Lussingrande: Cenni storici

del Prof. Melchiade Budinich, 1893

Disclaimer

Tratto da: Decimosecondo Programma dell'I.R. Scuolal Nautica di Lussinpiccolo, Anno scolastico 1892-93, Edizione dell'L R. Scuola Nautica di Lussinpiccolo. Tipografia paternolli ed. (Gorizia, 1893), Lussingrande, "Cenni Storici del Prof. M. Budinich", pp. 6-64.]

Continuazione: Osservazioni meteorologiche

Trovo necessario di premettere, a schiarimento dei fatti, alcune brevi notizie intorno alle principali vicende politiche dell'isola di Lussin ed ai suoi dominatori, sino alla caduta della Repubblica Veneta.

Le isole del Quarnero erano designate dagli antichi col nome di Assirtidi, nome allusivo al dramma sanguinoso che la leggenda vuole siasi compito intorno ad esse, e precisamente presso Ossero, colla uccisione di Assi ito fratello di Medea.

I Romani se ne impadronirono, probabilmente ai tempi di Cesare, e le ascrissero alla Liburnia (paese tra l'Arsa e la Kerlca) formante parte della provincia d'Illirio.

Caduto l'Impero romano occidentale (476), le isole del Quarnero appartennero al dominio di Odoacre (sino al 489), poi a quello dei Goti (sino al 535), dai quali passarono sotto la Signoria degl'imperatori di Costantinopoli. Intorno al 630 i Croati, e qualche anno più tardi i Serbi, vennero a stabilirsi alle coste orientali del Quarnero e dell'Adriatico meridionale; estendendosi i primi sino al Cettina, i secondi sino al Drin; però le isole e le città litorali maggiori rimasero soggette direttamente all'impero d'Oriente. I Seibi divennero bentosto il flagello, dell'Adriatico, e si resero particolarmente temuti i Narentani, i quali estesero le loro depredazioni anche alle nostre isole. Alle scorrerie dei Narentani s'aggiunsero poi quelle dei Saraceni, i quali, divenuti padroni delja Sicilia, dal 840 infestavano l'Adriatico, e nella seconda festa di [6] Pasqua del 843, condotti da Saba, sbarcarono sull'isola di Cherso e devastarono Ossero.

Gl'imperatori d'Oriente, lontani e deboli, non si curavano della difesa di queste terre, e vedendo ormai perduta la Sicilia e l'Italia inferiore, pensarono di lasciar mano libera alla Repubblica di Venezia, che, già cresciuta in potenza, volea purgare il mare dai predoni che l'infestavano ed ottenere il dominio sull'Adriatico; perciò approvarono il piano del Doge Pietro Orseolo II di farsi signore dell'Adria. Questi alla testa di numerosa flotta, battuti i pirati, giunse ad Ossero (5 giugno 908), ove ricevette il giuramento di sudditanza, che fu poi nel 1018 rinnovato ad Ottone Orseolo. Nel 1081 Alessio, imperatore d'Oriente, cedette formalmente a Venezia ogni suo diritto sulla Dalmazia romana e sulle isole.

Ai tempi di Colomano re d'Ungheria le nostre terre furono per breve tempo (1105-1114) soggette a quel regno, ma ritornarono poi sotto il dominio veneto, riconquistate dal Doge Faliero, e vi rimasero sino al 1357, nel qual anno insieme alla Dalmazia furono cedute all'Ungheria.

Sotto il veneto dominio le isole di Cherso e d'Ossero furono governate da prima da un rettore mandato dalla Repubblica, il quale nel 1130 prese il titolo di Conte d'Ossero. Con Leonardo Micheli, Aglio del Doge Vitale (1166) le isole diventarono un feudo ereditario, il quale pel matrimonio di Daria, figlia di Leonardo (che s'intitolava Conte d'Ossero pet la Grazia di Dio) con Ruggero Morosini, passò alla famiglia Morosini e vi si mantenne sino all'anno 1304. In quest'anno i Morosini, o per l'estinzione della discendenza diretta, o perchè gli abitanti di Cherso e d'Ossero desideravano emanciparsi dal feudalismo, cessarono dal diritto di conti feudali sulle isole, e la Repubblica vi mandava invece un Conte ogni due anni.

Per la guerra combattutasi tra Luigi d'Ungheria e la Repubblica, le isole passarono nel 1357 sotto il dominio degli Ungheresi. Anche durante la dominazione ungherese esse furono per alcun [7] tempo feudo di due nobili famiglie, Saraceni e Gara. Nel 1409 la Repubblica di Venezia ritornò in possesso delle isole e vi si mantenne sino alla pace di Campoformio (1797).

La Repubblica reggeva queste isole mediante un Conte Capitano, eletto dal Maggior Consiglio fra i nobili di Venezia e mandato regolarmente ogni due anni: egli ricevea l'annua paga di 300 ducati, che detraeva dal censo annuale di ducati 628 dovuto a Venezia, ed avea per suo consigliere o segretario il cancelliere stipendiato da Venezia. Il Conte stava prima ad Ossero e dopo il 1450 a Cherso; era la sola magistratura per cui mezzo la Repubblica facesse governare le isole, ed era soggetto al Provveditore Generale di Zara, carica creata nel 1420 per la Dalmazia e l'Istria (compresa anche l'Albania). Tutte le altre magistrature erano coperte dagl'isolani. Ossero avea propria amministrazione e quindi proprii magistrati, e da essa dipendeva Lussin colle terre appartenenti a quest'isola.

Il nome di Lossino, o Lussino, apparisce per la prima volta in un documento del secolo decimoquarto, cioè nei patti stabiliti il 30 settembre 1384 fra la Comunità di Ossero da una, e quelle di Cherso, Caisole e Lubenizze dall'altra parte, in virtù dei quali l'isola di Lussin è dichiarata dipendente da Ossero:

"solemniter inter se composuerunt... quod Comune Abseri ex nunc in perpetuum habeat et habere, tenere, possidere et pro libito voluntatis eius gaudere et usufructare possit et valeat libere totam insulama Lossini".

Sulla storia di Lussin scrissero Gaspare Bonicelli: 'Storia dell'isola dei Lossin", Trieste 1869, — e Matteo Dr. Nicolich: "Storia documentata dei Lussini", Rovigno 1871. Anteriore a queste è l'opera di Alberto Fortis: "Saggio d'osservazioni sopra l'isola di Cherso e d'Ossero", Venezia 1771. Per ciò che concerne Lus singrande, v'è una cronaca manoscritta del 1791, opera del notaio Gregorio Botterini, dalle quale attinsero il Bonicelli ed il Nicolich, e che servì a me pure di norma nella compilazione di [8] queste memorie. Mi furono infine di grande giovamento le varie pubblicazioni del Prof. Petris negli annuali programmi del Ginnasio di Capodistria (per ciò che concerne i primi tempi della nostra storia), nonché i documenti pubblici e famigliari, che dalle locali Autorità, come da privati cittadini furono con isquisita cortesia lasciati lungo tempo a mia disposizione: e per ciò rendo a tutti le più vive grazie.

1. — I Greci.

Le notizie intorno alla prima popolazione di questa parte dell'isola sono vaghe ed incerte; siccome quelle che s'appoggiano a sole tradizioni. Sembra che nei primi secoli del medio evo l'isola intera fosse priva di stabili abitatori, e solo di tratto in tratto vi si recassero dei pastori, che venivano qui a pascere le mandre dei signori Chersini ed Osserini.

La tradizione dice che i più antichi abitatori fossero Greci, sopra di che il cronista di Lussingrande s esprime in questo modo:

"Nel principio dell'ingrandimento dell'Impero Ottomano e "soppressione del Greco, moltissimi Greci con loro tesori si calarono dal Levante, ritirandosi in queste isole marine e scogli, per "scansarsi dalla barbarie de' Turchi Ottomani, che invasero i loro «Stati».

Non è possibile che l'immigrazione greca in quest'isola dipenda dalla causa indicata dal cronista; imperocché le conquiste degli Ottomani incominciarono nel secolo decimoquarto; ed allora, è fuor di dubbio, i Greci aveano già da tempo abbandonato que« sl'isola.

Non è difficile che il nostro cronista abbia scambiato Ottomani con Saraceni, le cui invasioni e depredazioni nel Levante dall'ottavo secolo in poi cagionarono la fuga di molti Greci, i quali presero stanza in queste regioni appartenenti allora all'Impero bizantino, e da essi prescelte a soggiorno, forse perchè ritenute più sicuro asilo contro i ladroni di terra e di mare.

Lussingrande coi suoi dintorni possiede memorie"di questa antica popolazione greca, la quale deve aver fatto qui lunga dimora. Sullo scoglio di Oruda (grande) i Greci eressero una Chiesa, [10] di cui restano ancora vestigia, e scavarono un pozzo; sullo scoglio minore fabbricarono un ampio convento, le cui mura diroccate si scorgono tuttora anche da lontano e diedero allo scoglio stesso il nome di Palazziol.

Un numero probabilmente piccolo di famiglie greche era disseminato nei dintorni dell'odierna Lussingvande, a distanza dalla marina, per timore dei corsari che infestavano questi lidi. Il Bonicelli opina che fossero i coloni dei monaci dimoranti nel convento di Palazziol, e che la Chiesuola da essi eretta alla distanza di circa un miglio dal mare e dedicata a S. Nicolò fosse destinata ad accogliere ai divini uffizi questa piccola popolazione, quando l'inclemenza della stagione o la violenza del vento le impediva di portarsi alla Chiesa maggiore di Oruda. Questi Greci avranno probabilmente messo in coltura la vallata di Lussingrande e ricavato così il mantenimento per se stessi e pei loro signori, i monaci di Palazziol.

Ma dopo alcun tempo monaci e coloni divengono manutengoli di pirati, e pirati alla lor volta essi stessi. Le relazioni continue e non sempre facili degli abitanti degli scogli con quelli dell'isola maggiore devono aver famigliarizzati gli uni e gli altri col mare, e approfittarono della perizia acquistata a danno dei poveri naviganti che transitavano per questi canali, nascondendo poi il frutto delle loro ruberie nei sotterranei del monastero. La fantasia popolare si compiace di rappresentarsi quelle, ampie caverne riboccanti di tesori ammassati pel corso di secoli dai prodetti Calogeri; e chi ebbe occasione di conversale coi terrieri di Lussingrande saprà che la tradizione dei tesori sepolti nello scoglio di Palazziol non è ancora del tutto svanita.

Queste ruberie dei monaci e dei nostri Greci dipendono anche dalle relazioni che essi strinsero coi pirati della Montagna (così chiamasi qui la vicina terraferma della Croazia), i quali infestavano il nostro mare ed aveano occupato l'isola di Pago, da cui dipendevano le due isolette di S. Pietro de Nembi. È probabile che i Greci avessero relazioni cogli abitanti di S. Pietro, e che venissero così in corrispondenza anche coi Croati, padroni di Pago e pirateggianti per questi mari, legati per di più ad essi colla comunanza di religione, essendo gli uni e gli altri scismatici. (1).

[11] Incerta è anche l'epoca nonché la causa per cui i Greci abbandonarono lo scoglio di Oruda e l'isola. Il cronista dice che il convento fu fatto bruciare dal governo d'Ossero, iti seguito a che anche i Greci, ch'erano sparsi per l'isola Lussili, se ne allontanarono; il che sarebbe accaduto intorno al 1200. Maggior verisimiglianza ha l'altra versione, che la distruzione del monastero fosse opera dei Veneziani, o in occasione della prima dedizione di Ossero ne! 998, al tempo del doge Pietro Orseolo, o sotto il doge Ottone Orseolo suo figliuolo nel 1018. allorché, conquistata la città di Pago, ristabilì l'ordine e la sicurezza in questi mari.

V'è infine un'altra tradizione tramandata da antichi scrittori slavi, secondo la quale i Greci abbandonarono l'isola in causa di una straordinaria siccità, e seppellirono avanti la partenza in varii punti dell'isola i frutti delle loro depredazioni. Ciò farebbe supporre che fosse loro intenzione di ritornare in tempi migliori nell'isola, ma che poi da ignote cause ne fossero impediti.

Comunque si andasse la cosa, si può ammettere che intorno al 1200 l'isola fosse spoglia di abitatori.

2. — Dall'origine di Lussingrande, sino air ultima depredazione degli Uscocchi.
(1280? — 1614).

Dopo l'allontanamento dei Greci e intorno all'anno 1280 racconta il nostro cronista, venne a stabilirsi in questo luogo una colonia di dodici famiglie originarie dalla Dalmazia e dalla Liburnia, sotto la condotta di un tal Obrado Karvovich (o Harvovich), tutte di rito cattolico, ed eressero delle casette di muro a pepiano sulla piana collina di S. Nicolò, appresso la Cappella innalzata dai Greci. Parlando del motivo di questa immigrazione, il cronista dice che queste famiglie avean lasciato con indifferenza le patrie terre e le domestiche mura, per sottrarsi da un barbaro ed inflessibile go verno, e poco appresso soggiunge che, assuefatte da prima ad un violento giogo, non lo furono meno in appresso alla calamità (allude probabilmente alle dure fatiche e privazioni, cui nei primi tempi della loro dimora in quesl'isola doveano sottostare). Dà il nome di queste dodici famiglie, oggidì tutte estinte, e vi aggiunge poi [12] altre due (Forzinich e Rereca, che ancora sussistono), senza indicar l'epoca del loro stabilimento, ma sembra che sia di poco posteriore all'arrivo delle prime; le quali due ultime famiglie si stabilirono sopra un'altra collina (Varsak), alla distanza di circa un miglio ad occidente dalla sopraddetta Cappella, formando così un secondo centro, dal quale si sviluppò più tardi la parte inferiore della nostra borgata. Il predetto primate Karvovich avea una casa distinta dalle altre ad oriente della Cappella. Questa Cappella fu da esse prime famiglie ristaurata e ridotta al rito cattolico, ed ampliata poi nei secoli susseguenti, ne ebbero il jus patronatus i discendenti della famiglia Karvovich, estintasi nel decimottavo secolo. Sarebbero adunque, col Karvovich, quindici le famiglie stabilitesi simultaneamente, o quasi, nel territorio dell'odierna Lussingrande.

Questo racconto, se anche non è corroborato di prove tali da reggere ad una minuziosa disamina, non è però da rigettarsi assolutamente come favola. Il cronista, e per la sua professione di notaio, e per esser vissuto in un'epoca in cui la fiera lite accesasi tra Lussignani ed Osserini avea fatto sbucar fuori dai polverosi archivii tutti i documenti relativi all'origine dei due Lussini, avrà avuto senza dubbio alle mani dei documenti, che poi sgraziatamente andarono smarriti, in base ai quali egli potea essere meglio di noi informato intorno a nomi e fatti dell'antica epoca di questo paese. Nel suo racconto nulla v'è di repugnante alla storia generale, né a quella speciale di Lussingrande. I primi abitanti sono Slavi e originari della Croazia litorale: la tradizione, la lingua, i costumi, la posizione stessa del paese lo confermano ampiamente. Anche per l'epoca e per questa migrazione si può avere una conferma del fatto dalla storia generale. Intorno al 1240 accadde la terribile invasione dei Mongoli in Ungheria e il re stesso Bela IV con molti fuggiaschi dall'Ungheria e dalla Croazia, si ricoverò in Dalmazia L'invasione mongolica può aver prodotto anche questa immigrazione nella nostra isola, e può essa accordarsi benissimo colla tradizione indicata dal cronista, che le predette famiglie siensi recate a queste parti per sottrarsi ad un duro giogo. Resta soltanto la differenza di 40 anni fra l'epoca dell'invasione mongolica e quella indicata dal cronista, differenza che è ben di lieve momento, se si consideri l'antichità dei fatti. D'altronde il cronista stesso indica la data soltanto in via di approssimazione.

In contraddizione con queste notizie sta un brano di cronaca [13] manoscritta citato dal Nicoltch, in cui è detto:

"Seguita l'amichevole divisione (cioè i patti tra la Comunità d'Ossero e quelle dì Cherso, Caisole e Lubenizze) del possesso dell'isola tra Cherso ed Ossero, fu accordato a quest'ultima dal Principe in via di privilegio tutta quella terra, che dalla punta del Monte d'Ossero fino a S. Pietro de Nembi s'estende, ed in quel tempo (anno 1384) non vi era alcuno che abitasse questa terra".

Il documento relativo a questa divisione è il primo in cui ricorra il nome di Lussin e la circostanza del non farsi in esso alcuna menzione di luogo abitato nell'isola sembra dar ragione al cronista citato dal Nicolich. Ma v'è un altro documento, che fornisce una prova indiretta, ma non dubbia, che i due paesi di Lussingrande e Lussinpicolo esistevano parecchio tempo avanti la stipulazione dell'anzidetta convenzione. È questo il documento del 28 Gennaio 1398 Circa custodias Lossinorum, che parla di una convenzione corsa tra gli abitanti delle due terre e la Comunità d'Ossero a proposito dell'annua imposta d'un ducato d'oro, che ogni famiglia dovea pagare, per essere esente dalla guardia personale nelb città d'Ossero. Secondo tal convenzione, si pagava in origine un'annua imposta di 32 soldi, la quale fu poi aumentata a mezzo ducato, poi ad un ducato, e colla predetta convenzione fu ridotta ad un bisanto, cioè a soldi 45 (2). Ora è assolutamente inammissibile che tutte queste mutazioni nell'ammontar del tributo si faces sero entro il breve periodo di tempo che decorre tra la convenzione del 1384 e quella del 1398, cioè entro 14 anni. Conviene ammettere almeno un secolo come tempo necessario allo sviluppo di questi cambiamenti; ed è quindi giuocoforza asserire che, sebbene nella convenzione tra Cherso ed Ossero del 1384 non si faccia [14] menzione alcuna delle due terre, esse esistevano allora e da molto tempo innanzi.

Dal preindicato trattato del 1384 la Comunità d'Ossero fé'provenire il diritto di giurisdizione e di dominio che accampò e, finché potè, esercitò di fatto sull'isola, basandosi anche in appresso sulla conferma dei suoi privilegi, statuti ed inveterate consuetudini accordatale dal veneto governo. Perciò essa dava l'investitura dei terreni, e chiunque volesse fabbricar una casa o dissodare un terreno, dovea domandarne il permesso, che sino al principio del decimosettimo secolo si concedeva gratuitamente, ma poi veniva rilasciato verso un piccolo tributo in denaro, od annuo o per una sola volta, affinchè venisse espressamente riconosciuto il diretto dominio (3).

Il cronista parla in seguito di nuove famiglie che vennero qui a stabilirsi in unione alle prime, ed essendo giunte al numero di trenta, chiesero una diminuzione nell'aggravio del ducato d'oro che fu ridotto a soldi 45, come s'è detto sopra, mediante la convenzione del 1398.

Questa popolazione si componeva esclusivamente di agricoltori conducenti una vita patriarcale, e la loro assiduità converti bentosto questa terra incolta e petrosa in soggiorno gradevole, senza che si patisse difetto alcuno del necessario. La pastorizia dovette essere la prima occupazione ed il primo fonte di reddito degli antichi abitanti. Sembra che nel decimoquinto secolo si piantassero le prime vigne ed i primi olivi; ed il Botterini asserisce che già in quel secolo diverse barche e trabaccoli venivano a caricar vino per trasportarlo a Venezia. Si diedero eziandio al taglio dei boschi che erano foltissimi, e nella Cancelleria d'Ossero (dice il Botterini) vi sono memorie come in parecchie valli (Giacovagl, Krisca, Giavarna, Tarsorca) venivano varii bastimenti per caricarli e trasportare a Venezia le legne.

Se è vera la tradizione che attribuisce l'allontanamento della primitiva colonia greca dall'isola ad una straordinaria siccità, è [15] ben naturale che i nuovi abitatori cercassero per tempo di premunirsi contro un tale pericolo, pur troppo frequente nella stagione estiva, col ricercare qualche vena d" acqua viva, che rendesse loro possibile l'esistenza in questa regione. Lo scavo dell'antico pozzo, contenente acqua un po'salsa, viene dal cronista attribuito al secolo decimoquarto (4).

Per ciò che riguarda il reggimento spirituale, i Lussignani non aveano anticamente proprio Cappellano, ma un prete della Cattedrale d'Ossero trasferivasi le Domeniche e le feste a Lussin a celebrare la Messa ed a prestare alla popolazione le cure spirituali (5). Per questo motivo il Capitolo d'Ossero sin dai tempi antichi percepiva la quarta parte delle decime prediali, dal cui provento retribuiva il sacerdote che avea qui la cura d'anime.

Da un documento del 23 luglio 1442, di cui parlerò in appresso, rilevasi che in queir epoca la villa di Lussino, come chiamavasi, avea un proprio Cappellano, Presbiter Blasius, ed un altro sacerdote, Presbiter Laurentius Kavichio. Essi officiavano la Chiesa di S. Nicolò in lingua illirica. Il Capitolo d'Ossero restò per tal modo sollevato dal carico di spedire nei giorni festivi un Sacerdote a Lussin; continuò ciò nonostante a percepire la quarta parte delle decime prediali, spettante per diritto al Clero curato, assegnando invece (nel 1460 circa) ai curati di Lussin la parte della decima spettante ai poveri. La cronaca nomina in quel tempo tre sacerdoti dei due Lussini, cioè Antonio Lupsich, Giacomo Bradicich e Antonio de Brando, i quali governavano le due Chiese di S. Antonio di Lussingrande e di S. Martino di Lussinpiccolo, e dice che la quarta parte delle decime prediali loro assegnate ammontava a Lire 160.

In altro luogo della cronaca è detto però che la quarta parte di decima spettante ai poveri si ripartiva tra i beneficiati di questa Chiesa ed i poveri del paese (6).

Nel decimosesto secolo le famiglie di Lussingrande cominciarono [16] contribuire al loro Clero curato un'imposta personale, la co« sidetta Poreschina. Consìsteva essa nella contribuzione di una lira, che ogni famiglia pagava al detto Clero, e le vedove soldi 12.

Il sopraccitato documento del 23 luglio 1442 fa altresì menzione di un capo o Giudice del paese, Matkaeus de Scàia, Judex villae Lussini, di ragguardevole casato osserino e nominato dal Consiglio di Ossero. Questo capo popolo, dice il Battermi, a senso delle patrie leggi e delle pubbliche terminazioni ha il diritto di presiedere a tutte le adunanze, come pure di due voti in tutte le vicinie (7), il diritto di portare il baldacchino nelle processioni, e in occasione della pubblicazione di qualche ordine deve portarsi a sedere in piazza presso l'antico lastrone collo scrivano ed alcuni dei seniori, dando le opportune commissioni al popolo, le quali con subordinazione vengono eseguite.

Il tributo di un bisanto ossia di soldi 45, che ogni famiglia di Lussin dovea annualmente pagare alla Comunità di Ossero, dovea riuscire sommamente gravoso a queste famiglie, poiché non iscorre gran tempo dall'ultima transazione stipulata nel 1398 colla predetta Comunità, che già si cerca di esimersi da questo pagamento. Un ricorso avanzato in proposito al Conte Capitano 4i Cherso ed Ossero Marco Quirini ebbe pei Lussignani esito favorevole, avendo questi con sua sentenza del 14 luglio 1437 esonerato le famiglie di Lussin del pagamento dell'imposta. Senonchè contro tale decisione la Comunità d'Ossero interpose ricorso al Consiglio dei Quaranta a Venezia, il quale col giudicato 27 marzo 1442 annullò la sentenza del Quirini, riponendo le cose allo stato di prima e condannando i Lussignani al pagamento delle spese processuali, nell'importo di 58 ducati d'oro.

La Comunità d'Ossero trovò conveniente di non sostenere quel diritto che la sentenza del tribunale veneto le conferiva, naa preferì di scendere agli accordi; e così avendo i Lussignani mandato i loro ambasciatori cum litteris credentialibus scriptis in lingua sclava manu Praesbiteri Blasii eornm Capellani, qui ambasciatores dictae villae Lussini fuerunt infrascripti, videlicet Praesbiter Laurentius Kavichio, Mathaeus de Schia Judex Villae Lussini, Ghersulus Marincich etc, si stipulò in data 23 luglio 1442 una convenzione, in virtù della quale l'annuo tributo veniva abbassato a soldi 28 per [17] famiglia, a titolo di esenzione dalle guardie personali della città; rimanendo però i Lussignani vincolati a tutte le altre fazioni per sonali della città di Ossero, e promettendosi reciproca assistenza in caso di guerra.

Accresciute nel decimoquinto secolo le famiglie di Lussingrande sino al numero di cinquanta, ed essendosi incominciate a dilatare colle loro abitazioni verso la marina, intrapresero nell'anno 1440 l'erezione di una nuova Chiesa presso il porto principale, che fu poi compita intorno al 1460 e dedicata a S. Antonio Abbate, eletto a patrono del paese. Questa Chiesa era ad una nave con tre altari, cioè quello del santo tutelare nel mezzo, a destra l'altare della B. Vergine e a sinistra quello di S. Giovanni Battista. La circostanza che i due altari laterali erano sotto il patronato di due particolari, ed in appsesso dei loro successori, fa manifesto che particolari oblazioni di famiglie più agiate aveano reso possibile il compimento della Chiesa.

Poco dopo l'erezione di questa Chiesa fu istituita a Lussingrande una Fraterna spirituale sotto il titolo del patrono S. Antonio Abbate, composta di tutti i capi di famiglia del p«ese. Questi Fraterna mediante i suoi due capi, detti Posupi (8), annualmente eletti dai confratelli, amministrava le rendite della nuova Chiesa, consistenti nell'annuo contributo di soldi 20 che ogni famiglia pagava, e negli stabili e capitali che coll'andar del tempo venivano lasciati alla Chiesa dalla pietà dei fedeli. La fraterna avea sino dai primi tempi come luogo di riunione una rozza casa, la quale fu in seguito decentemente ristaurata.

Eretta la nuova Chiesa ed istituita la spirituale Fraterna, elio del suo sostentamento avea la principal cura, fu pensiero dei capi di famiglia costituenti la fraterna assicurare per l'avvenire a se stessi nell'amministrazione della Chiesa quei diritti, che dalle ecclesiastiche autorità sogliono compartirsi a coloro, che si rendono benemeriti per fondazione o dotazione di Chiese e di benefizi ecclesiastici. Spedirono perciò dei messi al loro Vescovo Mons. Giovanni Giusti, che si trovava allora a Roma, e ottennero mediante la Decretale del medesimo del 7 ottobre 1507 il diritto di patronato [18] sulla Chiesa, e quello di presentare ed eleggere il sacerdote che ne avesse la cura (9).

Questo privilegio, che si estendeva anche all'elezione dei Cappellani, costituì in appresso la principale prerogativa della fraterna, la quale vegliava con particolare gelosia alla sua conservazione, come si può desumere da molti fatti accaduti ancor nel presente secolo.

Nel 1510 fu eretta un'altra Chiesa, dedicata alla B. V. Assunta, e che divenne la succursale della principale, per cui anche sopra di essa ebbe diritto di patronato la fraterna di S. Antonio. Piccola nei suoi principii, non conteneva che un solo altare di legno, che, dopo ampliata la Chiesa, fu posto nella sacrestia, ove tuttora si conserva.

Eretta la nuova Chiesa ed istituita la fraterna, cominciarono ad affluire numerosi i lasciti a favore di essa, vincolati alla celebrazione di Messe basse e cantate. Da un estratto compilato nel 1780 dal notaio Martino Botterini, allora scrivano della Chiesa (cioè dell'amministrazione) rilevo che la fraterna, e rispettivamente la Chiesa, possedeva allora dodici stabili, la maggior parte vignati ed olivati, pervenuti alla Chiesa mediante lasciti testamentarii nei secoli decimosesto, decimosettimo e decimottavo, inoltre una stanza (cioè luogo boschivo e pascolativo) denominata Germosagi, in Pontacroce, a quattro miglia di distanza da Ossero, con 83 animali, lasciata da Antonio Ragusin col suo testamento 15 ottobre 1579 e susseguente compromesso 1582, con cui fu consegnato alla Chiesa il detto stabile, rogato l'uno e l'altro dal Notaio D. Nicolò Karstinich, coll'obbligo di 14 Messe cantate e 12 basse annualmente, e di contribuire 10 ducati per tanto pane e vino da distribuirsi ai poveri ogni anno nel giorno dell'Ascensione. La Chiesa possedeva, oltre a questi, molti altri stabili con obblighi di Messe a canto e basse, i quali furono venduti al pubblico incanto, ed il ricavato fu messo a censo, unitamente ad altro danaro lasciato alla Chiesa da benefattori e testatori.

[19] Coll'erezione della nuova Chiesa di S. Antonio coincide probabilmente un fatto di notevole importanza, cioè la divisione dei due paeselli di Lussingrande e Lussinpiccolo, aventi sino a quel tempo comunione d'interessi e di amministrazione. Riguardo a questo fatto conviene limitarsi a congetture, perchè i documenti di quel tempo non ci offrono in proposito un appoggio sicuro. Osservo anzitutto che nei documenti che conserviamo sino al 1442 sono considerati i due paesi come uno solo: homines et personae villae Lossini è l'usuale denominazione, e ciò dimostra che in riguardo amministrativo erano una sola villa.

Il Bonicelli opina che, quantunque il popolo di Lussingrande sin dal tempo dell'erezione della nuova Chiesa aspirasse ad una separazione, questo desiderio rimanesse per molto tempo incompiuto, e ritiene essersi la separazione effettuata appena nel 1550, perchè da quest'anno principia il libro dei battezzati nella Chiesa di Lussingrande (10). Io divido invece l'opinione del Nicolich, che la separazione si effettuasse appena seguita l'erezione delle due Chiese (essendo stata eretta la Chiesa di S. Martino dalla popolazione di Lussinpiccolo nel tempo medesimo in cui si fabbricò quella di S. Antonio), e in ciò mi conferma il privilegio accordato dal Vescovo Giusti nel 1507 alla fraterna di S. Antonio, di eleggersi un proprio Cappellano. Non mi par verosimile che la fraterna dopo aver instato per il privilegio e dopo averlo ottenuto, attendesse più di mezzo secolo a valersene; non essendo d'altronde compatibile resercizio del diritto di patronato e di elezione del curato colla comunanza dei due paesi.

È vero che il curato D. Nicolò Karstinich è il primo che venga menzionato come separato amministratore della Chiesa di Lussingrande; ma la mancanza di registri battesimali, o di altri documenti comprovanti la separazione, costituisce una prova puramente negativa, e, con riflesso a quei tempi, di poco valore, se si considera la scarsezza singolare di documenti, sia relativi alle cose di Chiesa, che all'amministrazione civile, che particolarmente [20] nel decimosesto secolo rimarchiamo nella storia della nostra isola. La decretale del Giusti e la sentenza arbitramentale del 1595, che indicherò poco appresso, sono i soli documenti di qualche entità in quesl'epoca.

Una consuetudine mantenutasi per molto tempo, e la cui origine risale alla fine del decimoquinto secolo, sarebbe una prova della separazione allora avvenuta. Narra il Botterini che il popolo di Lussinpiccolo, dopo essersi separato, volle perpetuare la memoria della comune origine e conservare la scambievole armonia coll'istituire una solenne processione, da farsi annualmente dall'unito Clero e popolo, nel giorno dell'Ascensione di Nostro Signore. La mattina di questa solennità, il popolo e Clero di Lussinpiccolo si portavano a Lussingrande, e le due popolazioni unite si recavano in Chiesa, ove veniva cantata la Messa solenne; poi tutti assieme si avviavano in processione a S. Martino.

Avvenuta la separazione, sorsero delle contese tra la Fraterna di S. Antonio e quella di S. Martino ed i rispettivi sacerdoti intorno alla ripartizione delle decime. A tali contese pose termine la sentenza arbitramentale del 10 agosto 1595, in virtù della quale il confine tra le due ville veniva determinato da una linea, che partiva dal porto di Valdarche, situato dalla parte di Greco, e per un luogo chiamato Martui Grob giungeva a Libeccio alla punta Zangulska. Questa linea servì a segnare anche in seguito i confini delle due comuni.

Poco innanzi era stata ristaurata per cura di Nicolò Karvovich, discendente dal vecchio Obrado, l'antica Chiesa di S. Nicolò, e fu benedetta nel 1586 dal Vescovo d'Ossero Mons. Coriolano Garzadori nella sacra visita fatta a Lussingrande. Alcuni anni dopo, cioè al principio del decimosettimo secolo, fu ampliata anche la Chiesa della Madonna e consacrata nel 1604 dal Vescovo di Arbe, in assenza di quello d'Ossero. Furono aggiunti altri due altari: il primo fu dedicato alla Madonna del Rosario e fu dotato da D. Giovanni Boxichevich, allora Parroco, con una sua casa e vigna per l'illuminazione della lampada e per la celebrazione di una Messa al mese; il secondo, dedicato a S Nicolò, ebbe la sua dotazione da un certo Matteo Mattocich, ma il diritto di patronato ne fu poi ceduto alla fraterna di S. Antonio. Il Botterini attribuisce al Tiziano il quadro del detto altare: è comune opinione che sia invece d'un pittore di quella scuola.

Come s'è detto, il primo separato amministratore della Chiesa [21] di Lussingrande, di cui si possa da documenti rilevare il nome, è D. Nicolò Karstinich, nel 1575. Nella sacra visita di Lussingrande sotto Mons. Coriolano Garzadori nell'anno 1582 "li omini di Lossin

"G.de Franco Dracich et Simon Godinich presentarono al sud.to Mons. Vesc.o R.do Pre Zuane Boxichevich stato levato da Melada sua patria, appare il suo discesso da quel Mons. Arcivesc.o, et in compagnia di R.do Pre Gasparo... al prest.o pur Cappellano di d.ta Villa (11), e fu admesso da sud.to Mons. Vescovo e poi subito l'anno 1583 tornò di nuovo a Melada patria sua, e fra uno o "due anni doppo venne a stabilirsi a Lossin col suo nepote D. Mattio".

L'anno appresso è indicato come parrocchiano un D.Nicolò Rerecich, che ha per compagno D. Francesco Baricich.

Nel 1605 è nuovamente nominato qual Parroco D. Giovanni Boxichevich, il quale funge pure da pubblico notaio, come appare da un testamento da lui scritto del 1611. Egli era coadiuvato nel suo ufficio da due cooperatori: "li doi sacerdoti miei compagni "attendono alta Chiesa continuamente et bene l'offiziano, ma degli "altri non vi so dire, che se fanno il debito loro, perchè non sono "sottoposti alla mia cura". Così dagli atti della sacra visita del Vescovo Mons. Marco Antonio Verità del 1618.

Quale fosse l'antico regime comunale di Lussingrande, non è possibile rilevare da alcun documento. È ben lecito il congetturare che per la distanza dal capoluogo e la difficoltà delle vie la Comunità d'Ossero provvedesse ancora in tempi antichi alla tutela dell'ordine e della sicurezza in questi paesi, mediante un qualche suo rappresentante. Il documento del 1442 nomina Matteo da Schia quale giudice della villa di Lussino. Dobbiamo ritenere che da quell'epoca il Municipio d'Ossero continuasse a delegare un suo rappresentante presso le due ville unite, e dopo la loro separazione uno per ciascuna di esse, probabilmente nei primi tempi scelto fra i cittadini stessi di Ossero, poi fra la popolazione del rispettivo paese. Il primo di cui mi fosse dato rilevare il nome da autentico documento è Luca Sforzinich, nell'atto di consacrazione della Chiesa della B. V. del 25 ottobre 1604 (12).

[22] Un'istituzione di grande vantaggio per il popolo fu la fondazione del cosiddetto Fondaco di diade, per opera di Antonio Ragusin (13), il quale dispose di lire trecento, onde provvedere e vendere al prezzo d'acquisto ai poveri i necessari commestibili. Il Fondaco di biade, detto pure dei poveri, s'accrebbe notabilmente nei secoli successivi per la zelante amministrazione dei suoi sovrastanti e per lasciti generosi a suo favore. l'amministratore, o Fonticaro, veniva eletto dal popolo e restava in carica un anno: né poteva alcuno esimersi dall'incarico, a scanso d'una multa a benefizio del fondo.

Esposti gli antichi Lussignani a frequenti incursioni da parte di mare, né essendovi chi da queste li tutelasse, dovettero pensare da se stessi alla propria difesa; ed eressero a tale scopo la grande torre rotonda, che è ancora oggidì in parte conservata. La tradizione fa rimontare al 1460 l'epoca della sua fabbricazione, e ne attribuisce la proprietà alla famiglia Ragusin; ma per lo scopo di comune difesa cui era destinata, e per l'ingente dispendio che la sua costruzione dovette richiedere, è presumibile sia stata opera di tutto il popolo Situata in prossimità del porto, sopra un terreno declive, è dalla parte di Greco alta 17 metri, da quella di Libeccio circa 15; la sua circonferenza alla sommità è di 33 metri. Nei tempi di pericolo vi si rifugiavano le donne, i vecchi, i fanciulli, riponendovi in salvo i migliori effetti; v'erano anche continuamente delle provvigioni di viveri pel caso d'una invasione improvvisa, e si teneano pronti nella parte superiore cumuli di pietre, acciocché anche i ricoverati potessero difendersi, qualora W baluardo venisse aggredito A proposito di che la tradizione asserisce, che nel principio del secolo decimottavo, durante la guerra fra i Veneziani ed i Turchi per la Morea, i rinchiusi nella torre si siano valorosamente difesi dagli assalti di alcuni barbareschi qui approdati colle loro galee, e li abbiano vittoriosamente respinti.

Tutti gl'individui atti alle armi formavano nelle occasioni di guerra o di altri straordinari pericoli un corpo di milizia urbana sotto gli ordini di un capitano, e si teneano guardie sulle alture, cioè sul monte Calvario (S. Giovanni) e su quello di Bulbin, le quali all'avvicinarsi di qualche bastimento sospetto ne davano avviso alla popolazione mediante convenuti segnali.

[23] Gli antichi Lussignani dovettero molte volte misurare le loro forze contro i predoni di mare; ma di un solo fatto speciale, come più segnalato, fa menzione la cronaca, cioè del barbaro sacco e della generale depredazione che fecero gli Uscocchi nei due Lussini nell'anno 1614. Premetto alcune notizie generali, necessarie all'intelligenza dei fatti.

Conquistata dai Turchi la Bosnia e l'Erzegovina, molti indigeni di quelle contrade vennero a rifugiarsi nei luoghi fortificati delle provincie limitrofe della Dalmazia e Croazia, donde per vendetta facevano delle ardite scorrerie nelle loro sedi primiere, ora occupate dai Turchi. Costoro vennero chiamati Scocchi (donde Uscocchi)) che in lingua slava significa fuorusciti o profughi. La prima loro piazza fu Clissa, situata non lungi da Spalato. Perduta questa fortezza nel 1537, gli Uscocchi superstiti si ritirarono a Segna, ove furono di buon grado accettati dall'imperatore, il quale volea servirsi di loro contro i Turchi, che si erano avanzati fin sotto le mura di questa città. Oltre a Segna, stabilirono essi loro dimora anche nei luoghi vicini di Ottochaz, Carlopago ed altri.

Dapprima gli Uscocchi movevano da Segna ad ardite imprese terrestri sui circostanti territori turcheschi, ma quando i Turchi provvidero fortemente per impedire il rinnovarsi di simili scorrerie, gli Uscocchi, fabbricate sottili e velocissime barche, si diedero a pirateggiare lungo il Quarnero e sue adiacenze, non avendo rispetto neppure ai navigli veneti (14).

La Repubblica, dopo avere senza prò impiegati i mezzi che erano in suo potere per impedire le scorrerie di questi predoni, ne fece doglianze alla corte anstriaca e cercò d'indurla ad allontanarli da Segna e ad internarli. Ma le trattative, le doglianze non approdarono a nulla, e così avvenne che, crescendo l'irritazione da ambe le parti, gli Uscocchi divennero sempre più arditi; davano l'assalto alle isole e alle città venete di terraferma, mentre i Veneziani dal canto loro imponevano forti aggravii ai bastimenti di sudditi austriaci, bloccavano i porti, ardevano per rappresaglia varii villaggi dell'Istria austriaca.

Uno dei luoghi, sul quale gli Uscocchi piombavano a preferenza, era il porto di S. Pietro de' Nembi, ove trovavansi spesse volte bastimenti di poggiata; ma ne furono snidati dal Provveditore [24] Pasqualigo, il quale nel 1597 vi pose un presidio di soldati e vi fece erigere un forte, che fu poi distrutto dagl'Inglesi nel 1806.

La più fiera e più estesa depredazione, di cui faccia menzione la storia di quei tempi, è quella del 1614, e di essa fu vittima anche la nostra isola. Sul far dell'inverno, narra il Sarpi,

"diedero gli Uscocchi sopra l'isola di Ossero con generale preda delle due ville di Lussin, spogliati delle proprie vesti sino i fanciulli e le donne, bastonati e feriti quelli che si dolevano e pregavano di "misericordia".

Questa devastazione provocò fiere vendette da parte di Venezia e quindi lo scoppio della guerra fra la Repubblica e l'Austria, della così detta guerra di Gradisca (1615-1617), cui pose tei mine la pace di Madrid, per la quale gli Uscocchi vennero internati nelle provincie e le loro barche distrutte; restando d'allora in poi la nostra isola immune da tanto flagello.

3. — Dall'ultima depredazione degli Uscocchi, sino alla caduta della Repubblica Veneta.
(1614 — 1797).

Cessate le scorrerie degli Uscocchi e ristabilita la sicurezza in questo paese, cominciarono ben presto a vedersi in esso gli effetti delle mutate condizioni nell'aumento della popolazione, nello sviluppo della pesca, della navigazione e del commercio, nel fiorire di molte utili istituzioni.

Le faccende del Comune venivano dapprima trattate nelle assemblee generali di tutti i capi di famiglia; ma ne doveano nascere frequenti agitazioni e tumulti, per cui il Provveditore generale della Dalmazia Pietro Ciuriano ordinò, con suo decreto 19 maggio 1674, l'istituzione di un Consiglio comunale, che per la sua costituzione e per le sue attribuzioni non differiva molto dalle attuali rappresentanze comunali.

Questo consiglio, detto Collegetto, si componeva di 24 seniori e si rinnovava ogni anno, essendo fissato per l'elezione il giorno 2 febbraio, più tardi il giorno 3. Alcun tempo dopo fu stabilito che solo la metà dei membri si rinnovasse alternativamente ogni anno. Il Collegetto, presieduto dal Giudice, discuteva e deliberava [25] intorno a tutto ciò che fosse giudicato utile e convenevole alla patria, nominava gli amministratori del fondaco di biade e ne sorvegliava l'amministrazione, nominava pure i gastaldi e posupi delle scuole laiche: solo l'elezione del parroco e dei cappellani fu riservata all'assemblea generale di tutti i capi di famiglia costituenti la fraterna di S. Antonio, in virtù dell'antico diritto ad essa accordato dal Vescovo Giusti.

Il Giudice, o capo popolo, appianava anche, si neh'era possibile, le questioni che insorgevano, oppure esse venivano composte da arbitri. Ma la formale giudicatura in materia civile era un attributo della Comunità d'Ossero, che ogni terzo anno mandava nei due Lussini i propri giudici, i quali con un proclama chiamavano dinanzi a se chi avesse cause da decidere o differenze da comporre. Questa visita triennale si chiamava Sindacato dei Lossini, e si mantenne sino alla fine del passato secolo. In affari criminali giudicava il Conte di Cherso.

Il Conte Capitano avea l'obbligo di visitare una volta nel corso dei due anni di sua reggenza Ossero e i due Lussini, e gli venivano però corrisposti 50 ducati, dovendo egli sottostare al mantenimento dei ministri ed avvocati che lo accompagnavano per tutto il tempo della visita (15).

La necessità di atti legalmente riconosciuti a tutela della proprietà fu per tempo osservata dal governo veneto e sin dal 1520 fu a Lussingrande eretto un cancello notarile. Il notaio, previo esame competente, veniva eletto dal Conte di Cherso, dietro facoltà impartitagli dal veneto senato. Il Botterini dice che questo ministero fu esercitato da prima da quattro notai che si succedettero l'uno all'altro, i quali estendevano i loro atti nell'antica lingua glagolita. Ci sono noti i nomi di due di essi, cioè di D. Nicolò Karstinich e di D. Giovanni Boxichevich, e si conserva un testamento esteso da quest'ultimo nel 1611. Da ciò si può dedurre, che i primi notai furono gli amministratori spirituali di questo paese. Nel decimosettimo secolo il cancello notarile passò nella famiglia [26] Botterini, e vi si mantenne sino al principio del secolo presente, passando l'ufficio notarile da padre in figlio, però di tratto in tratto vi furono anche altri notai contemporaneamente ai Botterini, come Matteo Zuppar e Matteo Lazzarich al principio del secolo scorso, Angelo Dabalà e Filippo Ragusin alla fine del medesimo. Nel 1803 v'erano qui non meno di sei notai, fra i quali quattro della famiglia Botterini.

I primi notai della famiglia Botterini furono, secondo il cronista, Antonio e Martino Botterini, nominati a tale ufficio con diploma del 1671; essi cominciarono ad estendere i loro atti in lingua italiana ed aveano facoltà di esercitare il loro ministero in ogni altra città e terra del dominio veneto. Introdussero anche una certa regolarità nel loro uffìzio, separando gli atti forensi dai testamentarii e dai contratti, e formando così un patrio archivio, del quale ora pur troppo deploriamo la perdita quasi totale. Essi godevano inoltre la prerogativa di rilasciare i certificati di origine per i prodotti naturali e per le manifatture del paese, nonché le Responsali di biade che si conducevano da Venezia o dalla provincia, venendo a tal uopo forniti dal governo veneto di apposite stampiglie, cui apponevano il sigillo di S. Marco.

Questa prerogativa era molto comoda per gli abitanti di Lussingrande, ove s'andavano allora sviluppando la navigazione ed il traffico, mentre altrimenti avrebbero dovuto recarsi alla lontana residenza di Cherso per ottenere tali attestazioni. Dovea essere anche profìcua ai notai, se da parte dell'autorità di Ossero si cercò nel corso del passato secolo per ben quattro volte di toglierla ai notai di Lussingrande, per attirarla a se, avviluppando così i notai ed il comune in una serie di litigi che si protrassero per tutto quel secolo.

II primo tentativo fu fatto nel 1704, quando i Giudici d'Ossero d'accordo col Vice Cancelliere impugnavano le prerogative del cancello notarile di Lussingrande, esigendo che le parti si portassero ad Ossero per ottenervi le necessarie attestazioni. Ma il no taio Botterini ricorse al Provveditore generale della provincia, ed ottenne nel 1706 un decreto, col quale venivano dichiarate infondate le pretese avversarie, e fu ordinato che si continuasse nella antica consuetudine.

Nel 1722 i magistrati d'Ossero accamparono di nuovo le medesime pretese; ma i capi del paese sorretti dal notaio ricorsero [27] all'Eccellentissimo Magistrato di Sanità, che si pronunziò nel medesimo anno a favore dei Lussignani.

Dodici anni dopo i magistrati d'Ossero rimisero in campo la questione, ed ottennero dal Conte di Cherso una Terminazione (5 giugno 1734) assai pregiudizievole per gli interessi del cancello notarile e degli abitanti. Ma un ricorso esteso in comune dagli abitanti delle due località ottenne piena soddisfazione, poiché un decreto del Magistrato di Sanità al Provveditore generale in provincia (18 luglio 1734) ordinava che si rendesse a tutti noto, e particolarmente ai magistrati d'Ossero, essere risoluta volontà di esso Magistrato che le precedenti determinazioni del Governo venissero inviolabilmente eseguite, né si avesse alcun riflesso alla Terminazione del Conte di Cherso, la quale veniva in tutte le sne parti abolita.

Infine dopo 55 anni di tregua fu dai magistrati d'Ossero ridestata (nel 1789) per la quarta volta la questione, mediante un proclama del Conte di Cherso, che vietava ai notai di Lussingrande il rilascio delle attestazioni Ma questa volta i Lussignani ricorsero al Consiglio dei Quaranta, ed esso col suo decreto 15 marzo 1790 annullò del tutto l'anzidetto proclama, citando il Rappresentante di Cherso dinanzi al supremo tribunale, perchè rendesse conto del suo operato; il che indusse il pubblico Rappresentante a ritirare l'ordine da lui emanato, dando così termine ad una questione, che avea tenuto in agitazione questa popolazione pel corso quasi di un secolo.

Molte sono le disposizioni che in questo periodo, cioè nel decimosettimo e decimottavo secolo, vennero emesse sia dal Senato veneto, che dai Conti di Cherso e d'Ossero a tutela della proprietà e particolarmente contro danni campestri. V è la Ducale di Alvise Contarini del 5 aprile 1680 che, in seguito a gravami esposti dai Giudici di Lussingrande, commina severe pene contro i ladri e danneggiatori delle campagne, ed un altra di Pietro Grimani del 18 febbraio 1751. Mattio Soranzo Conte di Cherso, dando ascolto ai reclami del Giudice Rocco Stuparich, col suo proclama 4 giugno 1742 minaccia pene severe a quelli che portano danno alle campagne mediante animali. E nel 1757 il Conte di Cherso Alvise Balbi trova necessario di ricordare nuovamente la precitate ducali, minacciando delle medesime pene i trasgressori.

La necessità d'inculcare così di frequente l'osservanza degli [28] ordini superiori dimostra appunto l'inefficacia dei mezzi che allora si adoperavano al mantenimento della pubblica sicurezza. E non potea essere altrimenti, se si considera ch'essa era affidata alla Comunità d'Ossero, la quale per mancanza di proprio personale non potea convenientemente esercitare la sua autorità in questo territorio, e che la lontananza di Cherso, ove risedeva l'autorità in materia di pulizia, e la difficoltà di assoggettare alta medesima la punizione dei frequenti reati che si commettevano, assicurava una quasi totale impunità ai malfattori. Si fu perciò che intorno al 1790, essendo Giudice il Cap. Antonio Budinich, si deliberò di instare presso il governo veneto per la formazione d'un corpo di milizia urbana, separata ed indipendente da quella di Ossero. Nel 1792 il Giudice Cap. Andrea Crelich si recò a Zara, affin d'ottenere da quel Provveditore il permesso di istituire la suddetta milizia, con istruzioni di cui fu a tal uopo munito dal Collegetto. In esse è detto:

"Per ripristinare la pace e quiete nella terra di Lussingrande "e per troncare il detestabile vizio invalso in diverse malviventi "famiglie ed indisciplinata gioventù, in vista dei frequenti latrocinii, "prepotenze e danni notevoli per le campagne ed altrove, ed anche "in riflesso agli approdi ed in materia di sanità, si domanda:
  • sia istituito un corpo di dodici bombardieri ed un decimoterzo per capo;
  • sia questa milizia subordinata al Giudice, al Conte di Cherso "ed all'Ecc.ma primaria Carica Generalizia, non mai ai pochi miserabili bombardieri della già decaduta città d'Ossero;
  • il reo convinto sia condotto a Zara (come nei primi tempi "si praticava), e non a Cherso, non solo per l'oggetto del viaggio "più disastroso per mare, ma particolarmente perchè i malfattori "vengano licenziati illieo con otto o dieci petizze (16) da quei ministri, facendo maggiori prepotenze e latrocinii che prima, perdendo "il rispetto e burlandosi del Giudice e dei vecchiardi del Colle"getto (17); [29]
  • ai rei di danni campestri siano multati con lire 5, oltre la "rifusione del danno;
  • i bombardieri godano il solito benefìzio dell'esenzione da "altre pubbliche fazioni e da quelle del proprio paese."

La domanda fu dopo alcun tempo soddisfatta: nel 1794 il Provveditore Alvise Manin emanò un proclama, con cui prescriveva la costituzione della milizia urbana dipendente dai Giudice; ed in esecuzione a quest'ordine il Conte di Cherso Nuzio Quriini nominò (26 luglio 1794) dodici volontari per la ronda; essi doveano fungere per un mese, ed essere poi sostituiti da altri individui per turno.

Anche in materia di viveri furono nel decimosettimo secolo prese per Lussingrande delle disposizioni simili a quelle vigenti in altre località del dominio veneto, e furono incaricati della sorveglianza i cosiddetti Giustizieri.

Il primo ad emanare degli ordini in questo proposito fu il Conte di Cherso Marc'Antonio Trevisan nel 1687.

"Il pregiuditio ch'apportano all'universale l'avidità d'alcuni, ch'al pervento di biade o altre cose mercantili in questa Terra subito si fanno lecito di farne il mercato a proprio capricio senza riguardo all'utile di quesl'abitanti ed alla convenienza, chiamano l'attentione dell'Ill.mo Sig. Marc'Antonio Trevisan Co. e Cap.o di Cherso Ossero e sue giurisd.ni a provveder a questo disordine per regola di buon governo et avvantaggio di questi sudditi; ordina perciò e comanda, per l'avvenire non sii alcuno che ardischi comprare, contrattare mercato con Padroni delle mercantie, che capitassero in questa Terra, se prima non sarà limitato il pretio, e stabilito il mercato da questo Giudice, con l'assistenza di dodici Uomini dei più assennati e provetti, da essere da lui eletti, col quale ogn'uno debbi dirigersi e comprare; in pena a cad.n contrafaciente di lire cinquanta applicate ad arbitrio di S. S.ia Ill.ma".

Più dettagliate disposizioni vennero emesse dal Conte di Cherso Giacomo da Mosto li 11 settembre 1754, nel tempo della sua visita in Lussingrande.

"Applicati Noi nel progresso della presente visita al vantaggio "di questi amatissimi sudditi avessimo occasione di sentire replicate querele sopra li disordini che insorgono a danno massime della povertà. Volendo però Noi opporsi e rimarginare possibilmente la loro corrente, col tenor del presente Proclama facciamo [30] intendere e sapere, che non sia alcuno, tanto suddito, come terriero, e tanto maggiormente estero che approdarà in questo porto, et esporrà in vendita qualunque effetto a provvedimento di questa Terra, ardisca declinare dal prezzo, che a primo intro fosse proposto, e pubblicato, né fare alcun accrescimento, in pena contrafacendo di L. 50 e perdita degli effetti che venissero alterati. Capitando inoltre formenti o altra natura di grani, resta fissato e risolutamente stabilito che niun negoziante possa accostarsi a quelli contrattare, salvo il terzo giorno dopo che la povertà si sarà provveduta, com'anco suol praticarsi nelle città di quest'isola, ua tenor delle leggi del Municipio di Cherso et Ossero in tal proposito disponenti, in pena di contrabando, e d'esser punito chiunque contravenisse anco corporalmente ad arbitrio della Giustizia. Il vino pure non potrà esser venduto in vigor appunto dell'accennate Statutarie Leggi a maggior prezzo di L 12 la barila; intendendosi vino vecchio e nella presente stagione, che principia dalli mesi di Giugno e termina a quello di Ottobre esclusive. Ogni sorta di carname, cioè quella di manzo e castrato, non dovrà esser venduta a maggior prezzo di soldi quattro la libbra in conformità anco delle beccarie di Cherso ed Ossero et Isola tutta, e l'inferiore a soldi tre; ad effetto di che restano incaricati il Giudice e Giudici pro tempore, e così li Giustizieri, senza la perizia dei quali non dovrà mai da chi che sia esser macellato alcun animale e tanto meno venduto in pena di L. 25, che resta "applicata a benefìzio di questo Comune. Prestando però essi la debita vigilanza, ne confidiamo un ottimo effetto delle presenti nostre deliberazioni, che restando vulnerate da chi che sia, sarà particolar dovere del Giudice, o Giustizieri render partecipe la carica, onde applicar gli ulteriori compensi (18)."

Riguardo il governo spirituale, a D. Giovanni Boxichevich succedette nel 1636 nella dignità di Parroco D. Giovanni Tanzabelich. Nel 1639 accaddero dei serii guai: il popolo, non so per quali motivi, si sollevò contro di lui e lo volle allontanare, e [31] siccome il Parroco non voleva cedere, si venne a vie di fatto. Il cappellano D. Matteo Boxichevich, che interinalmente assunse la cura, diede tutto costernato relazione al suo Vescovo dell'accaduto.

"Avviso V. S. Ill.ma e R.ma come ho eseguito quanto la mi à ordinato in fare quanto è stato possibile alla mia debolezza. Avemo fornito di aver fatti li ordini di V. S. Ill.ma e R.ma Monsg.r, Pre Giovanni è andato al suo luoco, et subito si ha sollevato il popolo e l'à voluto sollevar et portarlo via di peso, e li ho detto che loro cascarà in scomunica, e loro mi à risposto, si lui va in quel luoco, lui cascarà in scomunica, e doppo la S.to Messa mi ha detto il Procurator, Giudice vecchio (Giovanni Budinich), e più parte di loro, che loro è stato sempre patron metter curato, qual che li piacerà secondo l'uso antico, in quanto a questo non so che dirli altro; solo che aspetto avviso da V. S. Ill.ma e R.ma, ritrovandomi molto confuso non sapendo dove mi abbia il cervello. In grazia V. S. Ili ma e R.ma mi sollevi di tal peso".

Come si vede, fa già capolino la questione del juspatronato, interpretato dal popolo come un suo diritto di fare alto e basso in cose di Chiesa. Com'era da attendersi, l'Autorità Ecclesiastica respinse energicamente le pretese derivanti da una sì strana interpretazione del diritto patronale, dimostrando che questo potea esercitarsi non da tutta la comunità, ma solo dalla Fraterna e a sede vacante per morte, rinunzia o privazione da parte del Superiore ecclesiastico, che perciò non era in potere del popolo mandar via il Parroco quando voleva, non potendo ciò fare neppure il Vescovo senza una legittima ragione. Senonchè la questione fu troncata dalla rinunzia fatta dal Tanzabelich ai suoi diritti e venne eletto in suo luogo (nel 1640) D Matteo Boxichevich.

Questi è il primo che porti il titolo di Pievano, essendo slata eretta in Pievania questa Chiesa parrocchiale dal Vescovo Monsignor Giovanni de Rossi nel 1662 (19). Il medesimo Vescovo fé dono [32] a questa Chiesa del Corpo di S. Gregorio, sacerdote di Spoleto, che nell'anno 303 al tempo dell'imperatore Diocleziano sostenne il martirio. Antonio Botterini, allora (1663) Giudice di Lussingrande, si recò perciò a Roma in compagnia del fratello D. Martino, che fu poi parroco, ed a proprie spese lo fece trasportare in patria, riponendolo in una cassa di marmo. In quell'incontro il Botterini ottenne altre insigni reliquie di Santi per questa Parrocchiale.

Tali disposizioni e donativi contribuirono a ravvivare mag giormente nella popolazione il sentimento religioso, e si deliberò concordemente di ampliare la Chiesa di S Antonio, resa ormai angusta alla sempre crescente popolazione. Si raccolsero a tale scopo elemosine, e non bastando il danaro a ciò raccolto, si alienarono degli stabili, e col concorso di tutto il popolo fu compito il lavoro nel 1678. La nuova Chiesa era a tre navate e conteneva i medesimi sei altari di legno che erano nella primitiva, venendovi poco appresso aggiunto un settimo. Contemporaneamente fu eretto anche il campanile.

Al Boxichevich tenne dietro (nel 1672) nella carica di Pievano D. Nicolò Melada (20). Dagli atti della sacra visita di Mons. Simone Gaudenzio Vescovo d'Ossero (1673) rilevo che l'entrata della Chiesa ammontava allora a circa 350 ducati (rendita di stabili e capitali), e le entrate del Clero consistevano nella quarta parte delle decime prediali, dandosi le altre tre parti, una alla Chiesa Cattedrale d'Ossero, l'altra al Vescovo e la terza al Capitolo della Cattedrale. La quarta delle decime veniva divisa tra il Parroco ed i Cappellani, dandosi lire 40 di più al Parroco. Inoltre il Clero curato riceveva, come per il passato, una lira da ogni famiglia (dalle vedove però soltanto 12 soldi), e 40 ducati dall'amministrazione della Chiesa per l'obbligo di Messe. Dalle entrate della Chiesa venivano pagate le spese necessarie al culto ed alla coltura delle campagne spettanti ad essa; era però obbligo di ogni membro [83] della Fraterna di fare una giornata di lavoro al tempo della zappagione delle vigne. Dalle medesime entrate si pagavano due pasti che si davano ogni anno a tutto il popolo, il giorno dell'Ascensione e nella festa di S. Antonio Abbate, l'uno dipendente dal legato di Antonio Ragusin, l'altro da antica consuetudine.

Seguono i Parrochi D. Martino Botterini (1699 1712), D. Francesco Ragusin (1712-1726), D. Pietro Petrina (1726-1733), durante il cui governo fu dilatata la Chiesa della B. V. (1732), D. Alessandro Bonicelli (1733-1751), D. Girolamo Botterini (1751-1760), sotto del quale (nel 1753) fu comt letata la Chiesa della B. V. e ridotta allo stato attuale. In seguito a sua rinunzia, fu nominato nel 1761 a Parroco D. Giovanni Petrina. Contro di lui fu promossa una questione dai tre Cappellani, i quali pretendevano parità di diritti col Parroco e quindi indipendenza da lui nell'amministrazione dei Sacramenti, ina in seguito a sentenza del Senato veneto del 14 maggio 1764 dovettero smettere dalle loro pretese.

Sotto il Parroco Petrina, nel 1767, fu cominciata la totale ricostruzione della Chiesa parrocchiale, condotta poi a compimento nel 1774. Fu perciò eletto dal popolo un comitato di dodici persone, sei della classe civile e sei terrieri fra quelli che godevano maggior considerazione, ed atterrato l'antico tempio, fu con contribuzioni del popolo e sotto la direzione di un architetto veneto eretta la nuova Chiesa, col dispendio di circa 50000 ducati d'argento. Fu eretto di nuovo l'aitar maggiore in marmo di Carrara colle statue dei due Santi Protettori, e con un bassorilievo nel parapetto, rappresentante la cena di Emaus, opera dello scultore Albertini di Pirano. Una scalinata e la predella per un altare furono fatti d'una pietra tratta da una cava esistente allora nei dintorni di Lussingrande (21).

Fino al 1784 erano tre Cappellani che assistevano il Parroco nelle sue mansioni. Se talora si procedette alla nomina di un quarto Cappellano, questa fu poi per lunga epoca tralasciata, o per deficienza di fondi, o per l'opposizione che incontrava da parte degli altri beneficiati. Ma nel 1784, essendo col tempo cresciuta notabilmente [34] la popolazione, che aveva ormai con buon successo superate le difficoltà della totale rinnovazione della sua Chiesa, i procuratori eletti dalla Fraterna di S. Antonio, coll'approvazione ecclesiastica e civile, deliberarono la creazione di tre nuovi Cappellani, coll'aumento degli emolumenti e coll'accrescimento di nuovi benefizii.

A D. Giovanni Petrina succedette nel 1784 nella carica di Parroco D. Giovanni Fedrigo, insignito più tardi della dignità di canonico.

Ad eccezione della Fraterna di S. Antonio, tutte le altre scuole laiche che nei passati tempi esistevano a Lussingrande eb bero principio dal secolo decimosettimo.

La scuola di S. Rocco fu eretta con approvazione vescovile nel 1634, nel tempo in cui Venezia ed una buona parte dell'Italia furono travagliate dalla peste. In queir occasione un certo Giovanni Melada del fu Nicolò fece a sue spese erigere un altare dedicato a S. Rocco nella Chiesa della B. V.; a questo altare fu annessa la Confraternità, la quale colla dotazione e colle contribuzioni dei confratelli provvedeva a tutte le spese del detto altare. Essa era retta da un gastaldo. Al tempo della sua .soppressione possedeva un capitale di circa 1000 lire, ed il numero dei confratelli ascendeva a circa 300.

La scuola del SS. Sacramento fu eretta nel 1644, ed è la sola che ancora sussista.

La Scuola del Suffragio dei morti fu istituita nel 1682 ed annessa all'altare del SS. Crocifisso nella Parrocchiale. Essa era amministrata da due posupi e da un soprastante. Possedeva alcuni stabili vignati ed olivati, la cui affittanza rendeva all'epoca della soppressione 160 lire, ed un capitale di circa 4200 lire.

La Scuola di S. Giuseppe fu istituita nel 1686 presso l'altare di esso Santo nella Parrocchiale, e si componeva di artigiani. Era amministrata da due posupi e da un soprastante e possedeva parecchi stabili, la cui rendita all'epoca della soppressione è Cairolata a 250 lire, nonché un capitale di lire 850. Il numero dei confratelli ascendeva in quel!'epoca a circa 200.

La scuola di S. Nicolò fu istituita nel 1727 (22), specialmente [35] per la classe marittima, ed annessa all'antica Chiesa dedicata a questo Santo. Era amministrata da due posupi e da un soprastante, e possedeva parecchi stabili, la cui rendita al tempo della soppressione è calcolata a 340 lire, e un capitale di 400 lire.

Lo scopo principale di tutte queste Fraterne era spirituale, cioè il culto divino e la salute dell'anima; per cui le rendite provenienti da capitali e da elemosine venivano spese nell'addobbo della Chiesa o del proprio altare, nella celebrazione di uffizii divini e particolarmente di Messe, essendo a ciascuna di queste scuole annessi molti obblighi fondazionali. Ma alcune presero talvolta parte ad opere di vantaggio temporale, concorrendo alla provvisione di vettovaglie in tempi di carestie, alla compera di armi in tempo di pericolo ecc.

Gli amministratori eletti annualmente da ogni scuola doveano presentare ogn'anno la resa di conto all'assemblea generale ed anche al Conte Capitano residente a Cherso, anzi doveano personalmente recarsi colà, portando seco il denaro per la verifica. Senonchè il pericolo, a cui in occasione di questi viaggi andava incontro il denaro, diede motivo a molti reclami, ed infine il Grimani, Provveditore Generale in Dalmazia, con approvazione del veneto senato, esonerò gli amministratori dal trasporto del denaro a Cherso (1736), bastando d'allora in poi che presentassero una attestazione del Parroco e del Giudice, comprovante l'esistenza del denaro in cassa. Siccome poi la legge del 20 Settembre 1767 escluse gli Ecclesiastici da qualunque ingerenza nelle amministrazioni laiche, Nuzio Quirini Conte di Cherso ordinò che, in luogo del Parroco, l'attestazione fosse firmata dal più vecchio dei due procuratori delle scuole.

In antico tempo i libri di amministrazione erano tenuti in lingua slava, ma nel 1611 fu ordinato dal Conte di Cherso che venissero tenuti in italiano.

Fra tutte le scuole la maggior importanza avea sempre quella di S. Antonio, non solo pel numero di confratelli, comprendendo essa tutti i capi di famiglia, e per le rendite di cui disponeva, ma per l'ingerenza che esercitava nell'amministrazione della Chiesa, col diritto di elezione del Parroco e dei Cappellani, i cui proventi dipendevano in massima parte dalle contribuzioni della Fraterna e dai numerosi legati di Messe e di offiziature.

Il Fondaco di biade acquistò nei secoli decimosettimo e [36] decimottavo notevole aumento per generose oblazioni e per lasciti.

Noto fra altro che una pia persona lasciò nel 1794 alla popolazione 5000 lire, dando ad essa facoltà di impiegare questa somma in quelle opere pie, che credesse più opportune e necessarie. l'assemblea del popolo, convocata per deliberare in proposito, decise a grande maggioranza di destinare la metà di questo importo al Fondaco di biade in aumento del capitale, e l'altra metà venisse unita alla spesa da incontrarsi per l'acquisto di una campana per la Chiesa parrocchiale. Per tal modo nell'anno 1796 il capitale ammontava alla cospicua somma di lire 14285.

Nel principio il Fondaco non avea casa propria, e le biade e gli altri generi acquistati venivano tenuti dai fonticari nelle case private; ma nel 1729 il Collegetto dei seniori acquistò col denaro del pio luogo una casa in piazza per deposito dei generi. Questa casa si rese angusta coll'andar del tempo ed offriva anche poca sicurezza, in conseguenza di che fu nel 1771 derubata la cassa per l'importo di 200 zecchini; perciò già da tempo si pensava di vendere all'incanto la casa e di ristaurare col ricavato la torre comunale per uso del Fondaco. Nel 1794 fu dal Collegetto, preposto all'ani ministrazione del Fondaco, deliberata questa vendita, e la deliberazione fu approvata dal Conte di Cherso Nuzio Quirini, il quale fissò anche i giorni per gì'incanti; ma, non so per qual motivo, questa deliberazione incontrò l'opposizione di molti cittadini, specialmente dei più vecchi, i quali dichiarando illegale il procedere dell'amministrazione, ricorsero in appellazione a Venezia; e l'assemblea del popolo, convocata poco appresso, deliberò a grande maggioranza di sostenere il ricorso Poco dopo avvenne il cambia mento di governo, e le cose restarono allo stato di prima.

Nel decimosettimo secolo scarso era ancora il numero di marittimi col grado di capitano; ma nel susseguente il numero di capitani aumentò notabilmente, e coll'esercizio della carriera marittima molti arricchirono, si educarono e diffusero nel paese la civiltà e l'agiatezza. Verso la metà dello scorso secolo si contavano a Lussingrande 24 legni, fra cui cinque navi o brigantini, il rimanente pieleghi, trabaccoli e tartane, senza calcolare un numero ben maggiore di piccole barche. Il loro commercio era principalmente con Venezia, ove i legni minori portavano legna, vino, bestiame, i prodotti insomma dei vicini paesi marittimi, mentre i [37] maggiori frequentavano ordinariamente V uno o l'altro porto del Levante. In tempi di guerra, stante la poca sicurezza della navigazione isolata, i legni mercantili si univano alle squadre in qualità di trasporti, e molti poi, capitani o marinai, prendevano servizio a bordo dei bastimenti della Repubblica, segnalandosi non pochi nei più diffìcili cimenti. I frequenti scontri coi Barbareschi era un'utile palestra per addestrarsi nella guerra marittima.

I capitani e proprietarii di legni di Lussingrande mercè la loro abilità e solerzia crebbero in prosperità; ma non seppero opportunamente approffittarne, coll'impiegare nelle vantaggiose speculazioni marittime i frutti del loro lavoro, e ciò per mancanza di quello spirito di associazione, che in altri luoghi vicini diede un impulso così potente a questa industria; limitandosi invece il maggior numero d'essi a prestare i loro servizi a ricche case di Venezia (23). Eppure i mezzi necessari alle intraprese marittime non sarebbero mancati: quando dal crollo della Repubblica derivò una alterazione nei rapporti marittimo-commerciali, massime negli scali del Levante, e parecchi bravi capitani dopo lunga e laboriosa carriera si ritirarono in patria, si calcola che la loro facoltà in denaro ammontasse a 400,000 ducati.

Quando nel secolo scorso i Lussignani cercarono di scuotere il giogo loro imposto dalla Comunità d'Ossero e di erigersi a Comune indipendente, il Municipio osserino dipinse a foschi colori l'ignoranza e la rozzezza di questa popolazione, tendendo a dimostrare che Lussingrande non avrebbe potuto reggersi a Comune indipendente, per mancanza di persone atte a sostenere un pubblico uffìzio. Questa asserzione viene smentita dalle molte memorie che ancora si conservano, di cittadini che si distinsero nell'arte della navigazione, nelle fazioni navali, ed anche in uffìzii pubblici sostenuti decorosamente in patria e fuori di essa. Molte sono poi le prove di valore e di avvedutezza dimostrata da Lussignani nelle loro navigazioni ed al servizio della Repubblica.

Un Cap. Tomaso Ragusin si distinse nella guerra di Morea [38] contro i Turchi, particolarmente in un fatto d'armi presso Corfù nel 1716. Un figlio di lui, Cap. Antonio, è rimarcato come singolarmente benemerito, per aver migliorato l'amministrazione delle scuole laiche; e sì egli che suo fratello Cap. Tomaso per lo zelo nella ricostruzione della Chiesa parrocchiale.

Il Cap. Martino Ragusin si trovava come ufficiale a bordo di una nave, allorché questa fu il 14 Gennaio 1747 assalita da un grosso sciabecco algerino armato con 24 cannoni e con 315 uomini d'equipaggio. I Veneti si difesero valorosamente, ma appiccatosi il fuoco alle polveri, vi perì tutto l'equipaggio, ad eccezione del Ragusin e di un altro marinaio, i quali furono condotti schiavi in Algeri. Venduta la casa per riavere la libertà, il Ragusin prestò ancora come capitano notevoli servizii allo Stato.

Altri membri di questa famiglia si distinsero nell'esercizio di pubbliche mansioni; e fra questi parecchi sacerdoti, come D. Francesco Ragusin, che fu parroco di Lussingrande e un altro D. Francesco Ragusin, canonico e per lungo tempo cappellano a bordo della squadra veneta.

La famiglia Botterini si stabilì a Lussingrande nel decimosesto secolo, e fu con quella dei Ragusin la prima che cominciò a popolare le adiacenze del porto. Essa introdusse l'arte della pesca, e particolarmente le tratte da pescar sardelle a fuoco, non solo in queste acque, ma (dice il cronista) anche in quelle del Quarnero e dell'Istria, dando così principio al commercio delle due ville ed all'incremento della patria e della Chiesa. A questa famiglia attribuisce altresì il cronista i principii della navigazione nel paese, e rammenta i meriti acquistatisi per lo stato, comprovati da Sovrane Ducali esistenti, dic'egli, presso i superstiti, ma che oggidì non si rinvengono più.

Nomina come primo un Antonio Botterini, che per i meriti acquistatisi non solo nel pubblico servizio, ma nella difesa di quesl'isola e della sua città (forse al tempo delle invasioni degli Uscocchi) fu chiamato Padre della patria.

Un suo cugino, Martino Botterini, segualossi nelle guerre di Candia e della v orea sotto il valoroso Francesco Morosini (il Peloponnesiaco) nel 1684, e morì in conseguenza di gravi ferite riportate in battaglia.

Egual sorte incontrò un nipote del vecchio Antonio, di nome Michele, che prese parte ai fatti d'arme del 1716 e 1718 durante [39] la seconda guerra per la Morea, e soccombette alle riportate ferite; ed un altro Michele Botterini perì nell'assedio di Dulcigno e di Antivari, prestando servizio a bordo della squadra comandata dal Mocenigo.

Un altro nipote del predetto Antonio, il Cap. Gregorio Botterini, si distinse in un combattimento presso Corfù in modo che fu decorato di medaglia d'oro dal Pisani, comandante generale della squadra veneta, e continuò a segnalarsi in tutte le altro occasioni di pubblico servizio, da lui ancora per molti anni sostenuto. Preso quindi il comando di un bastimento mercantile, ed intrapreso nel 1744 un viaggio per gli scali di Ponente, s'incontrò presso la Sardegna con due grossi sciabecchi algerini, coi quali sostenne un aspro combattimento con grande eccidio dei nemici; ma venuto il maggiore sciabecco all'arrembaggio, il prode capitano fu gravemente ferito, e dopo aver uccisi ancora due ufficiali algerini che tentavano averlo vivo nelle mani, fu infine massacrato, inferocendo i nemici sul suo cadavere, che fatto a brani fu gettato in mare.

Un suo fratello, Martino Botterini, con sorprendente ardire sfuggì alla schiavitù. Caduto in mano dei Birbareschi nel 1742 e trovandosi nel porto di Tunisi, colto il momento opportuno, con altri sei compatriotti si gettò in una lancia, dandosi a vogar verso l'alto mare. Inseguiti dai Tunisini per oltre 30 miglia in mare con due grosse lancie bene armate, e quasi raggiunti, gì'infelici con isforzo sovrumano sfuggirono ai loro persecutori, giungendo il terzo giorno all'isola di Pantelleria in uno stato di totale sfinimento.

Un altro fratello, Bonaventura, sostenne gratuitamente pel corso di 33 anni sino alla sua morte nella propria patria l'ufficio di Deputato sanitario, ed in tempi difficili, particolarmente negli anni 1731 e 1744, quando tutto il litorale era minacciato dall'invasione della peste, facendo con somma accuratezza custodire giorno e notte mediante continue guardie tutti i punti d'approdo. Il medesimo ufficio fu sostenuto dai suoi figli Martino e Gregorio (notai). Si distinsero pure parecchi ecclesiastici di questa famiglia, fra i quali D. Martino e D. Girolamo, che copersero la carica di pievano in patria.

Il primo capitano a lungo corso di Lussingrande fu Pietro Petrina, nato nel 1608 e morto nel 1693, figlio di Giovanni e nipote di Martino Petrina, che si considera quale stipite di questa famiglia e che venne a Lussingrande dall'Ungheria dopo il 1570.

[40] I suoi figli, Giovanni e Matteo capitani al servizio della Repubblica, presero parte alla guerra di Candia (combattuta 1645-1669 tra la Repubblica e i Turchi, i quali, conquistata nel 1669 la città di Candia, si resero poi avanti la fine del decimosettimo secolo padroni di tutta l'isola), e morirono, il primo nel combattimento di Cipro, il secondo presso Tripoli.

Maggior fama acquistò l'altro figlio, il Cap. Agostino Petrina. Egli era nel 1677 capitano del pubblico brulotto aAgar„ ed in tale qualità si distinse per puntualità e zelo nel pubblico servizio, massimamente nell'atto in cui la squadra veneta, comandata da Alessandro Molin, si recò in faccia a Rodi a sfidare l'armata turca ricoverata in quel porto. Egli si segnalò nella prima guerra di Morea (J 687 1699) qual capitano della pubblica bombarda "S. Antonio Abbate", colla quale prese parte alla conquista di Navarino e di Modon, e all'assedio di Napoli di Romania. Dopo la resa di Napoli, il capitano generale della squadra veneta lo nominò a capitano della nave "S. Iseppo", In tale qualità trovavasi egli nel 1690 sotto il comando supremo di Alessandro Valier nel combattimento sostenuto contro le preponderanti forze dei Turchi nelle acque di Malvasia, combattimento che durò tutto il giorno di Pasqua di quell'anno. La sua nave perforata dalle palle nemiche andò a fondo, ed il Petrina, ferito nella testa da una moschettata. cadde insieme a Melchiore suo figlio e Lorenzo suo nipote nelle mani dei nemici e fu condotto nel bagno a Costantinopoli. Quivi sofferse fame e battiture, fu tentato di apostatare, ma resistette con invitta costanza. Un marinaio di Lussingrande, Martino Botterini, trovandosi nel 1693 a Costantinopoli sopra un bastimento mercantile veneto, si recò a visitare i prigionieri ed attesta di averli trovati avvinti in catene, in pessimo stato, più morti che vivi, e li vide morire l'anno stesso a breve intervallo l'uno dall'altro, martiri della fede e della devozione alla patria (24). Le [41] medesime cose vengono attestate da un certo Angelo Formenti di Venezia, il quale trovavasi nel medesimo combattimento sulla nave S. Marco, cadde nelle mani dei Turchi, ebbe a sostenere gli stessi tormenti e vide uno appresso l'altro morire i suoi compagni, ma fu poi, dopo dieci anni di dura schiavitù, liberato per l'intervenzione dell'ambasciatore veneto (25).

Un nipote d'Agostino, Cap. Filippo Petrina, prestò servigio alla Repubblica nella seconda guerra di Morea e pel valore dimostrato in un combattimento nel 1717 fu decorato con medaglia d'oro.

Pietro Antonio Petrina, figlio del predetto Agostino, navigò con suo padre, fu all'assedio di Malvasia, ma non prese parte a quel combattimento. Nominato capitano del Petacchio "Tre sorelle" combattè nella guerra di Morea contro i Turchi e prese parte alle battaglie di Scio e di Metelino nel 1695 e a quella di Jura nel 1696, meritandosi un attestato di elogio dal comandante generale Bortolo Contarmi. Nel 1728, essendo al comando della nave "Paola" nell'Arcipelago con carico di grano, diretto per Genova, partito da Alagò, ed avendo dato fondo nel Prodano per causa di tempi cattivi, fu avvicinato da una tartana corsara tripolina, a cui mandò 40 colpi di cannone, costringendola a ritirarsi. Ripreso il viaggio, e trovandosi a circa 80 miglia dal Capo Sparavento, fu sorpreso da due navi algerine. Il capitano diede ordine che si apprestassero le armi per respingerle, ma l'equipaggio sgomentato, messa in mare l'imbarcazione, vi si rifugiò precipitosamente, lasciando solo il capitano sul cassero. In tale condizione il Petrina, sollecitato dai suoi marinai, s'imbarcò pure sul palischermo e col favor della notte sfuggendo alla vigilanza degli Algerini, giunsero tutti dopo due giorni di atroci patimenti al Capo Sparavento, ove trovarono alcune barche napolitane che li condussero a Messina.

I meriti acquistatisi per lo stato veneto da molti membri della famiglia Petrina indussero il Governo di Venezia ad accordare nel 1716 al predetto Pietro, nonché ai suoi fratelli e cugini e loro [42] discendenti, l'esenzione da ogni fazione personale e l'ammissione al godimento di tutte le prerogative e privilegi goduti dai cittadini di Cherso e d'Ossero. Fu inoltre in considerazione di questi meriti che il Cap. Stefano Pettina, altro figlio di Cap. Agostino, venne nel 1704 nominato capitano della fortezza di S. Pietro de' Nembi.

Emulo delle avite virtù il Cap. Pietro Petrina, figlio del pre detto Pietro Antonio, lasciò di sé fama imperitura. La più brillante sua impresa fu il vittorioso combattimento da lui sostenuto con un corsaro algerino nelle acque di Alessandretta. Comandava egli la nave mercantile "Grazia Divina", era diretto per Alessandretta e si trovava a poca distanza dal luogo di sua destinazione, allorché ricevette avviso dal console inglese di quella piazza, che in quel golfo stava aspettandolo il corsaro algerino Haggi Bechir, comandante una nave munita di 44 cannoni con 300 uomini d'equipaggio, coll'intenzione di predarlo; provvedesse quindi alla sua difesa. Il Petrina, anziché turbarsi a quell'annuncio o retrocedere, deliberò d'accordo coi suoi 72 uomini d'equipaggio di andar incontro al nemico e di combatterlo sino all'estremo. La mattina del 4 Agosto 1752, trovandosi presso il Capo Canzir, venne in vicinanza della nave corsara e spiegò la bandiera della Repubblica, mentre il corsaro cercò d'ingannarlo collo spiegare la bandiera inglese. Cionnonpertanto alle 9 di mattina il Petrina incominciò il combattimento con una scarica generale dei suoi 15 cannoni contro il nemico, che dopo tre ore di lotta ostinata, fortemente danneggiato, fu costretto a ritirarsi. Due giorni appresso, il 6 Agosto, ritrovatisi prešao la costa della Caramania, si azzuffarono nuovamente; una palla partita dalla nave corsara perforò a fior d'acqua la nave veneta, i cui marinai otturarono sollecitamente il buco, senza interrompere il combattimento, che durò accanito tutto quel giorno e terminò colla piena vittoria del Petrina, il quale ebb2 a soffrire perdite insignificanti, mentre l'Algerino, perduto un centinaio d'uomini del suo equipaggio, con forti avarie nel suo legno, fu costretto a riparare in Alessandria.

La fama di questa vittoria si diffuse ben tosto ovunque: ai decreti d'encomio tributati al Petrina si associarono gli elogi dei pubblici periodici di quel tempo (26); ed il Doge Francesco Loredan, [43] riconoscendo l'utile che derivava al commercio dalla generosa azione del Petrina, oltre al decretargli il dono d'una medaglia d'oro, lo creò con suo diploma 7 aprile 1753 cavaliere di S. Marco, conferendogli la facoltà di portare le equestri insegne e tutte le prerogative inerenti alla equestre dignità. Resta ancora a Lussi rigrande una memoria di questo combattimento in una palla di ferro di grosso calibro, che il Petrina, ritornato in patria, fece collocare sulla sommità d'una Cappella dedicata all'Apostolo S. Pietro, eretta dal padre del Cavaliere e rimasta in legato ai discendenti della famiglia sino al presente. Il detto Cav. Petrina continuò poi a navigare col medesimo legno, e perì insieme a tutto l'equipaggio col naufragio del bastimento in un viaggio diretto per l'Inghilterra in prossimità delle isole Scilly, la notte del 26 Ottobre 1758.

Suo figlio Cap. Pietro ebbe dall'ammiraglio veneto Cav. Emo durante la guerra contro Tunisi il comando d'una goletta, e si distinse nell'impresa di Sfax, in seguito a che ottenne il comando d'una fregata. Sotto il governo austriaco occupò il posto di Capitano di porto a Chioggia.

Parecchi membri di questa famiglia copersero cospicue cariche ecclesiastiche, come D. Martino, che fu Primicerio della Cattedrale d'Ossero e D. Giovanni, Arciprete della stessa, fratelli amendue di Cap. Agostino; indi un suo nipote D. Pietio, Pievano di Lussingrande, D. Giovanni, fratello del Cavaliere, che fu pure Pievano in patria, D. Antonio, che fu Arciprete della Cattedrale e Vicario generale, eletto indi a Priore dei Catecumeni a Venezia, e D. Melchiore, cugino del Cavaliere, Vicario in Ossero.

Del Cap. Antonio Pizzetti narra la cronaca che prestò servizio alla Repubblica insieme a suo figlio Antonio nella seconda guerra di Morea, si distinse neglj assedii di Antivari e Dulcigno e trovò poi la morte col figlio e tutto !'equipaggio in un'orrida procella allora scoppiata e notata dagli storici come avvenimento straordinario.

Antonio Budinich essendo capitano della nave veneta "La Madonna dello Scarpello e S. Antonio di Padova", partito da Zante per Salonico di conserva con un altro bastimento veneto, e trovandosi il 20 settembre 1757 nelle acque di Malvasia, sostenne valorosamente un fiero combattimento con un grosso sciabecco ed [44] una polacca barbaresca, inseguendoli poi e costrigendoli a rifugiarsi a Candia. In patria coperse cariche importanti (27).

Maggior fama però acquistò suo figlio Pietro coi suoi viaggi per l'America. Era il tempo della guerra per l'indipendenza degli Stati Uniti, allorquando la casa mercantile Treves di Venezia de terminò d'intraprendere un ricco negoziato, servendosi a tal uopo della checchia "S. Domenico", capitanata da Pietro Budinich (28). Questi con carico di farine ed altre merci partì da Venezia li 10 Gennaio 1779 per l'America (navigazione dai Veneti da più di un secolo abbandonata), e sebbene nelle alture dell'Oceano si accostumasse levar piloti inglesi per dirigersi in quelle navigazioni, pure stante la difficoltà interposta per la circostanza dell'indicata guerra e nell'intento di scansare qualunque sospettosa intelligenza, il Cap. Budinich proseguì e diresse la navigazione da se solo. In questo viaggio, trovandosi in prossimità al luogo di sua destina zione, fu assalito da un corsaro inglese, e si difese valorosamente, per cui al corsaro rimase ucciso il secondo capitano e ferito un tenente, ma poi facendo acqua il bastimento e sopraffatto dal numero, rimase predato, ed il Budinich posto in catene con tutti i suoi marinai fu condotto alla Jamaica. Lì coll'aiuto di alcuni veneti, stabiliti nell'isola a scopo di traffico, ricorse ai tribunali e dopo otto mesi di lite sostenuta con sommi aggravii e dispendii ottenne sentenza favorevole di mala preda, ricuperando il carico ed il bastimento; senza però poter ottenere dal corsaro, che nel frattempo era partito dalla Jamaica, alcun risarcimento; e dopo alcun tempo si ricondusse a Venezia.

Allettato il Treves dall'utile ottenuto da questo viaggio, fabbricò appositamente pel Budinich un bastimento a fregata, denominato "Cavalier Angelo" di 120 piedi veneti, e fornitolo di un equipaggio di 100 uomini tra officiali e marinai, con cappellano e medico, e caricatolo di farine e altre merci, ne diede il comando al Budinich. Questi partito nel 1781 da Venezia, giunse felicemente alla Martinica, ove esitò una parte del carico molto vantaggiosamente, [45] recandosi col rimanente a Porto Principe. Lì vendette il resto del carico, ed acquistato dello zucchero ed altre merci di valore, riprese il viaggio di ritorno per Venezia, ma nel corso del medesimo, venti giorni dopo la partenza, colto da gravissima infermità, cagionatagli dai patimenti e dalle fatiche di questo viaggio e del precedente, morì in alto mare (1782). Il fratello minore Antonio assunse allora il comando del bastimento, che condusse a salvamento a Venezia.

In epoca che non mi fu dato di poter bene precisare, un Cap. Alessandro Bussameli fece un viaggio sino ad Arcangelo in Russia; e fu questa la prima navigazione di tal genere fra i capitani dell'Adriatico (29).

Nel 1794 venne istituita a Lussingrande una Società di assicurazione marittima, composta per la maggior parte di azionisti di questo paese e che noverava oltre 400 azioni da L. 100 l'una. Negli undici anni di sua esistenza la Società fece vistosi guadagni, come può desumersi dai dividendi che si fecero (20 e 30 per cento), cosicché fu guadagnato più di 20 volte il capitale. A questa Società tennero dietro altre due. le quali per le scabrose vicende del com mercio nei primi anni di questo secolo ebbero breve vita, e stralciarono amendue, però senza perdite.

Un'altra arte che, al pai i della navigazione, fu molto proficua per la popolazione, fu quella della pesca delle sardelle mediante [46] tratte, introdotta, secondo il cronista, da Antonio Botterini nel 1640, e che in quello e nel susseguente secolo acquistò molta estensione anche negli altri paesi della provincia. Nel 1799 v'erano a Lussingrande otto proprietarii di tratte. Essi pagavano una regalia alla Comunità d'Ossero, nonché la decima, che (verso la metà del passato secolo) rendeva alla detta Comunità oltre 1000 lire, e di comune accordo assegnarono a benefizio della Chiesa parrocchiale la decimanona parte della rendita.

Dacché a Lussingrande cominciarono a svilupparsi la navigazione ed il commercio marittimo, la Comunità d'Ossero teneva in questo paese due suoi cittadini, quali Deputati di Sanità, incaricati di rilasciare le fedi ed ammettere a pratica i naviganti, tenendo la predetta Comunità una casa per domicilio dei due Deputati. Ma intorno al 1670 i due nobili osserini cominciarono ad esimersi dal loro obbligo di recarsi personalmente a Lussingrande, e costringevano invece i naviganti a recarsi ad Ossero per le fedi di sanità e e per la pratica. Ciò indusse il Giudice di questo paese a ricorrere per provvedimento al Governo provinciale, e il Provveditore generale Pietro Ciurano, in data 18 Maggio 1674, accordò che venissero a sollievo della popolazione eletti in appresso dal Consiglio d'Ossero due Lussignani per soprastanti alla Sanità.

Senonchè alcuni disordini scoperti dal pubblico Rappresentante di Cherso e partecipati al supremo dicastero di Sanità in Venezia, indussero il medesimo ad abrogare la Terminazione del Ciurano (14 Aprile 1722) richiamando in vigore l'uso anteriore, in virtù del quale gli affari di sanità doveano essere amministrati da due nobili della Comunità d'Ossero. Ciò nonpertanto, stante la decadenza d'Ossero e la penuria di personale, nessun deputato osserino si recò più a Lussingrande, ed il Consiglio d'Ossero, con autorizzazione del supremo Magistrato di Sanità (1734), delegava per le attribuzioni di sanità il Giudice od altra persona del luogo, sempre però in dipendenza dall'officio di sanità di Ossero.

Molto gravoso era nello scorso secolo l'obbligo delle guardie di sanità anche fuori del territorio comunale. 1 deputati di sanità doveano sotto la propria sorveglianza e responsabilità mantenere una guardia nel porto del paese, un'altra in quello di Rovensca ed una in Valdarche; ed in tempo di guerra o di pestilenza se ne aumentava il numero sino a sei di giorno e dodici di notte. Era poi obbligo di tutti quegl'individui che sapeano leggere e scrivere [47] di recarsi uno alla settimana per turno, per soprastanti alla sanità a Puntacroce e sullo scoglio di Unic, a proprie spese, per dirigere e sorvegliare le guardie nei posti assegnati, esposti per di più a sofferenze e privazioni, venendo loro talvolta negato da quei villici l'alloggio ed il vitto, nonostante l'offerto pagamento, come rilevo da un decreto dell'autorità superiore di Sanità nelle isole del Quarnero del 3 Novembre 1743.

Nel secolo scorso s'accese fra i due Lussini e la Comunità d'Ossero la lite cosiddetta per le guardie, che venne per lo più sostenuta in comune dalle due borgate, e si prorogò sin quasi al ter mine del secolo.

All'epoca in cui ebbero principio i due paesi, cioè in sul terminare del decimoterzo secolo, e nei successivi, la pubblica sicurezza in questa regione, per le continue guerre e le incessanti scorrerie dei pirati versava in ben tristi condizioni. Allora ogni località dovea fare del suo meglio per provvedere alla propria difesa, e così la Comunità d'Ossero, approfittando del dominio che esercitava sull'isola, obbligava sin dal principio le famiglie qui stabilite, come quelle di Neresine, suburbio d'Ossero, a portarsi per turno alla guardia della città d'Ossero. Senonchè la distanza e la difficoltà delle strade doveano rendere alle famiglie di Lussiti oltremodo pesante quest'obbligo, e per {sgravarsene, s'adattarono a pagare alla Comunità un annuo balzello di 32 soldi per famiglia. Questa imposizione fu in virtù di nuovi accordi ora aumentata ora diminuita, sinché nel 1442 fu ridotta a soldi 28.

I Lussignani s'adattarono di buona o mala voglia a questo balzello, e pel corso di oltre due secoli non se ne fa nei pubblici atti alcuna menzione. Appena nel 1657 la Comunità d'Ossero trovò necessario di spiegare maggiore energia nell'esigere la tassa e comminare pene ai restanziarii. Per riscuotere questa imposta la Comunità dovea mandare ogn'anno dei ministri (camerlenghi) in queste terre, dando ad essi due soldi per ogni guardia. Per esonerarsi da tale aggravio ottenne (nel 1715) che questo incarico fosse affidato ai giudici delle rispettive terre. Ma dopo pochi anni, o non garbasse troppo ai giudici questo incarico, o non avessero in loro potere i mezzi necessari per costringere i riottosi al pagamento, si ritornò al vecchio sistema.

Nel 1736, essendo Giudice di Lussingrande, Giovanni Ragusin e di Lussinpiccolo Luca Giadrossich, si fece il primo passo per [48] liberarsi dall'odiata imposizione. Ai 12 Dicembre di quell'anno i Giudici a nome dei loro comuni presentarono una supplica al veneto governo, con cui, dimostrando che le due terre corrispondevano gran numero di marinai al pubblico servizio, che si tenevano giornaliere guardie al posto fortificato di S. Pietro de' Nembi, che la Comunità d'Ossero a fittizio pretesto e per solo utile particolare di quei pochi cittadini pretendeva dalle numerose famiglie dei Lussini l'annuo balzello, domandavano d'esserne per sempre esonerati.

Il Governo veneto attinse informazioni sullo stato della cosa dal Conte di Cherso e dal Provveditore Generale in Dalmazia, incaricato di udire le ragioni d'ambe le parti. Dall'informazione data da quest'ultimo rilevo che il diritto che la Comunità d'Ossero pretendeva, d'imporre questo aggravio sopra gli abitanti di Lussin, si facea provenire dal suo antico Statuto Municipale, ove trovasi registrata una Colta, detta Gallina, che dovea esser pagata da ogni capo di famiglia (30), senza che ne fosse indicato l'ammontare. Ora, secondo l'informazione del Provveditore, i Lussignani dolevansi che, mentre a! principio dell'istituzione della legge tutte le ville delle due isole erano soggette all'imposizione, essa era stata poi conservata soltanto pei Lussini, non più sotto il nome di colta o gallina, ma di guardie; che essi soffrivano il doppio peso di contribuire giornalmente quattro persone di guardia in ciascuno dei due Lussini vegliando all'approdo dei bastimenti per riguardi di sanità, mentre le altre ville dell'isola non contribuivano che due sole guardie alla città d'Ossero, essendo poi esenti da ogni corresponsione pecuniaria.

Dall'altra parte la Comunità d'Ossero sosteneva che al tempo della sua dedizione alla Repubblica le erano state conservate (con Ducale 1 Aprile 1410) tutte le sue rendite, a riserva del dazio del trentesimo e dei sali, coll'obbligo di pagare, fra le due isole, l'annuo censo di 628 ducati d'oro, e che la città d'Ossero non [49] avrebbe potuto sottostare al pagamento della parte da essa dovuta, se le mancava il provento dei Lussini. Asseriva inoltre avere lo stesso Governo veneto implicitamente riconosciuto ad Ossero il diritto di esigere l'imposta per le guardie, quando nel 1713 ordinava che i Giudici delle due terre fossero incaricati della scossione. Notava infine il Provveditore che la Comunità d'Ossero pretendeva avere un diritto di padronanza sopra le terre di Lussin, asserendo che queste popolazioni non potevano né metter in coltura terreni né fabbricar case senza il beneplacito del Consiglio d'Ossero. In conclusione gli Osserini non solo si opponevano all'esenzione implorata dai Lussignani, ma pretendevano che in luogo di soldi 28 dovessero contribuirne 45, come in antico.

Accesa la lite, durò con grande fervore per parecchi anni, risultando infruttuosi i tentativi di componimento che si fecero dal Provveditor Generale col mezzo del Conte di Cherso.

Nel 1754 i Lussignani tentarono un'altra via per sottrarsi d'un tratto ad ogni soggezione. Presentarono una supplica al veneto senato, colla quale imploravano di potersi erigere in una sola comunità, con l'obbedienza al pubblico Rappresentante di Cherso e d'Ossero, ma senza alcuna soggezione o dipendenza da Ossero, dichiarandosi pronti a soggiacere ai pesi ordinarli, come tutte le altre Comunità. Allegavano a sostegno della loro domanda che, da poche famiglie, la popolazione era giunta ad oltre 4000 abitanti, e fra questi molti dediti al commercio, avendo più di 200 legni in mare fra grandi e piccoli, e non pochi essendosi distinti nel pubblico servizio; che per la decadenza della città d'Ossero ogni cosa nelle due Terre era in abbandono, che il popolo era oppresso da una infinità di angherie.

La Comunità d'Ossero si studiò tosto di parare il colpo, e mise in campo i suoi diritti di giurisdizione sulle due Terre, non peritandosi nella sua replica d'asserire che la popolazione dei Lussini era composta "di soli marinari, gente rude e di zappa, tumultuaria ed indisciplinata".

Il Provveditore generale in Dalmazia, Francesco Grimani, incaricato dal governo veneto d'informare, col suo scritto del 29 luglio 1755, dopo aver in succinto esposte le ragioni allegate dai contendenti, descrive lo stato di decadenza di Ossero, ove delle quattordici famiglie componenti il Consiglio, aveano allora tre sole domiciliò permanente in città, per cui non era possibile che con [50] grande stento e perdita di tempo radunare di tratto in tratto il Consiglio, e da dodici anni uno solo fungeva immutabilmente da Giudice e da Vice Provveditore di Sanità, derivando da ciò trascuranza nel pubblico servizio e disordine nei paesi dipendenti. Dimostra poi false le asserzioni degli Osserini, che i due Lussini non avrebbero potuto reggersi da se per mancanza di persone atte al governo dei pubblici affari, mentre al contrario nelle due terre si trovavano molti capitani ed offiziali di marina, resisi anche benemeriti del pubblico servizio, sino ad ottenere pubblici encomii e distinzioni onorevoli, per cui si poteano ben trovare persone capaci di sostenere le pubbliche cariche necessarie in una regolata Comunità.

Concludeva infine che per riguardi di giustizia si dovea trovare un mezzo per soddisfare da un canto alle giuste esigenze dei Lussignani, senza dall'altro togliere del tutto ad Ossero quelle fonti dalle quali ritraeva la sua sussistenza.

Il tentativo dei Lussignani non sortì però l'effetto desiderato, e la questione continuò ad agitarsi sino al 1761, nel qual anno un centinaio di abitanti di Lussiupiccolo dichiararono in forma legale che non intendevano più di continuare nella causa, ma che si assoggettavano al pagamento dell'imposta. Questo dissenso produsse un'interruzione per alcuni anni, ma nel 1778 molti di quelli che aveano sottoscritto l'atto di rimozione dalla causa, annullarono con altro atto notarile l'anteriore loro dichiarazione, che, a quanto essi asserivano, era contraria al loro costante sentimento, essendo stata con arti subdole carpita loro dagli avversarli. Quindi, assenzienti ambe le popolazioni che si tassarono un tanto per famiglia per sostenere le spese, si continuò per anni ancora a litigare.

Ho presente una memoria spedita all'avvocato dei Lussignani a Venezia e compilata, se non m'inganno, dal nostro cronista, nella quale sono enumerati i gravami dei Lussignani contro Ossero. Egli dice che l'annua contribuzione di 28 soldi per famiglia era stata pattuita sin dal principio per l'esenzione dalle guardie, e non avea punto che fare col canone di sudditanza, come abusivamente pretendeva la Comunità d'Ossero. Allora la città d'Ossero avea bisogno delle guardie per difendersi dai pirati, mentre per la sua decadenza e per le mutate condizioni questa necessità non esisteva più. Enumera ciò che le popolazioni delle due Terre a proprie spese e con gravi sacrifizii avean fatto per difendersi nei tempi di [51] guerra e nei pericoli d'invasione. Col prosperare di esse Terre sviluppatosi il commercio, la Comunità d'Ossero nel decimosesto secolo avea cominciato a mandare due nobili per dirigere gli affari di Sanità ed avea per abitazione dei medesimi fabbricata a Lussingrande una casa, che poi per incuria del governo osserino era stata lasciata andare in rovina. Ora la popolazione provvedeva mediante apposite e continue guardie alla difesa dei porti e dì tutti gli approdi, mentre per i sopraddetti due nobili osserini preposti alla Sanità si percepiva una tassa d'erbatico sopra le mandre d'animali, che le famiglie lussignane tenevano in questo territorio. Inoltre la Comunità d'Ossero avea imposto (oltre al trentesimo che si pagava al pubblico erario) un dazio sui carnami, sulle biade e sul vino, e quando nel decimosettimo secolo s'incominciò la pesca delle sardelle, impose la decima sul prodotto della pesca, nonché una regalia sopra ogni tratta. A ciò s'aggiungano gli aggravii dipendenti da pubbliche fazioni anche nei luoghi lontani della provincia, il ristauro della cavanella d'Ossero, ecc., mentre tutte le spese riguardanti la difesa del paese e le riparazioni di porti e di rive erano a carico degli abitanti. Conclude infine col dire che, se i Lussignani erano membri della Comunità d'Ossero, doveano averne anche i diritti, e non portare tutti i pesi, mentre ogni benefìzio era a vantaggio degli Osserini.

Il prolungarsi della lite, se era di sommo aggravio ai Lussignani per le spese che a tutti erano addossate, non lo era meno per la Comunità d'Ossero, che vedeva disseccarsi una delle sue principali fonti di reddito, poiché ad onta delle sue ripetute proteste nessuno più si curava di pagare l'annuo canone; e così da ambe la parti si sentiva il bisogno di un accomodamento. Si propose di sollevai si dal balzello col pagamento di una determinata somma; ma insorsero nuove questioni allorché si trattava di fissarne l'importo. Alla fine il 1 Agosto 1792 si venne ad un accordo sanzionato dal Consiglio dei Quaranta, in virtù del quale i due Lua sini venivano per sempre esonerati dal balzello delle guardie, pagando ciascun d'essi la somma di 1000 ducati d'argento. [52]

4. — Caduta della Repubblica Veneta. Dominio austriaco e francese. Ristabilimento della dominazione austriaca.
(1797-1815).

Colla caduta della Repubblica veneta ed in virtù della pace di Campoformio (17 Ottobre 1797) la nostra isola venne, insieme agli altri paesi della Repubblica, sotto il dominio austriaco. Il commissario imperiale Raimondo conte di Thurn, chiamato al governo dell'Istria veneta e della Dalmazia, stabilì a Cherso un Cesareo Regio Tribunale di prima istanza (denominato anche C. R. Superiorità locale), composto di un Giudice dirigente, due Assessori ed un Cancelliere, e questo dicastero avea tutte le attribuzioni (politiche, di giustizia civile e criminale, ecc.) spettanti prima ai Rappresentanti Veneti (Decreto del 29 Gennaio 1798). Con posteriore decreto del 13 Febbraio il Commissario Imperiale stabilì l'organizzazione dei Giudizii compromissari o di Pace (a Cherso, Ossero, Lussinpiccolo e Lussingrande) e nominò a Giudice di Pace in Lussingrande il Cap. Simone Budinich. Le cause che non oltrepassavano il valore di 25 fiorini doveano essere rimesse a qiiesto Giudizio esclusivamente ed inappellabilmente da qualunque altro Tribunale. In cause di maggior importo decideva (pei due Lussi ni) il Giudizio di Ossero. La superiorità locale di Cherso, oltre all'essere la prima istanza per Cherso e pel suo distretto, avea l'airtorità politica e criminale per amendue le isole. Nella capitale detta provincia (Zara) risedeva poi il Governo provinciale insieme col Giudizio di appellazione.

Il Giudice non ricevea alcun salario dallo stato, ma percepirà una retribuzione di 16 gazzette (8 carantani da ciascun contendente) cioè tanto dall'attore che dal reo, per l'estesa del compromesso o della sentenza. Avea oltre a ciò attribuzioni demandate in linea politica, per le quali prestava l'uffìzio suo gratuitamente. Del resto le cose restarono allo stato di prima; e i due Lussini continuarono nella loro dipendenza in cose comunali dal Consiglio di Ossero, che nominava di anno in anno il capopolo, o Giudice Comunitativo, come ora si chiamava.

[53] Nel 1800 venne poi creata l'I. R. Direzione Superiore delle Isole del Quarnero colla sede in Veglia, e da questa dipendevano tutti i Giudizii di Pace delle tre isole. Essa autorizzò (28 Luglio 1801) il Giudizio di pace di Lussingrande a rilasciare ai naviganti ed abitanti dei due Lussini ruoli di navigazione e passaporti ufficiosi per la provincia, nonché per le due città di Trieste e Venezia, dovendo le parti corrispondere una tassa di 12 carantani a benefìcio del Giudice.

Era allora Parroco D. Giovanni Fedrigo, e durante il suo governo spirituale avvenne un fatto di speciali importanza, l'abbandono dell'antica liturgia glagol ita e lo stabilimento della latina. Come per gli atti notarili, così anche per i parrocchiali, il glagolito era la lingua usata nei tempi antichi I registri battesimali, che si conservano nell'archivio parrocchiale dal 1560, sono, fino al 1674, tenuti esclusivamente in glagolito. Nel registro di quell'anno trovo in data 20 aprile questa osservazione: "Fu visto ed approvato nella Sacra "Visita dall'Ill.mo e R mo Mons. Simone Gaudenzio Vesc. d'Ossero; "ordinò però S. S. IH.ma e R.ma che nell'avvenire per maggior "intelligenza d'ognuno si notino i battesimi da una parte del foglio "in lingua illirica, e di contro in lingua latina o italiana, sapendo "tutti li sacerdoti di Lossin legger e scriver in illirico et in italiano".

Dal 1709 in poi, sotto il Pievano D. Martino Botterini, i registri battesimali sono tenuti esclusivamente in italiano.

Lo stesso cambiamento avviene progressivamente rispetto alla lingua liturgica. I sacerdoti, meglio istruiti nel latino che nel glagolito, cominciano a celebrare in latino, ed in questa lingua si celebrano poi tutti i divini uffizi, ad eccezione della Messa parrocchiale, che nelle ordinarie festività si continuava a celebrare in glagolito. Nel Giugno del 1802 il Parroco Fedrigo, di concerto coi cappellani e cogli altri sacerdoti (ad eccezione di uno solo, ed erano allora in numero di ventitre) e coll'approvazione del suo Vescovo, Mons Raccamarich, abolì del tutto la liturgia glagolita e vi sostituì la latina rimanendo però come per il passato il canto dell'Epistola e del Vangelo, nonché le pubbliche preci fatte in comune col popolo, nel vernacolo illirico. Da prima questo cangiamento non produsse alcuna alterazione; ma nel Novembre di quell'anno apparvero dei sintomi di malcontente nella bassa classe, e da qualche terriere e artigiano furono proferite delle minacce contro del Parroco. Non è infondato il sospetto che il malcontento [54] fosse opera di qualche mestatore che andava sobillando il basso popolo, col far credere che si volesse con tali mezzi stabilire l'assoluto predominio della classe colta e civile sopra i terrieri, e che il clero ambizioso volesse togliere alle Scuole Laiche ogni ingerenza nelV amministrazione. Una deputazione composta del Giudice Comunitativo e di due procuratori delle Scuole Laiche si presentò al Parroco, chiedendo con insistenza a nome del popolo la ripristinazione della liturgia glagolita; ma fu dal Parroco rinviata, perchè mancante di qualunque documento che attestasse la legalità della sua rappresentanza, e perchè d'altronde tratta vasi di cosa superiore alle attribuzioni di un parroco.

Ciò non disanimò punto i dissidenti; anzi chiesero ed ottennero dalla Superiorità di Cherso il permesso di convocare un'assemblea dei capi di famiglia per trattare sull'argomento. Questa assemblea fu tenuta il 3 Febbraio 1803 sotto la presidenza dell'I. R. Giudice di pace, e riuscì oltremodo tumultuosa per la straordinaria eccitazione degli animi e per l'illegale intervento di molti individui non aventi diritto, cioè non capi di famiglia II disordine giunse a tal punto, che il Preside si allontanò, seguito dalla maggior parte della classe civile marittima, ed i rimanenti deliberarono a maggioranza (di 156 fra 172 votanti) la ripristinazione della liturgia glagolita, eleggendo alcuni procuratori che presentassero a tal uopo un ricorso al Governo Provinciale. Non ho potuto rilevare su quali motivi appoggiassero i dissidenti il loro ricorso, non essendomi riuscito di rinvenire il documento relativo: vi deve essere stato qualche accenno al diritto patronale, perchè nella sua risposta il Governo respinge la pretesa influenza del popolo sui riti sacri e sull'idioma dell'offiziatura divina. La parte avversaria avanzò pure dal canto suo una rimostranza firmata dal Clero e da 208 capi di famiglia, per la conservazione della liturgia latina.

Il Governo provinciale interpellò in proposito il Vescovo diocesano Mons. Raccamarich, che con un suo scritto del 14 Luglio 1803 diede diffuse ed esaurienti informazioni sullo stato della questione. La lunghezza di questo scritto non mi consente di riportarlo neppur per sommi capi, e devo limitarmi soltanto a qualche cenno. Premessa una storica spiegazione, respinta la pretesa ingerenza del popolo, anzi della minor parte di esso, nei sacri riti, dimostrato come la Chiesa ripetutamente avesse condannato il [55] diritto preteso dal popolo che il linguaggio liturgico fosse a portata della sua intelligenza, il Vescovo confuta l'asserzione dei dissidenti, che l'avvenuta immutazione della lingua liturgica costituisse un illecito arbitrio del Clero e del Vescovo, dimostrando al contrario che, se i Pontefici permisero qua e là l'uso del glagolito nella sacra liturgia, lasciarono però sempre in libertà dei Vescovi e del Clero il servirsi a preferenza del latino; che perciò per immutare I'idioma glagolito nel latino non v'era bisogno di speciale concessione. Rispetto poi ali opportunità e convenienzi di tale mutazione, il Vescovo dimostra che già da tempo il Clero di Lussingrande instava per la totale abolizione del linguaggio glagolito, da lui mal compreso e niente affatto dal popolo, al quale l'Epistola ed il Vangelo, dopo letto in glagolito, s'annunziavano anche per il passato nella versione illirico-vernacola, il che si continuava a fare dopo l'introduzione della liturgia latina.

Com'era da attendersi, il Governo provinciale col suo decreto 23 Agosto 1803 respinse il ricorso dei dissidenti, incaricando il Giudice di pace a chiamare alla sua presenza i procuratori d'ambe le parti e del Clero stesso, a preleggere loro le relative superiori deliberazioni e seriamente ammonirli a desistere per l'avvenire da quel vano spirito di contenzione, che avea dato origine alle seguite intestine dissensioni.

Ma a ciò non s'acquetarono i dissidenti sostenitori della liturgia glagolita; che anzi, volendo ad ogni costo spuntare nel loro impegno, avanzarono i loro ricorsi sino al Monarca. Senonchè i rivolgimenti politici degli anni seguenti, il cambiamento di governo che ne seguì, e forse più ancora il nessun interesse che per la ripristinazione del glagolito dimostrava la maggior parte del popolo, alieno per se stesso da ogni litigio nazionale, fecero tramontare la questione, che per buona ventura non fu più ridestata.

Le continue guerre, che dal finire dello scorso secolo sino al 1815 misero in subbuglio tutta l'Europa, fecero sentire i loro effetti anche in quest'isola, e già nel Marzo del 1799 si devono a Lussingrande prendere delle disposizioni per l'istituzione di guardie armate, essendo per iscoppiare la guerra colla Repubblica francese.

La popolazione versava intanto in gravissime angustie. Il Governo limitava I'esportazione delle granaglie dai porti della Croazia in riguardo ai bisogni dell'armata, e non accordava 1'importazione in questi luoghi che a scarse partite, dovendo il Giudice di pace [56] fare di tratto in tratto delle pressanti istanze a questo proposito. Aggiungasi a ciò la crisi monetaria, gli alloggi militari (Lussingrande ricevette nel 1800 una guarnigione di 40 soldati), la navigazione ed il commercio marittimo incagliati per il pericolo di corsari, i legni mercantili costretti a prestarsi ai trasporti militari; tutto ciò può dare un'idea delle tristi condizioni di quei tempi.

Ma ben peggio andarono le cose, allorquando, in seguito alla guerra della terza coalizione ed alla pace di Presburgo (26 Dicembre 1805), l'Austria dovette cedere all'Imperatore Napoleone i paesi che avea ottenuti col trattato di Campoformio, cioè Venezia ed i paesi da essa prima dipendenti, che vennero ora uniti al Regno d'Italia. In seguito all'occupazione francese, il Giudice di pace Simone Budinich rinunziò alla sua carica e fu in luogo suo nominato il Cap. Antonio Craglietto; ma questi non ne volle sapere della carica. Senonchè poco appresso il Dandolo, provveditore generale in Dalmazia, istituì (24 Agosto 1806) il Consiglio Comunale pei due Lussini, composto di 18 membri, 10 di Lussinpiccolo e 8 di Lussingrande, venendo poi nominati altri cinque membri per l'Amministrazione Comunale, cioè il D.r Bernardo Capponi a Podestà e due Savii per ciascun paese (per Lussingrande Giovanni M. Zuppar e Antonio M. Budinich). Per tal modo cessava alfine la dipendenza da Ossero, che specialmente nel secolo scorso avea fatto sorgere tanti litigi. Nello stesso anno furono dal Provveditore Generale nominati i membri della Commissione di Sanità, del Tribunale di commercio e della Giustizia di Pace.

Nel medesimo anno il Podestà Capponi fu nominato Vice Delegato del Governo, e la carica di Podestà fu in via provvisoria conferita ad altra persona.

I Savii municipali per Lussingrande, che si cambiavano ogni anno, amministravano il Comune in via di delegazione; ma l'unione con Lussinpiccolo era poco favorevole allo sviluppo di questo paese: disparità d'interessi, difficoltà di comunicazione rendevano desiderabile una separazione, e così il Provveditore Generale, accogliendo i voti di questi abitanti, decretò nel 1808 per Lussingrande l'erezione di un Consiglio Comunale e di una propria amministrazione, nominando a Podestà il Cap. Simone Budinich. Ma questi, allegando a motivo l'età avanzata e le fìsiche indisposizioni, rifiutò costantemente quella carica, ad onta de le pressanti istanze fattegli dal Vice-Delegato; e così per alcuni mesi il nuovo Comune [57] rimase senza capo; sinché il Governo provinciale, cedendo alle replicate istanze dei due Savii, i quali dimostravano che l'amministrazione comunale senza Podestà procedeva male, nell'Ottobre di queir anno nominò a Podestà Biagio Stuparich.

Quando col decreto di Napoleone del 26 Ottobre 1809 furono costituite le Provincie Illiriche, questi paesi, cessando di far parte del regno d'Italia, furono incorporati a quelle, e Lubiana diventò la sede del governo. I due Lussini furono dopo alcun tempo nuovamente uniti in una sola amministrazione, ad onta delle rimostranze di questa popolazione, che dimostrava la necessità di una separazione, e per oltre un anno, dal 13.Febbraio 1312 sino al ritorno del dominio austriaco, funse da Podestà (Maire) Giovanni Crelich da Lussingrande. Lussin dipendette per alcun tempo in linea politica dal suddelegato di Fiume; ma nel Gennaio del 1812 fu istituita la suddelegazione di Lussin, alle quale erano subordinate le tre isole del Quarnero. Per gli affari marittimi v'era a Lussinpiccolo un Capitano di porto dei Lussini. Da esso dipendeva l'autorità marittima di Lussingrande, di cui era capo il Podestà. V era pure un Provveditore di Sanità, dipendente dalla Commissione sanitaria di Lussinpiccolo.

U nuovo ordine di cose introdotto colla istituzione del comune indipendente esigeva delle spese necessarie per garantire la proprietà e la sicurezza pubblica; perciò fu introdotto il dazio consumo, il cui reddito era riservato a coprire il bisogno del Comune. Ma l'introito n'era molto limitato, mentre le spese comunali, specialmente per le continue guerre e le esigenze che da parte del governo francese s'imponevano al Comune, divenivano sempre più esorbitanti. Non potendosi in alcun modo provvedervi coi redditi ordinarii, si dovette più volte ricorrere a mezzi straordinari e all'imposizione di aggravii pesantissimi, giustificati dalla dura necessità. Così nel 1808 il Consiglio Comunale deliberò l'imposizione di una tassa personale di 5 lire per ogni individuo maschio che avesse compito i 15 anni e uon oltrepassati i 60, esclusi i soli miserabili; e questa tassa fu approvata dal governo per un anno. L'anno seguente, non volendo il governo consentire alla percezione della tassa personale, l'amministrazione comunale si trovò nella necessità d'imporre sui cittadini una contribuzione di 5100 lire. Nel 1810, essendo la cassa comunale totalmente esausta, si ricorse al Fondaco di biade, cui fu imposto un prestito forzoso di 300 lire. Ad onta di ciò il [58] comune, per le spese incontrate nell'ingresso delle truppe francesi, per la fornitura d'alloggi militari, per la somministrazione di viveri alle truppe, si trovava aggravato di debiti verso parecchi comunisti, e non potendo né soddisfare ai medesimi né far fronte alle spese sempre crescenti, confermò nel 1808 un deliberato preso ancora nel 1806, di porre in vendita tre lampade d'argento della Chiesa parrocchiale. Si rifuggiva però dall'esecuzione di tale deliberato, ed appena nel settembre del 1810 fu effettuata la vendita, che diede un ricavato di 2930 lire. Ma questa era ben poca cosa, se si considera che nel medesimo anno il debito comunale ammontava già ad oltre 13000 lire, e che nel giugno del 1812 il passivo era salite a più di 20000 lire.

La popolazione gemeva intanto sotto il peso di gravezze personali. In un rapporto avanzato al governo nel 1808, il Podestà fa conoscere che molti individui s'erano assentati dal paese per cercare altrove il loro sostentamento, che nove persone erano giornalmente impiegate per turno al pubblico servizio, cioè due in qualità di guardie sanitarie e sette per le ronde, senza tener conto di lavori straordinarii, come p e. l'erezione di batterie nel porto di Lussinpiccolo, pei quali lavori doveano ogni giorno altri due individui essere a disposizione del comandante militare.

La miseria sempre crescente di questi comunisti mosse finalmente il governo a procurare un sollievo almeno ai più indigenti, ed il Provveditore generale (Giugno 1808) accordò che da parte della Cassa dei poveri di Ossero fosse somministrato loro un soccorso di 1200 lire, però a titolo di prestito e verso mallevarla da parte dei sovvenuti. Com'era da prevedersi, i bisognosi di soccorso non furono al caso di trovare persona che si costituisse per essi mallevadrice, ed il Provveditore pochi mesi dopo (nel settembre), attesa, come dice nel suo decreto, l'inoltrata stagione e. considerando cessati gli urgenti bisogni della classe indigente, dichiarò inutile la prestanza proposta.

E non solo la classe indigente, ma tutta la popolazione soffriva in condizioni così eccezionali. Annientato il commercio marittimo per le continue ostilità tra l'Impero francese e l'Inghilterra, l'isola si trovava spesso in difetto delle cose più necessarie, per essere nel corso di questi anni intercettato anche il traffico del piccolo cabotaggio. In un rapporto al suddelegato di Fiume (19 marzo 1812) il Maire dei due Comuni dichiara che "fra qualche giorno [59] gli abitanti per totale mancanza di grano in vendita vanno a partire un'estrema carestia".

I corsari nemici impedivano le comunicazioni colla terraferma, e se qualche piccola barca avea potuto sfuggire alla loro vigilanza e raggiungere il litorale illirico, avea dovuto ritornarsene indietro vuoti, perchè non le si permetteva l'estrazione neppure di poche staia di grano. "Mi rivolgo, scrive il Maire, al Superiore, per ottenere dalla clemenza del governo la necessaria provvidenza a sostentamento di questi comuni". Un'analoga rimostranza fu dal Maire avanzata il 2 aprile, perchè fosse permessa l'esportazione da Fiume.

Una nuova gravezza, e la più insopportabile pel modo col quale veniva messa in vigore, fu la coscrizione introdotta nel 1809. Il numero di coscritti imposto dal governo ai due paesi era così sproporzionato alla popolazione realmente presente, che l'autorità comunale fu costretta a reclamare energicamente.

"Questi due paesi (cosi nella rimostranza del luglio 1810) rovinati dal fondo dalle vicende della guerra, privi di quase ogni risorsa territoriale, non hanno per dir cosi altro mezzo di sussistenza che il lavoro delle braccia e l'industria individuale. In vista di queste non esagerate rimostranze noi supplichiamo che sia accordata una minorazione nel numero del nostro contingente. Se non abbiamo il conforto di ottenere questi'atto di grazia, non possiamo dissimularlo, questa esecuzione porterà senza meno l'ultimo colpo di desolazione in queste troppo sventurate Comuni".

Convenne però piegare il collo alla dura necessità, e fatta l'estrazione di quelli che doveano far parte della leva marittima, furono a Lussingrande colpiti 32 individui. Ma la commissione ritenne insufficiente questo numero e se ne dovettero aggiungere altri 19. Il Giudice di pace di Lussinpiccolo (che fungeva allora da Vice-Delegato) intimò al Podestà, sotto gravissima responsabilità, di farli tutti immediatamente partire per Fiume e di accompagnarveli per presentarli a queir Intendente. Il Podestà, dopo aver messi in opera tutti i mezzi eh'erano in suo potere per impadronirsi dei coscritti, partì finalmente con quei pochi che potè aver nelle mani; ma giunto a Puntacroce, fu costretto in tutta fretta a ritornarsene, per non cadere nelle mani dei corsari che occupavano il mare. Si trovò poi il modo di spedirli a Fiume per la via di Lussinpiccolo.

[60] Nel Settembre del medesimo anno 1810 venne ordinata una nuova leva di celibi dai 18 ai 36 anni, che doveano immediatamente esser mandati a Fiume. Compilate le liste, risultarono in numero di 110, ma di questi, soli 41 presenti. E di questi si presentarono soltanto 12: il Podestà, pressato con minacce dal governo, mise in opera ognr sorta di mezzi per impadronirsi dei fuggitivi e dei renitenti, si mandarono ronde in giro a perlustrare tutti i ripo stigli dell'isola e dei vicini scogli, e si arrivò finalmente ad averne ,in mano altri 24. Si può più facilmente immaginare che descrìvere la desolazione di tante famiglie, privale così di ogni mezzo di sussistenza.

Nel 1808 venne anche organizzata la guardia nazionale, che si componeva di un capitano, due tenenti, tre sergenti, un foriere e sessanta uomini.

Nel 1809 fu con Decreto 25 Dicembre stabilita la nuova contribuzione fondiaria sulla base della rendita netta, calcolata per Lussj.ngrande a 12000 franchi. Anche questa somma cosi elevata costituiva un notevole aggravio, e l'Amministrazione Comunale non mancò (Marzo 1811) di avanzare i suoi reclami all'Intendenza di Fiume. Col cambiamento di governo avvenuto due anni dopo, le disposizioni del governo francese andarono fuori di vigore.

Durante l'occupazione francese ha termine la pia istituzione del Fondaco di biade. Da una informazione data dal Giudizio di pace nel 17 Agosto 1803 rilevo, che in quell'anno il capitale ammontava a lire 10328; dunque di fronte al capitale di lire 14285 esistente nel 1796 vi era una diminuzione di quasi 4000 lire. Parecchi eventi sfavorevoli aveano contribuito a cagionare questa perdita. Messe fuori di corso sotto il governo austriaco le pezze da 12 carantani, il Fondaco si trovava nel 1802 sprovvisto di biade e con circa il000 fiorini in pezze da 12 carantani, per le quali non potea avere i generi di cui abbisognava.

L'Amministrazione deliberò di spedire il Fonticaro con questa moneta alla Direzione superiore delle isole del Quarnero, per implorare col suo mezzo il cambio delle monete in tanto frumento. Senonchè la Direzione rispose che avea avuti più serii reclami nel medesimo argomento da parecchie altre località del Quarnero, e che, non trovando alcun mezzo atto a provvedere da se al serio disordine, ne avea fatto energiche rimostranze all'.au torità superiore. Convien però ritenere che l'operazione riuscisse [61] alcun tempo dopo, imperocché nell'atto medesimo del 17 agosto 1803 trovo che il Fondaco perdette nel cambio di quella moneta 1167 lire. Aggiungasi a questa, le perdite provenienti da indébiti aggravii di cui il pio luogo veniva caricato, cioè spese per guardie, polvere, affìtti delle caserme militari, ristauri dei pozzi comunali ecc., per l'importo, sino a quell'anno, di altre 1131 lire; le perdite di capitali che per colpevole indolenza restavano inesatti; le perdite infine net generi acquistati, dovute alla poca antiveggenza e cognizione degli amministratori. Le tristi condizioni degli anni'seguenti, le guerre, gli aggravii, la stagnazione del commercio sono le cause per cui il Fondaco va incontro a totale sfacelo, e nel 1812 non esisteva più.

Il governo francese decretò nel 1808 la soppressione delle Scuole Laiche, ed a questa sorte soggiacquero quelle di Lussingrande, ad eccezione della Scuola del SS. Sacramento. La soppressione andò in esecuzione nel 1811. Fu un grave colpo per la Chiesa parrocchiale, la quale era principalmente sostenuta dalla Fraterna di S, Antonio, e che ora si vide spogliata di tutti i suoi redditi. Quando nel 1813 l'isola ritornò sotto il dominio austriaco, il Parroco reclamò la restituzione di quei beni; ma appena nel 1839, in seguito ad un ricorso diretto al Monarca, la Chiesa'potè ottenere la restituzione della facoltà della Fraterna di S. Antonio e della Scuola del suffragio, in quell'importo in cui ritrovavasi nel 1827.

In tempi sì calamitosi ebbero il loro principio due istituzioni di sommo vantaggio per la popolazione, cioè la scuola pubblica elementare e l'istituzione di una pubblica beneficenza.

Le prime tracce di pubblica istruzione trovansi nel secolo passato. Sono ricordati alcuni sacerdoti che s'occuparono con tutto zelo per molti anni ad istruire la gioventù: fra questi Don Girolamo Botterini, che dava istruzione ai chierici, ed eletto poi pievano continuò in questo magistero; D. Giovanni Melada, che tenea scuola nella casa del Comune, ammaestrando indistintamente chierici e laici; e più di tutti D. Giovanni Lazzarich, dottore in teologia, che sino al termine della sua lunga vita s'occupò dell'istruzione. V'era pure una maestra, Santa Maracich, che impartiva l'istruzione primaria alle fanciulle e le ammaestrava nei lavori femminili.

Ma una vera scuola elementare accessibile a tutti fu istituita [62] soltanto nel presente secolo. Il Vescovo d'Ossero Raccamarich, che prediligeva Lussingrande e venne poi a soggiornarvi, postosi nel 1803 d'accordo con questo Clero e con molti cittadini, s'adoperò con tutto zelo per raccogliere mediante oblazioni un capitale necessario a stipendiare i maestri ed a sopperire alle altre spese. Egli contribuì a questo scopo 600 lire, destinando inoltre a benefizio del fondo tutti gli importi che si ritrarrebbero dalle dispense matrimoniali. Il Clero e la popolazione assecondavano le zelanti premure del Vescovo, ed in breve tempo si raccolse la somma di oltre 2000 fiorini. Fu elaborato uno statuto organico, che fissava le materie d'istruzione e le discipline scolastiche; furono nominati i Direttori dell'Amministrazione in numero di cinque, col loro Preside D. Giovanni Dr. Lazzarich; lo statuto ottenne l'approvazione del Governo provinciale e nel 1804 la scuola fu aperta col maestro D. Gregorio Bonicelli, a cui s'aggiunse più tardi D. Marco Ragusin (sostituito alcun tempo dopo da D. Tommaso Stuparich). La scuola era accessibile a tutti i fanciulli, per quelli di Lussingrande gratuitamente, per i forestieri verso il pagamento d'annue lire 6 nonché di lire 8 all'entrata. Ma il reddito dei capitali non era sufficiente a coprire le spese; ed essendosi perciò implorato un sussidio dal Governo, si ebbe anche la speranza che verrebbe accordato (19 Febbraio 1805); senonchè avvenuto poco appresso il cambiamento di governo non si potè conseguir nulla, e si dovette negli anni seguenti intaccare il capitale per poter andare avanti. Ad onta di ciò la scuola si sostenne sino al ritorno della dominazione austriaca, e quando nel 1818 per cura del Governo fu qui aperta una pubblica scuola elementare, il capitale ancora esistente andò a benefizio del fondo scolastico.

L'istituzione di una Pubblica Beneficenza ha principio nel 1808, nel qual anno in esecuzione ad ordini superiori il Podestà ordinò che nella Chiesa ed in altri luoghi pubblici vi fosse una cassetta per l'elemosina; che la cassetta della Chiesa dovesse portarsi in giro durante le funzioni e dopo la predica, durante la quale l'oratore dovea raccomandare l'elemosina al pubblico; che nelle vigilie delle principali solennità una commissione di ciò incaricata si portasse in giro per la città a raccogliere oblazioni; che si aprisse una sottoscrizione per contributi mensili; che il notaio nella stipulazione di un testamento faccomandasse al testatore di far qualche lascito a favore della Pubblica Beneficenza; [63] che infine fosse una volta all'anno esposto l'elenco di tutti i legati pii. A membri piovvisorii della Direzione furono nominati Giovanni R. Pizzetti e Antonio M. Budinich.

Un'altra opera di grande utilità fu la nuova strada fra i due paesi, eseguita negli anni 1812 e 1813 per ordine del governo, sotto la sorveglianza di due deputazioni di Lussingiande e di Lussinpiccolo.

Nel tempo dell'occupazione francese la Chiesa parrocchiale acquistò nuovo lustro e decoro. L'attuale sontuosità del sacro Tempio è dovuta alla munificenza di un benemerito cittadino, il Cap. Gasparo Craglietto, il quale nel 1807 acquistò a Venezia cinque altari della soppressa Chiesa di S. Croce nella Giudecca, fece eseguire da riputati pittori i quadri pei medesimi, e precisamente da Francesco Hayez milanese un quadro rappresentante l'adorazione dei Re Magi, da Lattanzio Querena quello di S. Giovanni Battista, da Francesco Potenza il quadro della Madonna del Carmine, da Liberal Cozza quello di S. Gregorio, da Francesco Musolo 14 quadri rappresentanti la Via Crucis; acquistò inoltre una statua di marmo della Madonna, lavoro pregiabilissimo d'ignoto autore, una Madonna Addolorata del Tiziano, un S. Francesco d'Assisi dello Strozzi ed infine un quadro del Vivarini rappresentante la B. V. con parecchi santi, quadro non meno pregiabile pel suo merito artistico, che per la sua antichità (1475) e per le allusioni storiche. Al medesimo Craglietto sono pure dovuti otto quadri ovali del Tiepolo, rappresentanti fatti della Scrittura, e che trovansi ora nella Chiesa della Madonna. Messi a posto i nuovi altari, la Chiesa fu solennemente benedetta nel 1809 dal Vescovo Raccamarich.

Nel settembre del 1813, col ritorno dell'isola sotto il dominio austriaco, Lussingrande dopo sì lungo periodo di agitazioni e di calamità potè godere finalmente i benefizi! della pace. Venne subito istituito un Magistrato provvisorio, ed il Cap. Simone Budinich, che durante l'occupazione francese avea costantemente rifiutato di assumere qualunque ufficio, ne fu nominato Preside; venendo intanto mantenute in carica, per volere del Governo, tutte le persone che coprivano un uffìzio, ad eccezione di quelle che fossero ingrate alla popolazione, o avessero demeritato del governo austriaco. 11 Budinich fu però bentosto costretto dall'età sua avanzata e dallo stato cagionevole di sua salute a chiedere la sua dimissione, accolta [64] finalmente nel Giugno 1614, venendo nominato in suo luogo il Cap. Giovanni B. Petrina. Nel Febbraio 1815, organizzata nel frattempo l'amministrazione governativa, fu nominato a Podestà Francesco Craglietto.

Quale fosse lo stato lagrimevole nel quale, in conseguenza delle calamità piombate su questo paese, versava allora la popolazione, si può desumerlo dal memoriale che l'amministrazione comunale fece presentare all'Imperatore Francesco 1° nel Dicembre del 1815, e che enumerava gli aggravii insopportabili cui erano soggetti questi comunisti. Alla persona (Antonio Fedrigo) incaricata della presentazione del memoriale e di esporre lo stato miserabile della popolazione, il buon Monarca rispose: "Ah! questo non si "deve pagare; non si può pagare tante cose; so che furono assai disgraziati;" e conchiuse col dire: "Sarà rimediato a tutto".

Non è mio compito di enumerare le provvide disposizioni prese in seguito dal Governo per il bene di questa popolazione, essendomi proposto di chiudere questi cenni storici col 1815; e chiudo colla lusinga di avere con questa compilazione corrisposto ad un desiderio a me ripetutamente esternato, di vedere ordinate e conservate le patrie antiche memorie a comune soddisfazione.


Note:

  1. Così le patrie tradizioni. Qui però può esservi uno scambio di nomi; e le piraterie devono forse attribuirsi ai Serbi, e precisamente ai Narentani, famosi per le loto depredazioni nell'Adriatico.
  2. Qui (missi totius villae de Lussino) humiliter supplicaverunt dictis Dominis, quod descendent eis ad Bolutioncm nnius Ducati, quam ipsi solvebant Comunitati Auzeri annuatim pro custodia, qui dìcebant quod primitius ipsi solvebant Comunitati Auxeri solidos 32 pro custodia, et post modicum tenipus ascenderant ad medium Ducatum vid, ad solutionem 40, et postea veneruut ad unum Dacatum auri: quod eis videbatur et erat impossibile et nimis grave ut solverent quolibet anno Ducatum unum pro custodia etc. Ordiuaverunt atqne sic decreverunt perpetuo tempore. Quod illi omnes qui habitant in Lossino et aliis scopulis spectantibus ad Civitatem Auxeri, qui solvebant annuatim unum Ducatum auri Comunitati Auxeri pro custodia, non ttneantar nec debeant jam in antea solvere Ducatum unum pro custodia annuatim nisi bisantum unum vid. solidos 45 pro custodia.
  3. Ancora verso il terminare dello scorso secolo sostenevasi dalla Comunità d'Ossero questo diritto, e trovo fra gli atti che nel 1776 un certo Antonio Staparich domandò ed ottenne l'investitura di un fondo comunale presso la Torre, per metterlo in coltura. È appunto durante la lite fra Lussignani ed Osserini che la Comunità, vedendo, per la energica opposizione dei Lussignani, periclitanti i suoi più vitali interessi, s'attacca con istraordinaria tenacità agli antichi suoi diritti.
  4. Lo scavo dol secondo pozzo fa fatto nel 1760 dietro gli studii e sotto la dilesione di un forestiere, e somministra copia sufficiente di acqua sempre potabile.
  5. Osserva il Botterini che di ciò non potè rinvenire lumi maggiori dalla Episcopale Cancelleria d'Ossero, stan teche la medesima (come dicesi) fa saccheggiata ed abbruciata dai pirati Uscocchi e Narentani, comuni nemici di quei tempi; e che il primo volume incomincia dall'anno 1514 sotto il Vescovo Hons. Antonio da Capo.
  6. La decima venne abolita dal governo francese nel 1811.
  7. Assemblee del popolo.
  8. Col nome di pozupi vengono talora indicati negli antichi documenti i giù-dici e di Cberso e d'Ossero; più tardi si denotavano con esso gli amministratori dei beni delle Chiese. È il nome di una carica giudiziaria all'epoca del dominio croato in Dalmazia.
  9. Auctoritate nostra ordinaria praefatis Confraternitati et hominibus Ius patronatus ac praesentandi et eligendi personam idonsam ad ipsam Ecclesiam sive Scholam a sui primaeva erectione vacantem, et dum et toties quoties pro tempore vacaverit, per Nos et Successores Auxerenses Episcopos pro tempore existentes, in illa instituendam, et quae inibi Missas et alia divina officia celebret, reservamus, concedimus et assignamus.
  10. Però in un libro intitolato: "Stampa del Rev. Parroco di Lussingrande" e che contiene gli atti della lite corsa tra il Parroco D. Giovanni Petrina ed i Cappellani, trovo quanto segue:
    Libro primo de Battesimi. Dall'anno 1547, 22 Febraro sino all'anno 1572 si contengono battesimi: Di D. Simon
    Hrapnlich, il quale li 22 Ottobre 1568 s'intitola Piovano:..........45
  11. Noto per incidenza come in quel tempo si costumasse anche chiamare l'una Villa grande, l'altra Villa piccola di Lussino.
  12. Al Gindice per antica consuetudine erano riservate le regalie delle lingue di tatti gli animali che venivano ammazzati e posti in vendita, verso un modico pagamento. Marco Loredan Conte e Capitano di Cherso ordinò nel 1745 che non si derogasse da questa consuetudine.
  13. Fecondo il Botterini contribuì poro alla fondazione mi suo antenato, Michele Botterìni.
  14. Benussi. "Manuale di Geogiafia, Storia e Statistica del Litorale".
  15. Il cancelliere, gli avvocati e gli altri ministri aveano col tempo introdotto l'abuso di farsi pagare il doppio di quanto era stabilito dalle tariffe per gli atti che venivano annotati nel tempo della visita. Giambattista Corner Conte di Cherso vietò nel 1772 severamente questo arbitrio, e il suo decreto fu confermato dal Senato veneto.
  16. Una petisza equivaleva a 30 soldi.
  17. Viene citato il fatto che due anni prima era stato trovato un ladro col farto in mano, e che avendo il Giudice informato di ciò l'Autorità di Cherso, gli era stato risposto, che se egli ed i vecchiardi lo voleano mantenere del proprio, lo facessero condurre colà nella prigione.
  18. Nel 1798 la Cesarea Regia Superiorità di Cherso richiamò in attività l'istituzione dei Giustizieri, incaricandoli a vigilare sui pesi e misure, ad impedire qualunque vendita clandestina, e vietando sbe venissero incettati commestibili di provenienza forestiera, i quali almeno per tre giorni consecativi doveano vendersi al minuto. Anche sotto il Governo francese e poi di nuovo sotto il dominio austriaco vennero mantenute in vigor« queste disposizioni.
  19. Malure consideratis supplicationibus Nobis nuper factis a Vener. Clero et Honor. Iudico Lussini Maioris nostrae Dioco, nomine et totius Comunis, quae continebant, quod attenta parrochianorum numerositate ac multitudine, eorumdemque devotione, praecipue vero propensione erga Ecclesiarum cultum, dignaremur erigere in Plebaniam Ecclesiam S. Antonii Abbatis, quae maior existit in dicta Terra, et in qua exercetur cura animarum; nec non permitttere modernum Parrochum Rever. Mathiam Boxichevich quod possit uti ac frui titulo Plebani, ac ejusdem Successores in praedicta Plebania: Addebant quod dictae Parrocchiali Ecclesiae S. Antonii inserviunt tres alii Sacerdotes uti Capellani etc. Insuper quod in eadem Ecclesia quadragesimali tempore concio ad popolana ejusdem samptibus quotidie habetur etc. Propterea stantibus praemissis, auctoritate uostra ordinaria Ecclesiam sopradictam S. Antonii Abb. Terrae Lossini Majoris praesentibus nostris in Plebaniam erigimus et Plebanum esse decernimus, et declaramus, et Rev. Parrochum Mathiam Boxichevich Plebanium nominamus, et ab omnibus nominari decernimus, sicuti et ejusdem successores io praedicta Plebania.
  20. È chiamato propriamente D. Nicolò Marcovich, altrimenti detto Melada.
  21. Ai tempi del cronista v'era, com'egli racconta, nella valle Giacovagl una cava di marmo rosso sanguigno con varie macchie, ed in altri siti dei corsi di marmi neri con macchie bianche. Si rinvennero pure dei marmi rossi in ana vigna appartenente alla Fraterna di S. Antonio, e se ne fecero dne altari nella Chiesa di S. Nicolò.
  22. Il Bonicelli fa risalire ad epoca molto antica, cioè quasi all'origine del paese, la istitazione di qaesta Scaola; ma il nostro cronista asserisce positivamente essere stata fondata nel 1727, e ciò mi sembra più credibile, dovendosi attribuire la saa istituzione al prosperare della navigazione.
  23. Dai prospetti presentati dal Giudice di pace alla Superiorità di Cherso rilevo che nel 1803 e 1804 v'erano 24 bastimenti a lungo corso, cioè 5 navi, 1 goletta, 18 brigantini, con portate da 350 a 127 tonnellate. Di questi, 14 erano proprietà totale o parziale di armatori di Lussingrande. In sul finire del 1804 erano 26 bastimenti a lungo corso, ira i quali 9 navi, 17 brigantini, con portate da 400 a 120 tonnellate.
  24. Ecco la deposizione giurata del Botterini:

    "Fui introdotto nel Bagno alla "visita de' suddetti Padre e Figliuolo e Nipote Petrina, schiavi, li viddi con le catene in pessimo stato, più morti che vivi, parlai con essi confortandoli in quelle compassionevoli miserie; vi ritornai ancora pochi giorni dopo a visitargli, egli osserva "sempre più afflitti in quei tormenti, replicai la terza visita, in cui trovai ch'era "morto il sud.to Lorenzo, e nella quarta visita trovai morto il sud.to Capitan Agostino, frequentai poi le visite a Melchiore fig.lo, et nell'ultima visita in di lui vita, che fu circa un mese e mezzo dopo la morte de' sud.i, detto Melchiore mi domandò istantemente che li portassi un Officio della B. V., e così lo providdi, et glielo portai, fa in giorno di Domenica, e lo viddi morto che era spirato il giorno di Sabbato antecedente".

  25. "Tutti assieme fra catene fossimo condotti nel Bagno di Costantinopoli, ove tormentati dalla fame e dalle battiture, ma sempre costanti nella fede vi morirono c.a il mese di Novembre 1693 li suddetti Capitan Agostin, Lorenzo suo nipote, et dopo un mese incirca vi morì nelli miei bracci Melchiore suo fig.lo".
  26. Ne parlarono il Foglietta di Livorno in data 13 Ottobre e il Foglietto di Mantova del 23 Ottobre di quell'anno.
  27. Conservasi un sonetto pubblicato da alenai suoi amici veneziani in occasione della sua elezione a Procuratore delle tre Comunità di Ossero, Cherso e Veglia nel 1788; ma non mi fu possibile rilevare a che si riferisca.
  28. Traggo questa relazione da un promemoria autentico di quel tempo e io parte dalle lettere scritte da Pietro Budinich a suo fratello Simone. Essa differisce alquanto dalla relazione del Botterini, della quale bì servi il Nicolich.
  29. Nel secolo attuale e precisamente nel 1834 il Cap. Pietro G. Leva col brigantino "Ferdinando re d'Ungheria" costruito a Trieste intraprese un viaggio ai paesi occidentali dell'America del Sad, e fa di ritorno da Valparaiso a Trieste il 6 Novembre di quell'anno dopo 125 giorni di viaggio. Questo fa il primo bastimento mercantile austriaco che girasse il Capo Horn; perciò il Cap. Leva fu in quella occasione insignito dall'Imperatore Ferdinando della grande medaglia d'oro del merito civile con nastro; onorificenza assai rara e tanto più apprezzata. In altri viaggi posteriori il Cap. Leva si spinse sino a Lima, studiandosi cosi congeneroso ardimento e non lievi sacriflzii di iniziare una vicendevole attività commerciale in quella parte del nuovo mondo.

    Il Cap. Antonio G. Bussanich col bark austriaco "Joachim" di proprietà del Cav. Caliman Minervi di Trieste, partì nel 1848 da Trieste con carico generale, completato poi a Livorno, e si diresse per Bombay, ove approdato vendè vantaggiosamente tutte le merci, e ricaricato il suo bastimento, approdò dopo un viaggio felice di 100 giorni a Malta, donde proseguì per Trieste. Egli fu il primo capitano con bandiera austriaca che passò il Capo di Buona Speranza, e gli fu perciò conferita la media medaglia d'ero del merito civile con nastro. Anche le Camere assicuratrici onorarono di un dono il bravo capitano.

  30. La antiga consuetudine de la Colta chiamata Gallina volemo etiam da mo avanti doverse obaervar, ordenando, che alcun Filuol maridado per fintanto chel starà co lo Pare, over Mare, et etiam fina un anno compido da po chel se partirà dal Pare, over Mare, non debbia pagar Colta Gallina, non intendendo però di FiIuoli de fameia i quali habìta co lo Pare, over Mare, che hanno, e cognosse alcuni beni paterni o materni. I quali volemo in questo caso dover pagar la dita Colta ecc. - Statuto Municipale a stampa, a c.to 84.

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Created: Tuesday, April 21, 2009; Last updated: Monday May 02, 2022
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