Irredentismo
di Attilio Tamaro
[Tratto da: Enciclopedia Italiana (1933) -
https://www.treccani.it/enciclopedia/irredentismo_(Enciclopedia-Italiana)/]
Fu chiamato così, prima della guerra
mondiale, il movimento diretto alla redenzione delle terre italiane
rimaste soggette all'Austria dopo il 1866. La frase "terre irredente" fu
pronunciata la prima volta da Matteo R. Imbriani dinnanzi alla bara di
suo padre, in presenza di alcuni delegati triestini, nel 1877, giurando
fedeltà alla loro causa. Associazione in pro dell'Italia irredenta si
chiamò quello stesso anno l'organismo creato dall'Imbriani d'accordo con
Giuseppe Avezzana, Giovanni Bovio, Luigi Zuppetta, Roberto Mirabelli e
altri, appoggiati da Garibaldi, Saffi, Campanella, Carducci, Cavallotti,
Missori, Canzio, Bertani e diversi noti ex-garibaldini e patrioti. Ma
"irredentisti", diceva P. Fambri, era "aggettivo di canzonatura coniato
a Vienna", che non si sarebbe dovuto usare in Italia. Invece, come
"irredentisti", così "irredentismo" diventò subito d'uso comune.
Poiché la parola era nuova, essa diede
l'impressione che si volesse iniziare una nuova lotta, mentre in verità
si trattava della continuazione del Risorgimento, non potendosi
considerare compiuta l'unità nazionale finché l'Italia non fosse
arrivata alle sue frontiere naturali e storiche. Venuta in uso la parola
nuova, essa ebbe più sensi, appunto a causa dell'errore originale:
giacché, per gli agitatori del regno, si riferì sempre al movimento da
loro iniziato; per gl'irredenti, invece, a tutta la loro attività
nazionale, dopo il 1866, e spesso anche alla più antica. Per questa
erronea impostazione iniziale e per influsso delle ideologie
democratiche, l'irredentismo fu concepito come applicazione del
principio di nazionalità e rimase sempre incerto quanto ai limiti delle
desiderate rivendicazioni: se solo a oriente o se anche a occidente,
dove erano altre terre italiane soggette a stranieri; e a oriente sino
al Brennero o a Salorno, sino al Monte Maggiore o a Fiume, nel Quarnaro
o anche in Dalmazia? Si fecero discussioni come se il problema non fosse
mai stato discusso nel Risorgimento e non gli appartenesse. Si
vagheggiarono soluzioni pacifistiche e umanitaristiche, cessioni
spontanee da parte dell'Austria, scambî fra territorî italiani e
balcanici. Nel movimento dell'irredentismo bisogna sempre distinguere
l'azione svolta dagl'irredenti dentro le frontiere dello stato austriaco
(Trentino, Alto Adige, Venezia Giulia e Dalmazia) da quella svolta nel
regno. Fra gli stessi irredenti, mancò molto spesso un vero
collegamento, e anche unità di programma. Come nel 1866 gl'Istriani
pensarono per un momento di scindere la loro questione da quella più
complessa di Trieste, così nel 1880 gli emigrati trentini parvero volere
staccare la loro causa da quella della Giulia. Ci furono trentini
disposti a fermare l'Italia sotto le Alpi, giuliani a fermarla in
Albona. I Fiumani furono fatti entrare tardi nel campo
dell'irredentismo, e i Dalmati si sentirono quasi sempre dimenticati se
non esclusi. Malgrado tutto, però, la lotta contro il governo austriaco
e poi contro le nazioni invadenti (Slavi e Tedeschi) fu eguale in tutte
le terre dove si trovarono gruppi italiani e spesso più ardente, più
superba in quelle più dimenticate. Tale lotta, combattuta sempre su due
fronti, l'una per la difesa del patrimonio nazionale rimasto in consegna
degl'irredenti dopo il 1866, l'altra per la liberazione dal dominio
straniero, costituisce tutta la storia delle terre trentine e giuliane e
gran parte di quelle dalmatiche sino alla guerra. In quanto
all'irredentismo del regno, esso fu, malgrado le apparenze, parte molto
essenziale della storia nazionale dopo il 1876, identificandosi col
grave problema delle frontiere. Oltre a provocare incessanti
manifestazioni nella politica interna, esso costituì un elemento
fondamentale della politica adriatica e balcanica dell'Italia, dei suoi
rapporti con l'Austria e di tutta la storia della Triplice Alleanza,
nonché una delle ragioni storiche più potenti e più direttamente sentite
per la guerra del 1915. In quanto fu lotta contro l'Austria, in
prosecuzione immediata del 1866, esso costituì anche la vera
continuazione del Risorgimento, e, attraverso l'interventismo, la guerra
e il dopoguerra, e quindi Fiume e la questione dalmatica, costituì la
congiunzione diretta e visibile fra Risorgimento e Fascismo.
La storia dell'irredentismo, quale
movimento degl'irredenti, si può iniziare con le manifestazioni fatte da
parecchie migliaia di giuliani dinanzi al re Vittorio Emanuele in Udine
nel 1866, e con le agitazioni per l'autonomia, incominciate nello stesso
anno nel Trentino. Lo aveva preannunciato Ricasoli, quando disse al re,
sempre nel 1866, che finché l'Austria avesse posseduto un palmo di terra
italiana, non vi sarebbe stata possibilità di pace duratura; o quando,
in una circolare ai prefetti (15 novembre), scrisse che l'Italia, sicura
di sé, poteva attendere ormai le occasioni propizie a conseguire ciò che
ancora le mancava. Nel 1876, alla commemorazione di Legnano, la vista
delle bandiere abbrunate di Trento e di Trieste e i discorsi di B.
Cairoli e di G. Ferrari diedero nuovo impulso al movimento, per il
quale, per le ragioni su citate, l'anno seguente fu coniata la parola
irredentismo. Cairoli, F. Cavallotti e G. Mussi compresero in esso
allora (ma per poco) anche Nizza, la Corsica e Malta. La questione
d'Oriente, in quel tempo accesa, suscitò specialmente nei democratici
l'illusione che si sarebbe potuto contrattare per una correzione della
frontiera con l'Austria, permettendole l'avanzata verso Salonicco. Su
questa prestigiosa base, fu condotta subito una tumultuaria agitazione,
che ebbe il torto di essere posta su un'ipotesi fantastica e allarmò
tutti i governi d'Europa. M. R. Imbriani, G. Avezzana, Bovio, Saffi,
Garibaldi, che li appoggiava sempre con ardore, e pochi altri,
ex-garibaldini, propugnavano l'idea irredentistica con passione sincera,
scevra di partigianeria. Ma i più di essi seguivano idee che minavano
gl'istituti militari o l'autorità dello stato; e con ciò rendevano
impotente l'Italia di fronte a ogni problema internazionale. E quasi
tutti i loro collaboratori e i comitati d'azione agitavano il problema
irredentistico principalmente per far opposizione al governo. Vero è
però che la politica di questo giustificava in parte quell'opposizione.
Vero è altresì che, a parlare delle terre irredente, furono allora
soltanto quei demoeratici e repubblicani e che, senza i loro clamori, la
lotta piena di sacrifici che gl'irredenti conducevano nelle loro terre
sarebbe rimasta, come era da alcuni anni, senza eco nella nazione.
Depretis chiamava le aspirazioni su Trento e Trieste "des vieux
cancans". L'Italia "Irredenta" pensò anche all'azione diretta, e
Garibaldi, nel 1878, le preparò piani molto particolareggiati per un
attacco contro Trento e Trieste. L'agitazione nei comizî e nella stampa
e le dimostrazioni nelle terre irredente e quelle degl'irredenti nel
regno presero tanta forza, che nel 1879 l'Austria, dopo aver loro
contrapposto il libro Italicae res del colonnello Haymerle,
radunò truppe nel Trentino, spaventando il governo romano e anche una
parte della democrazia. Il movimento era però già così largo e profondo,
che nessuna reazione poteva più stroncarlo. Nel 1880, il ministro
austriaco degli Esteri affermò che esso aveva ormai mostrato che, in
caso di complicazioni internazionali, l'Italia si sarebbe schierata fra
gli avversarî dell'Austria. In realtà, benché l'idea sembrasse monopolio
degl'irresponsabili comizianti, essa era anche nell'animo dei loro
avversarî, che però credevano, come gli uomini del vecchio comitato
triestino-istriano e gli emigrati (il Combi e il Luciani, meglio di
tutti) che i tempi non fossero maturi. Vi fu allora, come nei decennî
seguenti, un irredentismo latente, veramente decisivo nel creare gli
avvenimenti posteriori. Intorno all'Imbriani e al triestino A. Sulmona
alcuni giovani triestini cospiravano per un'azione diretta e da essi,
nel 1882, quando l'alleanza dell'Italia con l'Austria e una provocatrice
esposizione austriaca a Trieste ebbero creato la convinzione che una
risposta fosse necessaria, uscì Guglielmo Oberdan, il cui sacrificio fu
voce di verità per l'irredentismo durante oltre trent'anni, onde
Mussolini poté dire che l'Italia doveva andare a Trieste, anche perché
quel martire ivi l'attendeva. I conflitti fra la polizia e i dimostranti
che volevano commemorare Oberdan (più gravi quelli di piazza Sciarra a
Roma) e lo sforzo che fece il governo della sinistra - privo d'ogni
dignità di fronte all'Austria - per valorizzare l'impopolare alleanza,
acuirono l'irredentismo. Questo fu da allora - nelle terre irredente e
nel regno - azione per impedire che la nuova alleanza finisse col far
dimenticare che l'unità nazionale non era compiuta. L'idea minacciava
già allora la Triplice: Robilant disse nel 1886 all'ambasciatore
austriaco che, mentre la pace europea durava, non c'erano pericoli da
parte dell'Irredenta, ma che se la pace fosse stata turbata, non
garantiva di nulla. Gl'Italiani che guidavano la lotta nazionale nelle
terre soggette (e tutto attendevano da quel turbamento della pace) e gli
emigrati che sino dal 1877 avevano nel regno comitati del tutto
indipendenti dall'"Italia Irredenta" erano molto preoccupati del danno
che le speculazioni repubblicane e democratiche facevano al diritto:
essi pensarono necessaria la costituzione di un'associazione fuori dei
partiti, fedele alle istituzioni, che cospirasse senza creare imbarazzi
alla politica del governo. Anche per l'azione offensiva (dimostrazioni e
agitazioni violente nella Giulia) Triestini ed emigrati avevano fondato
nel 1880 una società segreta indipendente, l'attivissimo "Circolo
Garibaldi". Da questa tendenza, dopo l'insuccesso della "Giovanni Prati"
(1884) e per opera soprattutto di Felice e di Giacomo Venezian e di
altri triestini nacque a Roma, nel 1889, la "Dante Alighieri". Il
trentino Sartorelli aveva fondato nel 1885 la "Pro Patria" alla quale
aderirono anche Giuliani e Dalmati. Nel 1890 essa fu sciolta dal governo
austriaco, provocando larghe dimostrazioni nel regno. Crispi, che l'anno
precedente aveva sciolto il comitato romano pro Trento e Trieste,
nell'ottobre, in un discorso pronunciato a Firenze, condannò con aspre
parole l'irredentismo. Però lo stesso ministro, che nel 1883 aveva
fissato la differenza, essenzialmente irredentistica, fra Italia
ufficiale e Italia geografica, subito dopo quel suo discorso sovvenzionò
la "Dante Alighieri", dicendo al Bonghi: "cospireremo assieme contro
l'Austria". I partiti d'estrema, per protesta contro Crispi, portarono a
Roma la candidatura repubblicana del triestino S. Barzilai. Lo stesso
anno Oriani affermava che Trento e Trieste non avevano tale importanza
da dominare la vita della nazione, ma che l'immutato suo nemico era
l'Austria.
Nel decennio seguente, l'irredentismo nel
regno sempre più si esaurì, come scrisse Federzoni, in una specie di
vaneggiamento romantico attraverso irresponsabili clamori comiziali. Ma
ripetuti episodî della lotta nazionale delle terre irredente
impressionarono nuovamente l'Italia. Anche gli episodî dell'attività dei
circoli segreti (principale il "Circolo XX dicembre", a Trieste, dal
1891) fecero capire che gl'irredenti consideravano sempre l'Austria come
l'oppressore e che il problema della rivoluzione unitaria era tuttavia
aperto. L'insurrezione di Pirano contro l'imposizione di tabelle
bilingui nel 1894, i gravi fatti di Trieste nel 1898 (dopo l'assassinio
dell'imperatrice Elisabetta) e la potente affermazione della Giulia nel
1899 contro la tentata slavizzazione di Pisino trovarono larga risonanza
in tutti gli strati del popolo. La tristezza del 1896 fu confortata
dallo scoprimento del monumento a Dante in Trento e, l'anno seguente,
con ripetute trionfali elezioni, i Triestini e gli altri Giuliani,
battendo il governo e gli Slavi, vollero mostrare che, malgrado Adua,
essi credevano fermamente nella resurrezione e nella grandezza della
nazione. L'irredentismo delle terre soggette diede forse i primi segni
del rinnovamento nazionale dopo la sciagura africana. Si può credere che
re Umberto volesse quasi premiare questa fede a Monza, quando donava ai
ginnasti trentini una statua della libertà. Il lutto delle stesse terre
per la morte del re fu una solenne dimostrazione del sentimento che le
legava alla patria comune. Le agitazioni durate oltre un ventennio, per
quanto disordinate, avevano creato uno stato d'animo specialmente sulla
gioventù per la quale tutta, rilevava l'ambasciatore germanico nel 1903,
patriottismo e irredentismo erano la stessa cosa.
S'era allora a una nuova fase del
problema, determinata anche dalla nuova politica estera. G. Prinetti,
l'autore delle convenzioni del 1902, fu l'ultimo ministro che
sovvenzionò l'azione degl'irredenti. Si sentirono da allora anche le
ripercussioni della lotta per l'università italiana, ripresa con grande
vigore dagl'irredenti, meno per avere l'istituto e più per avere un
efficace strumento di agitazione contro l'Austria. Nel 1903 la visita
del re a Udine diede origine ad ardenti manifestazioni irredentistiche,
seguite da numerosissimi arresti nella Venezia Giulia. Romanticismo
di G. Rovetta sollevò inaspettati entusiasmi. Lo stesso anno avvennero i
primi fatti di Innsbruck (conflitti fra studenti italiani e tedeschi per
l'università libera) con vastissima eco in tutto il paese. La fondazione
della "Trento-Trieste" mostrò che l'agitazione passava ormai nel campo
avversario all'Estrema: nazionalisti, come Piero Foscari e Giovanni
Giuriati, diedero presto all'organizzazione disciplina e serietà. Sempre
nel 1903 Ricciotti Garibaldi, che nel 1899 aveva fondato una Lega
nazionale irredentista, convocò un convegno a Udine dove, con elementi
della "Giovane Trieste" e dell'"Associazione ginnastica triestina" fu
ordita una congiura per una violenta azione a Trieste: ma la congiura e
le sue bombe furono scoperte dalla polizia austriaca nel 1904. Nel quale
anno i più gravi fatti di Innsbruck, dove corse non poco sangue,
risollevarono dimostrazioni antiaustriache in tutte le città d'Italia.
Seguì un periodo di pochi anni, che vide
nelle terre soggette svilupparsi in superficie e il socialismo
internazionale e il popolarismo clericale, ambidue antirredentistici.
Nel 1905 socialisti austriaci e italiani si radunarono a Trieste per
un'azione comune contro l'irredentismo. Nel 1907, avvenuta la sconfitta
elettorale del partito nazionale a Trieste e nell'Istria, il governatore
austriaco Hohenlohe disse che "l'Irredenta era vinta". Poco più tardi,
dopo il convegno di Desio, anche T. Tittoni, ministro degli Esteri,
disse che l'irredentismo era morto. Ma questo era fondato su elementi
troppo assodati per soccombere, elementi della cui potenza morale
fautori e avversarî non avevano piena consapevolezza. Nel 1908 la crisi
della Bosnia riaccese le energie e le speranze: la Nave di
d'Annunzio corse i teatri fra continue dimostrazioni antiaustriache. Le
elezioni comunali triestine del 1909, nelle quali il partito nazionale
prese la sua completa rivincita, furono seguite, con un nuovo interesse,
da tutta la stampa italiana. La campagna di Federzoni per il Garda
appassionò. Forse nel Friuli e nel Trentino (come rilevava Mussolini nel
1911) una stasi del movimento si prolungò ancora. Ma non a Trieste, che,
scrisse allora Mussolini, aveva "suscitato gli appetiti delle limitrofe
popolazioni barbare" ed era "travagliata e divisa da feroci
competizioni". La città viveva ormai in regime irredentistico quasi
esasperato e mostrava a tutti d'essere una città italiana occupata da un
odiato straniero. Ben presto però in tutte le terre soggette si ebbero
maggiori impulsi: il risveglio nazionale del paese e la guerra di
Tripoli ebbero profondissime ripercussioni dappertutto. Anche in
Dalmazia l'irredentismo si tolse la maschera del "legalitarismo". A
Fiume la "Giovane Fiume" affrontò il governo con ardore. A Bolzano,
concretando l'assiduo apostolato di Ettore Tolomei, si formò il circolo
irredentistico "Unione". Onde a Vienna non s'aveva torto quando si
parlava dell'"idra dell'Irredenta", che più si batteva e più cresceva.
Nel 1910 anche il nuovo ministro degli
Fsteri di San Giuliano ripeté che l'irredentismo era morto. Ma pochi
giorni dopo, al congresso del partito nazionalista di Firenze, i
discorsi di L. Federzoni e di S. Sighele mostrarono che esso, malgrado i
socialisti e l'ostilità del gruppo della Voce e dei salveminiani, era
ben vitale e anzi prendeva nuove forme, ben più operanti delle vecchie.
Il nazionalismo (sul quale influì l'esperienza che i suoi capi avevano
fatto delle nuove forze organizzative, dell'azione economica, dei
sacrifici, della ferrea disciplina e dei generali problemi di politica
estera a cui poggiava la sua azione il partito nazionale di Trieste)
propugnò un irredentismi più forte e più ordinato, fondato su un
generale risveglio di tutte le forze nazionali e su una grande
preparazione militare. Il Chlumecky a Vienna rilevò subito quanto
sarebbe stato più pericoloso per l'Austria questo nuovo irredentismo che
non quelli che egli chiamava gli attacchi frontali dei romantici
esasperati.
Negli ultimi anni prima della guerra
mondiale influì a tenere l'irredentismo sul piano politico il processo
di sfaldamento della Triplice: la nazione nella sua espansione si trovò
continuamente dinanzi alla rivalità dell'Austria e alla necessità di
abbatterla. Nel 1910 le manovre navali nell'Adriatico avevano suscitato
vivi entusiasmi e l'affare di Cima Dodici notevole fermento: da allora,
specie nei Balcani, l'attrito fu continuo. In quanto alle terre
soggette, si comprese che l'Austria mirava non a risolvere il problema
italiano, ma a sopprimerlo: ampie campagne di stampa ne parlarono con
vigoroso patriottismo. Le commemorazioni del Cinquantenario (1911)
fecero rivivere la passione del Risorgimento e sentire che il "grido di
dolore" risonava ancora dall'Adige all'Adriatico. S'erano formati nuovi
gruppi d'agitazione: molto attivi, quelli de "La Grande Italia" a
Milano, dell'"Italia Nostra" e della "Corda Fratres" a Torino. Boselli
teneva alla "Dante Alighieri" discorsi apertamente irredentistici. Il
col. M. P. Negrotto organizzava i battaglioni della "Sursum Corda". Nel
1913 i "decreti Hohenlohe" (espulsione di regnicoli dall'amministrazione
comunale di Trieste) portavano la questione irredentistica nel centro
della politica nazionale. Le ultime grandi manifestazioni prima della
guerra, si ebbero nel maggio del 1914, in seguito a un sanguinoso
conflitto sorto a Trieste fra la popolazione da una parte e Slavi e
polizia dall'altra.
Bibl.:
La storia dell'irredentismo si trova in tutte le
opere, che trattano la vita nazionale dell'ultimo cinquantennio, i rapporti
italo-austriaci e la Triplice Alleanza, nonché nelle storie regionali o
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- A. Sandonà, L'irr. nelle lotte politiche e nelle contese
diplomatiche italo-austriache, Bologna 1932. Cfr. anche di
S. Barzilai, i discorsi parlamentari e la commemorazione di G.
Venezian;
- la relazione Barbera al XXV congr. della "Dante";
- le relazioni dei congressi della "Trento-Trieste"
- e la polemica Federzoni-Mirabelli, in Vita italiana,
genn.-febbr. 1930.
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