come la descrivono, Sul finire del XVII
secolo, il valvasor e nell'ottocento lo storico fiumano Giovanni Kobler
Laurana, terra di allori e di castagne
da
Giacomo Scotti
Nel libro secondo dell’opera Die Ehre
des Herzogtums Crain del barone Johannes Weikhard [Valvasor]
(1641-1963) edita a Lubiana nel 1689, si legge dell’Istria e della
Liburnia. “L’Istria e le località che le appartengono e che nella
parlata comune di quel paese che si chiama regione Istriana o di
Pisino” – scrive l’autore riferendosi
evidentemente alla parte della penisola istriana che apparteneva
all’Austria, e cioè alla Contea di
Pisino – “comprendono le città che
andiamo ora a indicare: Bersezio,
Gallignana,
Castua, Lovrana,
Pisino, Pedena, Antignana.” Più avanti
vengono aggiunti castelli e località minori: Vermo,
Bogliuno,
Chersano, Corridico, Lindaro,
Moschienizze, Passo,
Sumberg, Villa Treviso, Veprinaz
(Apriano), Volosca e Gimino. Seguono ancora località sedi di parrocchie
e/o conventi, fra cui
Bersezio,
Chersano e di nuovo Lovrana.
In più punti
Valvasor si sofferma
a parlare del monte che sovrasta la costiera che va da Volosca a Lovrana
(Laurana). In un punto scrive: “Il monte Uchka viene detto in italiano
Monte Maggiore e dagli storici Mons Caldiera. È una montagna alta e
immensa, e tutta rocciosa. E tuttavia vi sono anche diversi boschi”. Uno
dei quali, detto Bosco di Monte
Maggiore, “si trova sul medesimo monte e confina con le alture
veneziane di Fianona”. A proposito di flora, l’autore ricordava che “in
molti punti (il
Monte Maggiore) è ricoperto
di faggi e in altri di
castagne”. Inoltre, “su questo monte si trovano erbe medicinali di
ogni genere che hanno un potere (curativo) e una forza molto superiore a
quella delle stesse erbe che crescono altrove. Ai piedi di questa
montagna crescono viti ed alberi di olivo, e cresce ogni specie di altri
alberi da frutto”. Dallo stesso monte – si legge in altre parti del
libro - scende un fiumicello la cui sorgente fiotta nei pressi della
vetta e “muove uno dopo l’altro dieci
mulini”.
Se nella terra di Canaan, stando all’Antico
Testamento, scorrono latte e miele, ricordava
Valvasor, “per
l’Istria e la Liburnia si potrebbe affermare che ci scorrono
olio e
vino”.
Pane, vino, formaggio e burro per i
battesimi
Per quanto riguarda in particolare la
Liburnia all’ombra del Monte
Maggiore, i vigneti erano numerosi, scriveva, soprattutto a
Bersezio, intorno a Moschienizze ed a Veprinaz, località che
l’autore passerà a descrivere una per una in un capitolo a sé stante,
dopo aver informato i lettori degli usi, costumi e tradizioni popolari
degli istriani liturgici. Così c’informa che a Moschienizze e dintorni,
otto giorni dopo il battesimo di un neonato, il padrino o la madrina
portava a casa del bambino
pane,
vino, formaggio,
burro o grasso,
peschi ed altro, sicché tutti facevano gran festa, mangiando i cibi
donati e bevendo il buon vino rosso della zona. “E non si accomiatavano
prima che tutti avessero mangiato a sazietà e bevuto in abbondanza”.
Vengono poi descritte le tradizioni che accompagnavano l’intera vita
dell’uomo, fino alla morte: dalle danze alla cura delle malattie, fino
ai canti lugubri per i morti ed i funerali, che obbligatoriamente si
concludevano con altre bevute e scorpacciate con le quali i parenti in
lutto insieme a parenti, amici e conoscenti si consolavano del dolore
subito.
Lo speciale capitolo dedicato alla riviera
liburnica, e precisamente alle città, terre, castelli e conventi,
comprende Volosca, San Giacomo (l’odierna Abbazia), Veprinaz, Laurana,
Moschienizze e Bersezio. La descrizione
di Laurana così comincia:
Protetta
da Santa Maria Maddalena
“La città di Lovran, il lingua
carniolina detta pure Lovrana, una volta chiamata Laura, giace in
Liburnia, ma ora si calcola in Istria. Dalla capitale Lubiana dista
tredici miglia, dalla città di Castua
due miglia di strada. “Deriva il
suo nome dai lauri o allori che un tempo frequentemente spuntavano dal
terreno in questa regione”.
“Questa città giace sul mare Adriatico,
ovvero nel cosiddetto Golfo Flanatico, ai piedi del grande, alto e
famoso Monte Maggiore ossia
Monte Caldiera”.
Sul finire del XVII secolo, all’epoca di
Valvasor, Lovrana o
Laurana non era “particolarmente grande”, tuttavia, godeva del
“beneficio di Santa Maria Maddalena” e in città risiedevano “anche
alcuni canonici” che di quel beneficio si avvantagiavano. Inoltre nella
cittadina aveva la sua “bella casa” il principe Auersperg, signore di
una lunga serie di castelli nella Contea di
Pisino. Il suo palazzo sorgeva in una
posizione “dalla quale godeva una vista meravigliosa sul mare” e
l’occhio poteva spaziare sulla regione circostante, abbracciando “Fiume,
Portoré, Buccarizza e diverse altre località adagiate sulla costa del
mare. Si vedono pure belle isole quali sono l’isola di Veglia o Krk,
Cherso ed altre”.
Nella descrizione di
Valvasor, Lovrana
“vanta anche un piccolo porto nel quale possono attraccare piccole
navi”. Si tratta del mandracchio. All’epoca i lauranesi facevano “un
gran commercio di tele” che trasportavano “via mare in paesi lontani”.
Oltre che mercanti, “essi sono anche bravi marinai, per cui sono simili
ai loro antichi predecessori liburnici, a proposito del quali gli
antichi storici romani annotarono che l’imperatore Augusto privò i
Liburni della costa delle loro navi, perché infestavano il mare e
molestavano i naviganti impedendo a tutti di navigare da queste parti.
Della cosa, in quest’opera, si dirà di più in un altro capitolo”.
Riprendendo la descrizione di Lovrana,
Valvasor scrisse:
“Fuori le mura, intorno alla città, non ci sono pianure, ma solo colline
di solida roccia. Questa carenza viene colmata dai tanti vigneti e dalla
moltitudine di olivi e di altri alberi da frutto che qui crescono
insolitamente fecondi. Qui si distinguono particolarmente gli alti e
grossi castagni (i cui frutti sono) detti maroni che vengono spediti in
diversi paesi. Per quanto riguarda
i cereali, quali sono il grano, l’orzo e simili, non ce ne sono proprio
in questa regione, ma il loro trasporto via mare colma questa lacuna,
perché il suolo completamente pietroso non permette al seme di
germinare”.
Segue un’annotazione storica: nel 1305 la
città di Lovrana apparteneva al conte Alberto di Gorizia, mentre sul
finire del Settecento era sotto la giurisdizione della Contea di
Pisino, dipendeva pertanto dall’”eccellente signor Conte Francesco
Ferdinando di Auersperg”.
Quanti abitanti avesse Lovrana, quali
fossero i loro usi e costumi ed altro,
Valvasor non ce lo
dice. Da altre fonti sappiamo che la città murata si estendeva su un
piccolo promontorio, con case addossate le une alle altre nelle strette
calli, mentre fuori le mura erano sparse sui fianchi della collina
Gorizza che, cominciando subito dopo il nucleo storico, raggiunge il
punto più alto a 712 metri ed è già parte del Monte Maggiore. Fuori
delle mura, sulla terraferma, non c’erano strade, al di fuori dei
sentieri di
capre, che permettessero
di raggiungere facilmente le altre località della costa liburnica. Si
prendeva perciò la via del mare…
La
protettrice delle fonti
Nel primo volume delle
Memorie per la storia della liburnica città di Fiume (1896) di
Giovanni Kobler, leggiamo che la più antica notizia che abbiamo della
città di Lovrana è quella fornita nella sua Cosmografia dall’Anonimo
Ravennate che la scrisse nel VII secolo servendosi delle indicazioni del
goto Marcomiro del secolo precedente. Il Ravennate indica la località
col nome di Laurana inserendola fra le città marittime della Liburnia,
fra
Albona e Tarsatica (Fiume).
Dice il Kobler:
“Tracce di antichità romane in
Lovrana non se ne trovano” (né se ne sono trovate in seguito); “ma sul
sovrastante luogo Opriz vi sono dei ruderi e un pavimento a mosaico, che
possono essere di quel tempo, ed il vicino porto di Ika, ove zampillano
sul mare sorgenti d’acqua dolce, può essere stato dedicato alla dea
giapidica Ika, che si legge aver avuto culto a
Fianona e in
Emona”.
Ika era protettrice delle fonti.
Ai Romani ci porta invece una leggenda
sull’origine stessa di Laurana. Dice che un patrizio e statista romano
venne da queste parti nel I secolo dopo Cristo e, nel posto in cui oggi
sorge la cittadina, fece costruire per sé un tusculum, la residenza
estiva.
Un carme latino scritto nell’anno 800, in
morte del duca Erico, accenna al Mons Laurentum che, dice Kobler,
“sembra essere il monte sovrastante a Laurana”. Per inciso, Erico di
Strassburgo fu trucidato dagli abitanti di Tarsatica nell’anno 779, per
cui Carlo Magno fece incendiare e distruggere quella città l’anno
successivo.
Il geografo e cartografo arabo
Abu Abdulah Muhamed El Edrisi, vissuto fra il 1099 e il 1166
circa, nato a Ceuta in Spagna, passato poi al servizio del re di Sicilia
Ruggero II e vissuto per lunghi anni a Palermo, portò a termine nel 1154
una geografia del mondo allora conosciuto per la quale pese quasi
trent’anni della sua vita. In quell’opera, conosciuta come “Libri del re
Ruggero”, con il titolo arabo di “Divertimento per coloro che desiderano
viaggiare per il mondo”, non poteva mancare l’Adriatico e, in esso,
l’Istria. Qui, sulla costa orientale, Edrisi mise pure Laurana,
definendola importante centro marittimo e commerciale.
Dal 1275 in poi Lovrana risulta appartenere
alla contea di Pisino. “Capo del comune
era il zupano – citiamo ancora il Kobler – come in altri comuni slavi
dell’Istria e del Carso”, ma la popolazione, etnia a parte, parlava la
medesima lingua in uso in tutta la Liburnia, in Istria e in Dalmazia
dalle parti marittime, un volgare detto dalmatico, derivante dal latino,
rispettivamente l’istroromanzo e l’istroveneto con piccole differenze da
un paese all’altro. Sulla riviera liburnica, da Fiume fino ai confini
del comune di Lovrana/Laurana che comunicavano con il territorio
dell’Istria veneta dal XIII secolo in poi, i lauranesi parlavano il
medesimo dialetto dei fiumani, con molte infiltrazioni di vocaboli
slavi.
Il primo documento della lingua croata
scritta, in caratteri glagolitici, risale a Laurana al 1595. Si tratta,
come ci dice il Kobler, di una lapide sepolcrale, “innestata nel muro
della casa Persich” sulla quale si legge: “1595 Gaspar Bekarić Plovan
Lovranski tu leži, e cioè: qui giace G.B. parroco di Lovrana.
Fra alcuni atti notarili “assunti in
Lovrana” dalò cancelliere municipale di Fiume dal 1436 al 1460, Kobler
cita una sentenza del 25 agosto 1438 pronunciata dal capitano Nicolò
Rainthaler, dai zupani Cekovich, Krizmanich, Lovriza e dai giudici Mato,
Serbich, Corosaz, Muzevich, Beliano e Kalcich, tutti seduti presso la
porta laterale, sotto l’albero; poi una “istituzione procuratoria” del
26 giugno 1442 assunta “davanti la porta marina della città” (ante
portam castri a mari) in presenza del parroco Giovanni, del zupano
Krizmanich (quello di prima) e del sacerdote Kuntich; infine un
documento simile al precedente del 19 novembre 1456 letto in presenza
del zupano Benko Bacich.
La
decima delle castagne
Nell’urbario della contea di
Pisino riveduto nell’anno 1498 – è sempre il Kobler a dircelo – si
accenna alla casa dominale di Lovrana abbandonata da molto tempo e priva
del tetto per cui ne era previsto l’imminente restauro; dal medesimo
documento si ricava che la città doveva prestare al dominio dodici staja
di avena all’anno, e che ciascuno – ad eccezione del parroco e dei
consiglieri comunali – aveva il dovere di contribuire con due staja di
castagne.
Nel 1578 l’urbario della contea fu
riformato ed il nuovo atto dava a Lovrana 160 sudditi; “dal che segue –
scrive Kobler – calcolando cinque persone per famiglia, che in tutto il
comune vi erano 800 abitanti”. Si legge pure che il Comune possedeva un
bosco sul Monte Maggiore, traendone sufficiente legname da fuoco e da
fabbrica gratuitamente sia per uso Comune stesso che per il commercio
(pagando una tassa); era inoltre proprietario di un boschetto detto
Labina di mezzo miglio di circonferenza, tutto di castagni. Passerà in
possesso della potente famiglia Terzy di Fiume verso la fine del XVII
secolo.
Altre informazioni su Lovrana vengono così
fornite dal Kobler:
“Una cronaca di
Bogliuno
riporta che Lovrana fu saccheggiata dai Veneti nel 1599 e incendiata nel
1614. Erano zupani: nel 1545 Andrea
Franulich, nel 1649 Berna Franul; Parrochi (sic!): nel 1649 Matteo
Chamsa e nel 1763 Antonio Mihalich.
Fra i capitoli ecclesiastici dell’Istria,
che da tempo antico sino al cadere del secolo XVIII dipendevano
dall’arcidiacono di Fiume, vi fu anche quello di Lovrana. Quando
incominciasse questa dipendenza, non consta; ma la prima menzione si
trova in un documento del 1438, inserito nel prefato libro del
cancelliere di Fiume.
Nell’anno 1701 Giuseppe Bottari, vescovo di
Pola, era a Lovrana in visita canonica. Il relativo documento porta che
vi era parroco Matteo Chamsa, e canonici: Marino Franul, Francesco
Franul, Andrea Persich e l’abate Chamsa con altri quattro sacerdoti, e
che la parrocchia aveva 2900 anime.
Nell’anno 1774 vi erano: Nicolò Persich
arciprete e parroco, Antonio Cercich, Giovanni Orbanich ed Antonio
Ružich canonici, un posto di canonico vacante, inoltre Giorgio Benulich
cappellano, Michele Franul e Giuseppe Persich sacerdoti. Il capitolo fu
abolito nel 1843”.
Verso la metà dell’Ottocento Lovrana
rientrava nel capitanato distrettuale di Volosca, ed era un Comune con
una superficie di 4859 jugeri e una popolazione di 2749 anime così
distribuite: 657 nella città di Laurana, 627 nella frazione di San
Francesco, 836 a Opriz e 629 a Tuliseviza. Ma già nel 1875, stando
all’almanacco istriano di quell’anno, il Comune era stato unito con
quelli di Moschenizze e Bersez, con a capo un podestà e sette
consiglieri. Nel 1895 Moschenizze e Bersez furono nuovamente separate.
Secondo il prospetto della diocesi di
Trieste per l’anno 1881, la parrocchia di Lovrana, definita di “origine
antichissima”, contava 3.396 anime, la chiesa principale era quella di
oggi, San Giorgio Martire, e le sue filiali erano sei: San Giovanni
Battista, SS. Trinità, S. Michele, S. Francesco, S. Antonio e S. Nicolò
vescovo. La chiesa di San Giorgio viene menzionata anche dal
Valvasor, che però
indica ben dodici chiese filiali: oltre a quelle già indicate, esse
erano S. Maria Assunta, S. Maria Maddalena, S. Sebastiano, S. Martino,
Santa Marina e Santa Croce. All’epoca del
Valvasor nella
chiesa parrocchiale si venerava un’icona della Madonna antica di quattro
secoli. Annualmente vi venivano battezzati circa 37 neonati, mentre i
riti per i morti erano mediamente venti. Il parroco dell’epoca era
Tomaso Chamsa, i canonici erano Giacomo Chamsa, Martino Franul, Martino
Zveban e Antonio Persich. Le altre famiglie Persich, Franul e Chamsa
vantavano una lunga tradizione in fatto di preti.
La fiera di Poklon
Il Comune di Lovrana ai tempi di
Valvasor, stando
però al Kobler, corrispondeva all’estensione del dominio territoriale e
confinava ad oriente col mare, a settentrione con il comune di Veprinaz,
a mezzodì con quello di Moschenizze, ad occidente col comune di Vrana
presso la cappella di San Pietro in Poklon. Quella cappella stava al
triangolo di confine per cui ogni anno in quella località “concorrevano
a fiera i tre comuni di Lovrana, Veprinaz e Vragna, quasi in
riconoscimento del Confine”. Gli ultimi due rientravano nel dominio
territoriale di Castua.
“Entro questi confini di Lovrana, scrive
Kobler, “non vi era nessun castello, tranne quello di Knezgrad, le cui
rovine tuttora si vedono sull’altura verso la metà del Monte Maggiore,
sulle tracce di un’antica strada che forse da
Castua
conduceva per Veprinaz e Pogliane all’altura di Moschenizze, e di qui a
Fianona; indi si può congetturare, che quel castello era il centro del
dominio territoriale nel medio evo. Knez significa conte, signore, e
grad castello”.
Verso la fine del XIX secolo
Lovrana/Laurana cominciò a svilupparsi quale centro di turismo invernale
grazie alla sua felicissima posizione, con Monte Maggiore alle spalle la
cui giogaia ripara la cittadina dai freddi venti invernali, ed al mare
davanti. Le ville, gli alberghi e le case di riposo sorsero in mezzo a
una rigogliosa vegetazione mediterranea.
Le date salienti dello sviluppo della
cittadina, strettamente connesso a quello di Abbazia, sono: la
costruzione della camionabile che dal 1843 collega Laurana a Fiume;
l’inaugurazione di una linea regolare di piroscafi Fiume – Volosca –
Abbazia – Laurana avvenuta il 2 novembre 1884; la costruzione del
Lungomare da Volosca a Laurana, cominciata nel 1884. Una curiosità per
concludere queste note: sopra la sella di Poklon (termine derivante da
inchino in croato “poklon” i pellegrini che salivano fino all’antica
cappella qui s’inchinavano al Signore della montagna) nel 1887 fu
costruito il primo rifugio alpino sul Monte Maggiore.
Tratto da:
-
La Voce del Popolo, 18 Ottobre, Speciale
http://edit.hr/lavoce/2008/081018/reportage.htm
|