduto quelle saline o provveduto all'erezione di quell'argine.
Pontolina de Sòto, Pontolina de Sora. 4l.
Per chi vede i toponimi
segnati sulla cartina annessa al presente studio, orientata
rigorosamente a nord, può apparire un’inversione di termini visto che
de sora sta scritto in basso e de soto in alto. L'apparente
contrasto si spiega vedendo le due pontoline da una barca che
proceda lungo la costa da Capodistria verso Pontagrossa. In tal
caso de sora si spiega come quella che viene prima e che alla
vista si sovrappone all'altra più distante.
Porporèla. 9i.
Nelle carte antiche di Capodistria si parla
di tante ‘porporelle'. In pratica ogni porto aveva la sua a protezione.
In documento del 26.1.1281 il podestà veneziano ebbe ordine di
distruggere le purpurarias. Negli ultimi anni il nome era rimasto
solo a quella sorta a protezione del Mandracio
e che ormai divenuta molo aveva le sue radici nella strada per
Semedella, al suo inizio, subito dopo il ponte di legno sull'ara
suburbana. Il nome, di vastissima diffusione, risale al latino
purpuraria
con vari passaggi semantici: la porpora si estraeva dai gasteropodi
del genere murex, le tintorie erano pertanto collocate lungo la
costa e ove sorgevano si accumulavano i gusci usati nella lavorazione,
da qui il termine passò al significato di 'immondezzaio' e dato che gli
statuti delle città di mare proibivano di gettare rifiuti entro i porti,
questi venivano buttati fuori delle opere di difesa dei medesimi che
quindi finirono per derivarne il nome. Si ebbero così i passaggi:
purpuraria
= tintoria di porpora > deposito di conchiglie > deposito di rifiuti
> cinta del porto oltre la quale si gettavano i rifiuti > opere di
difesa dei porti anche senza la presenza di rifiuti.
Porto de Taca. 9lm.
Invessi de tignir el
batelin drento el porto de Persanpieri Jachemo Taca col suo socio Méto
Pega, do veci paludanti, i veva fato un armiso postisso infondi dela
Calogenia (da Calle Eugenio, oggi via Cankar, ndr.). Taca è
soprannome di una famiglia Deponte o secondo altri Derin. Il «porto»
consisteva in quatro piere sula riva e una piera in fora.
L'ironia è evidente.
Porto Spussa. 2g.
Detto anche A-le-Basse, è un piccolo
moletto a forma di elle in prossimità di Pontagrossa. Secondo i
giovani il nome gli derivava da alcuni pescatori 'napoletani' (in realtà
di Procida) che vi si erano accampati e si distinguevano per la
cragna che i veva dosso e a bordo, e che i magnava pessi crudo. Ma i
più anziani ricordano che ancor prima del loro arrivo negli anni Venti
il nome era questo e gli derivava dal fatto che colà con i barconi si
trasportavano parte dei rifiuti urbani di Trieste che poi, lasciati
macerare nei campi vicini, venivano venduti per letame agli agricoltori
di Capodistria. La mia famiglia possedeva una particella di pochi metri
quadrati, tanto piccola da non esser stata inclusa nel decreto
d'esproprio del 1946, tra la fabbrica del Còto (v. El Còto)
e la strada, per depositarvi il letame che arrivava con la barca da
Porto Spussa al pontile del Còto e che qui sostava in attesa
di venir utilizzato nel cortivo di Villisano ubicato sull'attigua
costa a strapiombo ma raggiungibile dopo 800 metri di strada in salita.
Saiba. On.
Località a mare del colle di S.Canziano
(Cansan), dove un tempo si esercitavano nel tiro a bersaglio i
soldati austriaci. Deriva da Scheibenschissen 'bersaglio'. È la
prima parte de La Gravisa venendo da Capodistria.
Salàr. Om.
Il nome dovrebbe derivare da solarium
ed è un termine ricorrente nelle saline. Va raffrontato senza dubbio
al toponimo interno di Salara. Gravisi, 1924, dà salar
per Capodistria e salaro per Pirano «spazio libero davanti la
casa nelle saline». Gravisi, 1923, lo chiama Pontài Salar nel
qual caso i 'puntali' dovrebbero essere quelli formati dagli angoli
quasi retti degli sbocchi delle due are che lo fiancheggiano:
Ara de San Girolamo e Ara de la Pocefa.
Samarco in Bòrgola.
Bòrgola da
bifurcula,
valletta incassata tra i monti, figura tra le parole in uso a Pirano
(Rosamani). Questo punto di mare di cui si è detto nell'introduzione,
mostra ancora viva tra i pescatori capodistriani questa voce che si
riscontra a p. 112 degli Statuti di Capodistria, risalenti almeno al
'300: et ascendendo per quandam Burgolam.
Sanicolò. 3l.
Famoso nell'anteguerra per i suoi
stabilimenti balneari molto frequentati dai Triestini, prese il nome dal
Convento dei frati di S.Nicolò al Lido che ne ebbero il possesso dal
1102 al 1770. Prima il monastero era intitolato a S.Apollinare.
Santa Caterina. 4m.
Vi era un pontile in legno
che permetteva l'approdo alle persone dirette al Sanatorio di
Valdoltra
poco distante. Si ignorano i motivi della dedicazione alla santa e
se il nome fosse antecedente all'erezione del sanatorio medesimo (cosa
probabile).
Sbiteran. 6-8b.
Splendido toponimo noto anche ai pescatori di Isola, del quale non mi
sento di azzardare etimologie mancando pure versioni popolari. Rosamani
dà Sbìtera soprannome a Isola.
Scano. 7m e 8m.
Deriva dal latino scannium
che ha dato scagno (per influsso della i) per designare lo sgabello,
e scano per l'accumulo di detriti fluviali, mentre in italiano in
ambo i casi la voce è ‘scanno'. El Scano che tutti i
Capodistriani conoscevano preferendolo a Sanicolò per un bagno
sulla sabbia, perché più solitario, era uno solo, quello posto sulla
Bocafiume.
In realtà però ai pescatori era noto pure un secondo scano
posto a sud di questo e prodotto dai residui di deiezione del Fiume
vècio (v.).
Scassadura Granda, Scassadureta.
Punti di mare sulla rotta
per la Sdoba. I punti di mare della III categoria sono talora
talmente usati che è sufficiente un solo termine per richiamarli, come
nei casi di Scassadureta, Scassadura Granda e
Socheto (v.) che sono inclusi in una zona una volta molto
frequentata d'inverno per calarvi le passelere. Nei casi di
Scassadureta
e Scassadura Granda l'allineamento è dato da questi due punti
con la chiesetta di Contovello. A venir soppresso è sempre il punto
mediano che fa da perno nei rilevamenti durante la navigazione e ciò per
ovvi motivi. Anzitutto esso è sempre dato da qualcosa di molto
appariscente, dovendo evidenziarsi pure durante le foschie, mentre i
punti esterni, scelti sul profilo dei monti stagliati nel cielo, offrono
una ben più vasta gamma di dettagli. Poi come conseguenza i punti
mediani sono più radi quindi più ricorrenti, onde è più facile
sottintenderli. Proseguendo la rotta, per i medesimi punti esterni si fa
perno sul castello di Miramare (v.) che questa volta è opportuno
menzionare per non confondere con i punti precedenti (siamo tra l'altro
in zone frequentate più di rado).
Seco del Grénbano.
Fuori dalla cartina. E una secca rocciosa
del Golfo di Trieste al largo di Santa Croce e vicino a Punta Sdobba.
Grénbano, più usato di grébano, grébeno, significa roccia,
sasso, terreno brullo. Molto usato a Capodistria (e TS) in senso
metaforico: ti son un grenbano 'sei ignorante, rozzo'. Consueta
l'epentesi di n (Andriano, angonia, Mandalena), notevole la
costituzione del nesso nb che lo accosta a canbera, cogunbero,
ecc.. Solitamente viene fatto derivare dallo sloveno e questo
per il fatto che Meyer-Luebke lo analizza partendo dalla voce slovena
greben; ma la diffusione del toponimo: Verona, Venezia, Friuli,
Brescia, Belluno, nonché trentino e cadorino mi lascia propendere per
una radice mediterranea: graba,
greba.
Sganbèlo. 2g.
Una sua derivazione
da scabellum
non incontra difficoltà. Per l'inconsueta sonorizzazione della
velare si noti che il Rosamani per Capodistria oltre che scabei
'comodino' riporta pure sgabel, anche se ritengo il primo più
schietto ed il secondo derivato attraverso il triestino dal letterario
'sgabello'; per l'epentesi di n basti vedere qui sopra la voce
grenbano; la
o finale infine qualora conservata (vedi il vicino Gasel)
riaccosterebbe il capodistriano al piranese. Non dovrebbe in questo caso
trattarsi di ripristino, anche se Gravisi, 1920, scrive Sgambel e
ne propone la versione italiana Sgambello, poiché da me raccolto
da più pescatori. Io però ritengo preferibile un suo accostamento a
sgamberla
'a sghembo', 'storto', da 'gamba' che offrirebbe una soluzione pure
semanticamente più accettabile. A Ponta Grossa infatti la costa è
alta a dirupo sul mare, poi in località A-le-basse scende
bruscamente al suo livello, indi risale ma lentamente a Sganbèlo
per ripresentarsi a strapiombo in località Gasel: tutta una
successione di toponimi in perfetta rispondenza semantica con il profilo
della costa vista dal mare. L'insolita conservazione della -o
finale andrebbe in tal caso connessa con la recente caduta della r.
Sochéto.
Fuori della cartina. Località in mare aperto
sulla rotta della Sdoba, subito dopo Are. Appartiene ai
punti di mare della III categoria. Il punto mediano, sottinteso data la
frequenza dell'uso, è dato dalla Lanterna della Sacchetta nel porto di
Trieste. L'appellativo Sochéto venne affibbiato a una
increspatura del profilo del cielo che non si capiva se naturale o
artificiale (albero o torre), piccola ma ben evidente: in dialetto
soco
è un 'ceppo'. Merita riportare un gustoso episodio nella versione
originale dell'informatore: Andando in ver la Sdoba, Nicoleto
Pegolota (Stradi) a ghe dà la rigola (timone) al Gobo
Cilin (Almerigogna) che a no jera tanto uso de mar, a no jera, e
a ghe fa, a ghe dir: Mi me buto a pajol che go bisogno de paussarme
(riposarmi)
un poco, co ti rivi al Sochéto fermite! E staltro, no a te vedi in
mar un toco de legno e a ferma la barca, a ferma. Alora no, Nicoleto
Pegolota che no veva gnanca serà i oci, a senti che xe calcossa che no
va, a senti, a slonga el colo, a slonga, e a se vedi Pontagrossa vanti
el naso, a se vedi: Perché ti t'à fermà, Cilin, che no semo gnanca in
Are! no semo! E staltro mostrandoghe el toco de legno che vigniva a velo
(galleggiava): A no xe quel là el sochéto?. Tutte le
interviste sono condite di soprannomi che affiorano ad ogni risvegliarsi
dei ricordi: El seco del Grenbano? Eh, anca Zagnol (Perini)
ghe ga lassà tochi de malaida!
Spiasa Granda 8n.
In tutta la costa
della Valstagnon
il mare lambiva gli argini delle saline, tranne nell'angolo sudest
ove c'era un breve arenile interrotto dall'Ara dela Fiera che lo
divideva in due parti di cui quella a nord denominata Spiasa Granda
solo in quanto contrapposta alla Spiaseta a sud. Normalissimo
l'esito di s sonora per la g italiana di 'spiaggia'
(Biasio, viasio, scoresa, ecc.).
Spiaseta. 9n.
Vedi
Spiasa Granda.
Squero del Bòcio. 8l.
Squero
vale 'cantiere navale' dal greco escarion,
diffusissimo in tutta l'Istria, era il solo rimasto a Capodistria; ma il
ricordo degli altri (el squero Poli per Sanpieri e quel de Toni
Grasso in Ara, oltra la Porporela) faceva sì che venisse sempre
seguito dal soprannome del proprietario (Depangher).
Ignota è l'origine ma più che collegarla con bocia 'ragazzo'
diffuso nel Veneto ma ignoto in Istria, sembrerebbe corruzione di nome
proprio come il piranese Boci da Bortolo che presenta le tipiche
deformazioni infantili. Ad Orsera, soprannomi Bocia e Bocin,
derivati però dal gioco delle bocce.
Val Canpi. 6n.
Questa era la zona dove la campagna
coltivata si avvicinava maggiormente e per più tratto, al mare. Altrove
coste scoscese, aree urbanizzate, strade costiere e saline, si
frapponevano tra il pescatore e il grappolo d'uva invitante. Venne
sottratta per intero al mare con i lavori di bonifica eseguiti negli
anni Trenta. Gravisi, 1904: «A Capodistria la Valle dei Campi è detta
anche mare de la bora» (cfr. Valdebora a Rovigno). Il termine 'valle'
oltre che agricolo e marinaresco è peculiare dell'ambiente di mezzo
ossia delle saline, che erano divise in entità territoriali maggiori
denominate appunto 'valli' tanto da Tommasich, 1891, che ne elenca 6,
che dal Gravisi, 1923, che le riduce a 5 unificando Ariolo e
Sermino sotto quest'ultima voce.
Val de San Bartolomio. 1h.
Tra Pontagrossa
e Pontasotila. Oggi è tagliata in due dal confine.
Valdoltra. 3-6 l-n.
È una costa che precipita o
degrada più o meno dolcemente dai Monti di Muggia al Vallone di
Capodistria. Ha tutti gli aspetti all'infuori di una valle.
L'appellativo non le può che derivare dal gergo marinaresco come le
altre in cui si suddivide el Valon. Oltra nel senso di dall'altra
parte, di fronte a Capodistria. Come toponimo terrestre denota tutta la
zona che un tempo era chiamata Gasel(lo) (v.) e si usa solamente
Doltra, Oltra e Voltra con la consueta epentesi di v.
Mi piace in proposito riportare Vidossi, 1900: «quella parte della
lingua di terra che va dal vallone di Zaule al vallone Campi, la quale
comunemente si addimanda Oltra».
Val Stagnon. 8-9 mn.
Al riparo da tutti i venti
all'infuori del maistro che è la brezza tipica del bel tempo, si
è meritato il nome di un grande stagno. Viene comunemente detto anche
solo Stagnon e Stajon. Da taluno l'intesi chiamare
Stagion ma in questo caso si tratta di un'ipercorrezione determinata
dalla tendenza recente di passare g tutte le j
originarie (giasso, giara,
Giacomo, ragion anziché jasso, jara, Jachemo, rajon).
Zusterna. 9g.
Ufficialmente Giusterna. Normalmente viene
fatto derivare da 'cisterna' ma il passaggio non è del tutto
convincente. In uso pure la forma Justerna. La toponomastica
ufficiale slovena ha preferito rifarsi alla forma più schietta
Zusterna che però i Capodistriani pronunciavano esclusivamente con
la esse sonora e nel passato anche recente con l'interdentale, pure
sonora.
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