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VI.
Conquista romana dell'Istria.
(1)
Duranti le guerre tra Roma e Cartagine, gli Illiri ed altri popoli delle
spiaggie orientali dell'Adriatico molestavano colle loro piraterie la ognor
crescente e ad essi pericolosa potenza [31] romana. Teuta regina degli
Illirî era stata vinta dai Romani (229 a.C).
Demetrio di Faro che scioltosi dalla dipendenza di Teuta, venne inalzato al
potere dai Romani, nell'anno 221 a.C. volle scuoterne il vassallaggio, ed
unitosi agl'Istriani corseggiava l'Adriatico predando le navi romane. Egli fu
vinto e cacciato dal regno, gl'Istriani repressi e costretti a ricoverarsi nei
loro porti. Più tardi (a. 190) avendo gl'Istriani dato ajuto agli Etoli greci
contro i Romani, questi, domati i secondi, rimisero a tempo opportuno di trarre
vendetta anche degl'Istriani loro alleati.
Domata dopo la lunga seconda guerra la formidabile emula Cartagine, cessò il
più forte ostacolo al dilatamento della potenza romana. Assoggettati i Veneti, e
conquistata la Gallia cisalpina, Roma non tardò a meditare la conquista dei
paesi di qua dell'Alpi Giulie abitati dai Carni, dai fieri Norici, Giapidi ed
Istriani, dai quali erano continuamente minacciati i loro possedimenti veneti.
Deliberarono quindi nell'anno 183 a.C. la fondazione d'una colonia di Soci
latini, che chiamarono
Aquileja, in prossimità dei Carni e degl'Istriani. Questi
ultimi ben comprendendo che la colonia sarebbe la base delle operazioni
guerresche contro di loro, per lungo tempo tentarono d'impedirne l'esecuzione.
Il console M. Claudio Marcello ebbe l'incarico (a. 183 a.C.) della deduzione
della colonia, il quale avendo esposto al Senato la necessità di domare dapprima
gl'inquieti Istriani, ottenne il permesso di muovere ad essi guerra. Entrò
diffatti coll'esercito nel loro paese; ma senza riuscire a debellarli
abbandono l'impresa, richiamato a Roma a presiedere all'elezione dei
nuovi Consoli per l'anno seguente.
Trovandosi occupati questi (L. Emilio Paolo e C. Bebìo Tamfilo) contro i
Liguri e nella Spagna, gl'Istriani nell'anno 182 a.C. per vendicare
l'invasione dell'anno precedente operata dal console M. Claudio, fecero
scorrerie su vari punti dell'Italia orientale, saccheggiandoli, specialmente le
coste dell'Apulia, di Brindisi e di Taranto, e con continui arditi assalti
molestavano i Romani intenti alla costruzione di
Aquileja, Ma il pretore G.
Fabio Buteone che aveva ottenuto il comando della Gallia cisalpina, per far
cessare queste scorrerie entrò [32]
nel 181 a.C. col suo esercito nell'Istria, e frenò
gl'Istriani. Appena allora la colonia potè venire coi soliti riti religiosi
inaugurata dai triumviri a ciò destinati, trasportandovi 3000 pedoni, e 240
cavalieri, coli'assegno a ciascun soldato a piedi di 50 jugeri romani di
terreno, e di 140 ad ogni cavaliere.
Due anni stettero tranquilli gl'Istriani; ma succeduto al
domato padre (di cui s'ignora il nome) il giovane e fiero
Epulo, questi per
rendersi affezionata la bellicosa gioventù mal sofferente di non poter
continuare la vita avventurosa delle scorrerie depredatrici, incominciò a fare
armamenti. Il console Aulo Manlio Valsone, cui era stata affidata la provincia
della Gallia cisalpina e trovavasi in
Aquileja, saputo il concentramento di
genti armate istriane ai confini, tenne consiglio dei capi del suo esercito per
deliberare sulle risoluzioni da prendersi. Fu deciso, che per l'imminenza del
pericolo, e senza informarne previamente il Senato di Roma, ed attendere che
ordinasse la guerra, siano incominciate le ostilità, e mosso l'esercito contro
gl'Istriani.
Partito il console da
Aquileja, egli si accampò dapprima al
lago del Timavo, poco discosto dal mare, e che per opinione del
Kandler sarebbe l'odierno lago di Jamiano o Doberdò. Nel porto del Timavo era infrattanto, per
ordine del console, giunto da Ravenna il Duumviro navale C. Furio colle dieci
navi destinate a difendere dai pirati la parte superiore dell'Adriatico. Di là continuò la marcia dei Romani sul territorio degli Istriani, ed
onde l'esercito di terra e di mare vicendevolmente s'appoggiassero, il
console ordinò al comandante delle forze navali, che con tutta la squadra e col
suo numeroso seguito di navi da trasporto cariche di abbondanti vettovaglie,
rasentando la spiaggia si recasse nel prossimo porto dell'Istria, mentre egli in
pari tempo s'avanzava coll'esercito a non lunga distanza dalla marina.
Quattro miglia al disopra del designato porto il console
Manlio fece sosta ed eresse l'accampamento, in cui collocò la Il legione, e da
cauto generale dispose all'intorno dei corpi staccati. La coorte piacentina (600
uomini), di recente arruolata, fu posta verso l'Istria, due manipoli (400
uomini) della seconda legione sotto il tribuno militare M. Ebuzio vennero
[33]
collocati l'esercito e la flotta, per mantenere le
comunicazioni e proteggere coloro die andavano a far acqua. Sulla via che
conduceva ad
Aquileja s'accampò la III legione, onde proteggere quelli che
erano incaricati di provvedere legna, e foraggiare i cavalli. Un miglio distante
da questa legione era l'accampamento di 3000 Galli (cisalpini) ausiliarî
dei Romani, comandati da Catmelo (o Carmelo) in luogo del loro principe (2).
Il console Manlio credevasi per tal modo assicurato da ogni
sorpresa nemica. Gl'Istriani che avevano senza dubbio rilevato quanto facevasi
in
Aquileja, e la mossa dell'esercito romano, gli si trovarono di fronte
inosservati, e celati dai colli, già al lago del Timavo, spiandone i movimenti.
Sia che non fossero ancora in numero bastante per impegnarsi in una campale
giornata, o non stimassero a ciò opportuno il terreno ed altre circostante —
quando il Console di là si mosse continuando la sua marcia, essi dì fianco
ritirandosi lo accompagnavano per tortuosi sentieri, senza che egli se ne
avvedesse, (?) sinchè, come fu esposto, il suo esercito s'accampò al disopra
del porto, in cui era entrata la squadra. Di fronte ai Romani anche gl'Istriani
s'accamparono con forti schiere, e spiando attentamente la posizione degli
eserciti di terra e di mare ed ogni loro movimento, aspettavano l'occasione propizia per eseguire qualche colpo di mano.
Le navi onerarie intanto avevano sbarcato le vettovaglie ed
altri oggetti occorrenti all'esercito di terra; gli speculatori che per proprio
conto s'erano aggiunti all'armata navale avevano pur messo a terra le loro
mercanzie; il porto era divenuto un mercato; sicchè tra il mare ed il campo
successe un vivo affacendarsi di persone, che su e giù si movevano
continuamente.
L'armata navale si teneva tanto sicura nel porto, che trascurò
d'erigere qualsiasi riparo contro eventuali attacchi nemici.
[34] Gl'Istriani cui nulla sfuggiva, e pratici dei luoghi, credettero giunto il
momento di attaccare il nemico. Favoriti da una fitta nebbia mattutina che
celava le loro mosse, assaltano d'improvviso l'avanzata coorte
piacentina, ed i due manipoli della II legione spiegati tra il monte ed il mare,
e li sbaragliano. Questi fuggendo riparano nell'accampamento, dove spargono
confusione e terrore, accresciuti dalla nebbia, che diradandosi si sorgere del
sole, taceva apparire sterminato il numero degl'Istriani in quella avvolti, e
credendoli già da qualche parte penetrati nel campo, ed uditasi ima voce "alla marina!" poi da molti ripetuta, tutt'i soldati, i più senza nemmeno
armarsi, si diedero a precipitosa fuga verso la spiaggia, trascinandovi seco il
Console, i tribuni, e centurioni, che invano s'adoperavano a trattenerli. Un
solo tribuno, che era nell'accampamento con tre manipoli della III legione,
rimase saldo, e tenne testa per alcun tempo all'inimico irrompente, sinchè
ferito ed uccisi il maggior numero de' suoi, cessò
ogni resistenza, e gl'Istriani rimasero padroni del campo romano.
Epulo ed i suoi, vista in fuga
tutta la II legione, e trovato l'accampamento pieno di vettovaglie, si
abbandonano al saccheggio ed alla gozzoviglia, quasi in paese non vi fossero più
nemici: ne rammentandosi che non lungi trovavansi intatte la III legione, e la
schiera dei 3000 Galli. Qualora gl'Istriani avessero perseguitato i
disordinatamente fuggenti ed in massima parte disarmati Romani, avrebbero potuto
sterminare almeno la II legione.
Difatti i Romani giunti intanto alla marina, credendosi inseguiti, si
gettavano nelle navi, i cui marinai in quel tumulto s'affrettavano a rimbarcare
le vettovaglie e merci esposte alla riva; ma non capendo le navi tanto numero di
soldati, nacque tra questi ed i marinai contrastanti l'ingresso nelle medesime,
un sanguinoso conflitto; sinchè il Console, per finirlo, ordinò alla squadra di
prendere il largo.
Ricondotta la calma negli animi dei soldati, e cessato ogui timore d'inseguimento, il Console indovinando che gl'Istriani, allettati dalla preda
rinvenuta nel campo, non pensassero ad approfittare della vittoria, derise di
muovere al ricupero del medesimo, e riparare arditamente e senza perdita di
tempo, alla sofferta sconfitta. Onde riordinati i soldati della II legione, e
[35] forniti d'armi che le navi seco portavano, si mosse con essi e colla III
legione e coi Galli ausiliari, cui aveva spedito corrieri con relativi ordini, a
riprendere il campo; e caduto improvvisamente sugl' improvvidi, briachi e
dormenti Istriani, ne fece macello, lasciandone estinti 8000. Il re, ebbro
anch'esso, posto da' suoi sopra un cavallo, potè a stento fuggire.
Mentre ancora l'accampamento romano era in potere degl'Istriani, vi
giunsero, ignari dell'accaduto, gli aquilejesi Cneo e Lucio Gavilli con un
trasporto di vettovaglie; e per non cadere prigioni, abbandonati i
carriaggi, ritornarono precipitosamente fuggendo in
Aquileja, ove recarono
l'esagerata notizia della sconfitta romana, e della distruzione dell'intiero
esercito. Propagatasi tosto sino a Roma la cosa, destò tale turbamento, che il
Senato ordinò una leva straordinaria di quattro legioni, e venne dato ordine
all'altro Console L. Giunio Bruto di accorrere dalla Liguria, ove si trovava, in
ajuto del collega Manlio. Egli giunse difatti a marcie forzate col suo esercito,
ingrossato di ausiliari Galli e di soldati raccolti dalle colonie cisalpine, in
Aquileja. Conosciuto però qui il vero stato delle cose, licenziò i Galli, e
colle restanti truppe continuò la marcia verso l'Istria per raggiungere il
console Manlio.
Intanto gl'Istriani punto sgomentati delle subite perdite, rimanevano di
fronte al nemico fermi nei loro accampamenti, nei quali avevano raccolte forti
schiere, sicchè il Console Manlio non ardiva assalirli. Ma quando seppero
avvicinarsi l'esercito del Console Giunio per unirsi a quello di Manlio,
comprendendo di non poter resistere in campo aperto ad un attacco di nemico così
potente e disciplinato, si ripiegarono nell'interno del paese, preparandosi ad
una guerra difensiva, favorita dalla natura dei luoghi. Però nemmeno i Consoli
stimarono opportuno d'internarsi per allora, stante l'avanzata stagione, nella
provincia, ed abbandonatala, si ritirarono cogli eserciti a svernare in
Aquileja.
Nuovi Consoli per l'anno seguente (177 a.C.) infrattanto erano stati creati:
C. Claudio Pulcro, cui toccò in sorte la provincia d'Istria per la continuazione
della guerra, e Tiberio Sempronio Gracco che ebbe la Sardegna. Entravano in
carica li 15 Marzo. Al console Claudio furono dati 22,400 uomini di fanteria e
900 di cavalleria, e 10 grosse navi quinqueremi.
[36] Mentre venivasi apparecchiando questo esercito, i cessati consoli Manlio e
Giunio - divenuti Proconsoli - volendo finire la guerra prima dell'arrivo del
console Claudio colle sue truppe, all'incominciare della primavera entrarono
nell'Istria, esercitando ovunque saccheggi e inumane devastazioni. Il re
Epulo
raccolto un'esercito di tutta la gioventù, animata più che dalla speranza di
vincere, dalla disperazione e da fiero desiderio di vendicare lo strazio che
del paese facevano i Romani, li attaccò in campo aperto con grandissimo impeto,
ma non potè a lungo resistere alla disciplina ed al numero dell'armata nemica,
che tagliò a pezzi 4000 de' suoi prodi. Gli altri si rinchiusero nelle città
munite, da dove spedirono legati al campo romano per chiedere pace. I Proconsoli
mostravano di aderire, previa la consegna di ostaggi; ricevuti i quali ne
diedero relazione al Senato, sospendendo frattanto le ostilità.
Le trattative di pace però andarono presto a vuoto. Imperocchè il Console
Claudio, essendo ancora a Roma, e bramoso di continuare per suo conto la guerra,
e procacciarsi la gloria d'un trionfo, cotanto ambita dai comandanti degli
eserciti, senza aspettare il suo che si veniva allestendo, e senza fare i riti
prescritti ai consoli per ottenere la legale investitura del comando, vola in
Istria, e presentatosi ai Proconsoli, li carica di rimproveri per la condotta
della guerra, e vuol farli arrestare. Ma non trovando obbedienza, perchè
l'esercito non vuol riconoscere la sua podestà sinchè non abbia adempito alle
formalità della legge, ritorna in fretta a Roma sulla stessa nave che l'aveva
portato in Istria, tiene gli auspici, prende i voti, veste i littori, e colle
sue legioni che frattanto erano arrivate in
Aquileja e lo attendevano, ritorna a
rapide marcie in Istria.
Quest'incidente era stato causa che i Proconsoli Manlio e Giunio, rotte le
trattative di pace, per non lasciare al Console Claudio il vanto di finire la
campagna e di riportarne il frutto, aveano ripresa energicamente la guerra, ed
erano arrivati a stringere d'assedio la forte città di Nesazio, ove il re
Epulo
ed i principali fra gl'Istriani s'erano rinchiusi.
Claudio colà arrivato sciolse il vecchio esercito, e continuò col proprio
vigorosamente l'assedio. Da lungo tempo gl'Istriani resistevano con valore ad
ogni attacco, ed alle [37] macchine che battevano le mura. Il Console decise di privare la città dell'acqua
necessaria, e con un lavoro di molti giorni giunse a deviare il fiume che ne
lambiva le mura, facendolo entrare in un nuovo alveo da queste discosto. Ciò
pose in disperazione gli assediati; i quali vista l'impossibilità d'una
ulteriore resistenza, ma sdegnando di chiedere pace ed arrendersi, si diedero a
trucidare le donne ed i figli, gettandone i cadaveri oltre le mura, per evitare
che venissero tratti in schiavitù, e mostrare ad un tempo al nemico di voler
morire fra le rovine della patria. In mezzo a questa tragica scena i Romani
corrono all'assalto, e penetrano nella città. Il tumulto e le grida della
disperata lotta che allora s'impegna, avvertono
Epulo che il suo regno è finito; ed egli per non cadere vivo nelle mani dei vincitori, si trafigge. Tutti gli
altri sono passati a fil di spada o fatti prigioni — e la città venne
smantellata.
Ma non solo
Nesazio periva dopo sì eroica resistenza. I Romani dopo ciò si
rivolsero ad assediare due altre città, Mutila e Faverìa, che non disanimate
dall'infelice fine di
Nesazio, vollero imitarla nella resistenza, e, prese di
viva forza, furono del pari distrutte.
La preda, che venne poi divisa fra ì soldati, fu maggiore dell'aspettativa —
calcolandosi dai Romani povera la provincia. — Buona somma di denaro portò il
Console a Roma, 5632 persone furono vendute schiave, gli autori della guerra
flagellati, e poi decapitati; presi gli ostaggi, l'Istria fu domata, e da
allora rimase soggetta ai Romani.
Pel felice esito della guerra si fecero a Roma per due giorni pubbliche feste; il Console Claudio spedito poi coll'esercito nella Liguria, dove pure
combattè prosperamente, ottenne per decreto del Senato il trionfo per le guerre
finite nell'Istria e nella Liguria.
Note:
- In questo Capitolo abbiamo potuto molto valerci
del Cap. VI del citato Saggio di Storia del Dr.
Benussi, che narra con esattezza ed ordine le origini e
l'andamento delle guerre dei Romani contro gl'Istriani, corredando
il racconto con citazione delle fonti storiche, alle quali
rimandiamo il lettore.
- Il
Kandler, servitosi di una cattiva edizione di
Livio per trarre,
ancora nella sua giovinezza, copia da noi veduta della guerra
rumano-istriana, ritenne che Carmelo conducesse Galli o Celti
istriani, malfidi alleati degli istriani Traci di
Epulo.
Tratto da:
- Carlo de Franceschi, L'Istria, Tipografia di Gaetano
Coana (Parenzo, 1879),
pag. 30-7.
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