Due millenni di storia dalla costruzione ai tentativi di smantellamento

L’Arena di Pola tra miti e leggende

In un servizio di qualche tempo fa abbiamo pubblicato del brutale scempio, massacro, macello avvenuto nel 1984, trapani in azione diretta su pietra costituente, addirittura, le fondamenta del più importante monumento romano di Pola, un’autentica catastrofe con attrezzature idriche, elettriche, piastrellamento e quant’altro! Tutto per poter dotare l’Arena di vari impianti, tipo disco, bar, pizzerie, gabinetti, una cosiddetta “rivitalizzazione” ai fini del solito sventato turismo sulla quale ancora oggi vergognosamente si tace. Ma non di questo vogliamo oggi parlare, ma in un certo modo tornare... alle origini del colosso polese.

Un omaggio ad Antonia Cenide

Infatti, a una importante costruzione come quella non potevano mancare delle leggende imbastite dal popolo durante i secoli come per esempio quella, in parte supportata dalle notizie storiche, che venisse fatta costruire tra il 79 e l’81 della nostra era dall’imperatore Vespasiano – sissignori, quello dei gabinetti pubblici! – per farne solenne omaggio alla sua bella e superba concubina polese Antonia Cenide alla quale, per fare un dispetto e un dileggio alle invidiose matrone romane, non bastavano i due grandi teatri di monte Zaro e del Castel, ma desiderava qualcosa di più maestoso, di più virile, un anfiteatro che sfidasse i secoli e allo stesso tempo una scena per potersi mettere bene in mostra circondata dalle sue schiave durante i numerosi giochi in cui, forza e sorte, decidevano della vita e della morte di moltissimi gladiatori che, dalle caserme, arrivavano fino qui attraverso i sotterranei e naturalmente a lei s’inchinavano forse anche per poterne avere degli immediati benefici durante le votazioni del pubblico con il pollice all’insù o all’ingiù.

Le fate istriane

Un’altra leggenda, forse ancora molto più popolare – infatti, dagli anziani polesani viene raccontata ancor oggi –, è quella che Vittorio Furlani ha raccolto nel suo libro del 1920 “Venezia Giulia”, un almanacco per ragazzi della casa editrice Bemporad. Dice questa leggenda che le fate istriane un bel giorno ricevettero dall’imperatore romano Vespasiano l’ordine di fabbricare l’Arena. Il grande lavoro doveva essere compiuto in una sola notte e per di più bisognava andare a prendere le pietre sulle lontane falde del Monte Maggiore. Le poveracce, piuttosto preoccupate, si consultarono subito spiacenti di non avere almeno qualche carro a loro disposizione, magari trainato da possenti boscarin! A questo proposito non c’era proprio niente da fare. Decisero, perciò, di raccogliere le pietre e di trasportarle, con enorme fatica, nei loro grembiuli. E fu così che in quella notte, per fortuna di luna piena, andarono e venirono infinite volte. Dato che erano veloci e leggere come le nuvole pur con un certo affanno presero a costruire gli innumerevoli archi quanto più armoniosamente possibile (le arcate libere sono 104 di cui 72 nel secondo ordine, mentre le finestre del cosiddetto attico sono ben 61).

Il canto del gallo

Ma il tempo urgeva, la notte stava per finire, la clessidra, il grande orologio a sabbia che l’imperatore aveva sistemato nei pressi, stava per annunciare l’alba. Le povere fate s’affrettarono perché c’era il pericolo che l’opera rimanesse incompiuta. Ed eccole tutte assieme correre per un’ultima volta sul Monte Maggiore: si caricarono delle pietre già preparate, le posero nei loro grembiuli, s’affrettarono rapide al ritorno. Sorvolarono il canale dell’Arsa, arrivarono sopra il paesetto di Passo, stavano per sorvolarlo ma ecco che un gallo dispettoso, certo per la voglia matta di passare in rassegna tutte le sue galline, cominciò a cantare a gola spiegata, insomma suonò la sveglia anzitempo: era arrivata l’alba! Cosa successe? I grembiuli delle fate si stracciarono, le pietre caddero a terra, ove rimasero, e molte si possono vedere ancor oggi al centro del paesino, disseminate sul piazzale davanti alla chiesa, perché dato il loro peso e le loro dimensioni nessuno le ha più rimosse. E l’Arena? Fu proprio per questo motivo che la grande costruzione – naturalmente secondo la popolare leggenda – rimase senza il... suo tetto e senza le vetrate sulle numerosissime finestre!

Il meglio conservato «mantello esterno»

A parte le leggende, la Rena, come la chiamano oggi tutti i polesani, sembra sia stata costruita tra gli anni 41 e 56 d. C. ed è, dei sei anfiteatri romani, forse il meglio conservato perché dispone ancora integro il suo, chiamiamolo, mantello esterno, ciò che non si può dire né per il più ampio Colosseo di Roma, né per l’Arena di Verona, e pare che sia la risultante – per la mirabile imponenza e leggerezza di forme – dell’ingrandimento di uno precedente, molto più piccolo, che era stato eretto nell’età augustea quando la colonia romana di Pola cominciò a ingrandirsi.

Ci sono vari esperti che hanno studiato l’intera costruzione. Se c’è chi la attribuisce all’impero di Claudio (fra il 41 e il 56 d.C. come già detto) altri affermano e confermano che se l’opera è stata iniziata durante l’impero di Vespasiano (morto nel 79), fu portata a termine durante il dominio di suo figlio Tito. Infatti, fra le antiche malte è stata trovata una moneta risalente ai tempi di Vespasiano, dunque la data dell’ampliamento del bell’anfiteatro, dovuto all’aumentata popolazione, è da sistemare esattamente tra gli anni 79 e 81 della nostra era.

Una costruzione imponente

Per quanto riguarda le sue misure c’è da dire che non è una vera ellisse, ma un ovale forse a cagione del terreno su cui è stata costruita, mentre le sue assi misurano rispettivamente 132,45 e 105,10 metri. L’altezza nel punto più elevato è di 32,45 metri, dunque si trova al sesto posto per dimensione tra tutti gli anfiteatri romani. Sui gradini della sua cavea, circa quaranta disposti in tre ordini e in una loggia di legno, potevano trovar posto fino a 25 mila spettatori (ridotti oggi a poco più di 5 mila). L’arena vera e propria, cioè il campo dei giochi coperto di sabbia, misura 67,95 metri per 41,65. La cinta è formata da blocchi calcarei provenienti non dal Monte Maggiore, come dice la leggenda, ma dalle cave di Vincural e di Val Saline. Poggia in parte sulla costa del monte per cui, verso il mare, conta tre ordini di archi mentre verso l’alto si riducono a due. C’è ancora da dire che sopra la gronda erano infisse delle lunghe travi che reggevano un cosiddetto velario formato da spicchi di tela e che c’erano inoltre quindici ingressi. Ci sono ancora da ricordare le quattro torri con una doppia serie di scale di legno, scale oggi ricostruite solo nella torre nord-ovest. Sopra queste torri c’erano due cisterne che alimentavano una fontana la quale oltre a far funzionare gli argani idraulici, talvolta faceva zampillare spruzzi d’acqua profumata. Sotto l’arena vera e propria era stata realizzata una grande fossa dalla quale, a mezzo di elevatori, si portavano all’esterno e le belve e le persone. Sotto le gradinate invece c’era tutta una serie di magazzini, di negozi e di sale da ritrovo.

Il martirio di San Germano

Per quanto riguarda gli spettacoli, in epoca romana si ebbero quelli tradizionali dei gladiatori – qui tra l’altro subì il martirio San Germano, poi finito sulla strada che portava alla vicina Nesazio – che durarono fino circa al quinto secolo della nostra era quando l’imperatore Onorio vietò i giochi sanguinari. Soltanto nel 681, però, venne definitivamente vietata la lotta con le fiere dei condannati a morte che di solito veniva subita da falsari, da parricidi, da vari assassini o da altri rivoltosi non cittadini romani. Infatti, in quell’anno la pena di morte venne mutata in ergastolo con lavori forzati nelle miniere.

Le severe disposizioni del patriarca di Aquileia

Fu appunto per la mancanza degli spettacoli che l’importanza dell’anfiteatro cominciò a piano a piano a decadere. Già nel quinto secolo iniziò un vero e proprio smantellamento, soprattutto delle opere in ferro, dei cancelli di bronzo ma soprattutto delle pietre delle gradinate che servivano alla costruzione di vari edifici. E fu appena nel XIII secolo che finalmente il patriarca di Aquileia, sotto la cui giurisdizione pervenne anche la città di Pola, emanò delle severissime disposizioni e fece pagare multe sostanziose – fino a 100 bisanti d’oro – per coloro che rubavano le pietre sia delle gradinate dell’Arena sia del teatro del Monte Zaro. Ed è certamente grazie a queste leggi che l’edificio rimase integro sino alla fine del XV secolo, cioè fino al periodo delle “fiere franche” che si tenevano annualmente al suo interno, nonché dei tornei cavallereschi, molti organizzati dai cavalieri di Malta.

Le peripezie sotto la Serenissima

Ai patriarchi di Aquileia succedette il dominio dei dogi della Serenissima. E fu proprio durante quel periodo che i pietroni delle varie gradinate vennero asportati e trasportati a Venezia e adoperati per le fondamenta dei suoi palazzi. Per fortuna da quella devastazione si salvò l’intera cinta esterna date le difficoltà relative allo smantellamento dai grandi massi.

Ma certo le peripezie dell’Arena non finirono qui. Infatti, nel 1583 il senatore veneziano Gabriele Emo riuscì a far accantonare una proposta del Senato di smantellare l’anfiteatro pezzo per pezzo per ricostruirlo a Venezia sul luogo dove attualmente si trovano i cosiddetti Giardini pubblici; poi qualche anno dopo si pensò di demolirla in parte e di farne una fortezza contro le eventuali invasioni turche; ancora qualcuno suggerì di adoperarne le pietre per costruire il forte sullo scoglio di Sant’Andrea e comunque l’ultimo prelievo di materiale venne effettuato attorno al 1700 per poter costruire le basi del campanile del Duomo.

I primi lavori di restauro

I primi lavori di restauro vennero iniziati nel 1750 dal noto capodistriano Gian Rinaldo Carli, lavori che vennero ripresi nel 1810 per ordine dell’allora governatore dell’Illiria, il maresciallo francese Marmont. Altri lavori vennero effettuati qualche anno dopo su incarico dell’imperatore Francesco I. E arriviamo così al secolo scorso quando nel 1932 l’Arena venne adattata a spettacoli operistici, a cerimonie militari e adunanze popolari copiando questi eventi da altre località italiane. Per questo motivo venne in parte ricostruita la gradinata interna, gradinata che appunto serve anche ai nostri giorni durante le numerose manifestazioni, sia musicali che popolari, delle nostre estati.

Naturalmente, oltre all’Arena, ci sarebbe ancora da ricordare i molti altri importantissimi monumenti di Pola come l’Arco dei Sergi, il Tempio di Augusto, le varie porte e i teatri, che fanno di questa città un “unicum” rilevante. Speriamo di farlo in altra data.

Tratto da:

  • © La Voce del Popolo, 30 aprile 2008 - https://www.edit.hr/lavoce/2008/080430/speciale.htm


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Created: Wednesay, November 24, 2010; Last updated:Tuesday April 27, 2021
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